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Venerdì 11 MARZO 2011
Artrite reumatoide: l’Aifa dà l’ok ad abatacept in prima linea biologica

La molecola blocca l’attivazione dei linfociti T e “normalizza” il processo infiammatorio associato alla malattia tenendola sotto controllo nel tempo. È stato inserito in classe H con prescrizione medica limitativa da parte di centri ospedalieri o di specialisti.

Novità importanti per i circa 300 mila italiani che soffrono di artrite reumatoide, una patologia fortemente invalidante che colpisce in particolare le articolazioni delle mani e dei piedi e impedisce di compiere i gesti più semplici, come camminare, sollevare una bottiglia o un bicchiere d’acqua o comporre un numero di telefono.
Abatacept, farmaco biologico sviluppato nei laboratori di Bristol-Myers Squibb, già utilizzato in Italia da oltre quattro anni, è oggi disponibile per il trattamento in prima linea biologica dell’artrite reumatoide moderata/severa dell’adulto, in combinazione con metotressato (MTX). A stabilirlo è una determinazione dell’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n.56 del 9 marzo 2011 che individua il regime di rimborsabilità per abatacept in classe H, assoggettandolo a prescrizione medica limitativa (RRL) da parte di centri ospedalieri o di specialisti (reumatologo, internista).
Abatacept è la prima e unica proteina di fusione umana che blocca l’attivazione dei linfociti T e quindi è in grado di “normalizzare” il processo infiammatorio associato alla malattia e di tenerla sotto controllo nel tempo. Il suo utilizzo subito dopo il metotressato non solo è in linea con una gestione più appropriata dell’artrite reumatoide ma consente di raggiungere e mantenere, nei follow up degli studi clinici che attualmente arrivano a 7 anni, una bassa attività di malattia o la remissione. Grazie anche al buon profilo di sicurezza, più del 50% dei pazienti beneficia ancora della terapia a 7 anni. Abatacept si caratterizza per l’efficacia sostenuta e crescente nel tempo - un elemento cruciale nel trattamento di una patologia cronica come l’artrite reumatoide - consentendo alla maggior parte dei pazienti di tornare a condurre una vita normale. Non va infatti dimenticato che entro dieci anni dalla comparsa della malattia, la metà dei pazienti non è più in grado di svolgere un lavoro a tempo pieno e la loro qualità di vita scende a un livello paragonabile a quello di chi soffre di scompenso cardiaco e diabete.

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