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Venerdì 04 MARZO 2011
Diabete: scoperta una “firma genetica”
In 1 diabetico su 10 è presente una sorta di “firma genetica” che aumenta di sedici volte il rischio di sviluppare questa malattia, che nel mondo colpisce 250 milioni di persone. È quanto emerge da uno studio dell’Università di Catanzaro pubblicato sul Journal of American Medical Association (JAMA).
Dalla ricerca sulle malattie rare nuova luce su una delle malattie metaboliche più diffuse nel mondo, il diabete mellito di tipo 2: uno studio dell’Università di Catanzaro “Magna Græcia” pubblicato sulle pagine del Journal of American Medical Association (JAMA) ha rilevato che in un diabetico su dieci è presente una sorta di “firma genetica” che aumenta di sedici volte il rischio di sviluppare questa malattia, che nel mondo colpisce 250 milioni di persone.
Lo studio, coordinato da Antonio Brunetti e finanziato anche da Telethon, ha coinvolto quasi 9.000 pazienti diabetici, di cui 4.000 italiani. I ricercatori si sono concentrari sulla resistenza all’insulina, ovvero la ridotta risposta dei tessuti all’azione dell’ormone che controlla i livelli di zucchero nel sangue. Questo fenomeno, tipico delle persone affette da diabete di tipo 2, si riscontra in modo ancora più accentuato in alcuni individui affetti da rare malattie genetiche come la sindrome di insulino resistenza e acanthosis nigricans di tipo A, il leprecaunismo e la sindrome di Rabson-Mendenhall.
“Queste forme rare si sono rivelate un ottimo modello sperimentale per lo studio del diabete” spiega Brunetti. “Grazie al supporto di Telethon, nel 2005 abbiamo dimostrato come la resistenza all’insulina può dipendere da alterazioni nel gene HMGA1, che contiene le informazioni per una proteina che “accende” il gene per il recettore dell’insulina, la molecola che si affaccia fuori dalla cellula, cattura l’ormone, traduce il suo messaggio e lo trasmette all’interno della cellula”.
Scoperta questa alterazione in 4 pazienti affetti da forme rare di insulino-resistenza, Brunetti e collaboratori si sono chiesti se questo difetto potesse essere riscontrato anche nella forma più comune della malattia, per la quale ancora oggi la causa non è ben nota. Per cercare una correlazione tra la malattia e difetti nel gene HMGA1, i ricercatori calabresi hanno quindi raccolto una casistica molto ampia di pazienti diabetici: 3278 pazienti italiani, 970 americani e 354 francesi, e oltre 4000 individui sani di controllo.
Studiandone il patrimonio genetico, Brunetti e il suo gruppo hanno scoperto come circa il 10% delle persone affette da diabete di tipo 2 presenti varianti funzionali del gene HMGA1. “Questo risultato ha delle grandi ricadute nella pratica clinica” afferma il ricercatore spiegando che “Fino ad oggi non era mai stato individuato un fattore genetico con un’associazione così forte con la malattia. Innanzitutto la presenza di queste varianti potrà servire come indicatore precoce del diabete di tipo 2, specialmente negli individui con familiarità diabetica”.
Ma non è tutto: anche la risposta ad eventuali terapie farmacologiche e la progressione della malattia con gli anni possono essere influenzate dalla presenza di questi determinanti genetici. “Questo lavoro – conclude Brunetti - è un ottimo esempio di come lo studio delle malattie rare possa avere ricadute molto più ampie e fare luce su patologie che colpiscono invece milioni di persone nel mondo. Il prossimo passo sarà andare a fondo dei meccanismi con cui difetti nel gene HMGA1 rendono l’organismo resistente all’azione dell’insulina, in modo da poter disegnare in futuro terapie specifiche per questo tipo di pazienti diabetici”.
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