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Giovedì 13 AGOSTO 2015
Tagliare la spesa o prevenire le malattie?
Gentile direttore,
vorrei riflettere sulle conseguenze subite dal nostro sistema sanitario a causa della spending review, nonché sui rischi che potrebbero derivare dai programmati tagli al Ssn. Di recente, l’organizzazione mondiale della sanità ha pubblicato un rapporto, intitolato “Preventing chronic diseases: a vital investment”, tramite il quale si sostiene che la prevenzione delle malattie croniche potrebbe salvare la vita a 36 milioni di persone che rischiano la morte entro il 2015.
Si tratta di un ampio gruppo di patologie, che comprende le disfunzioni respiratorie, il tumore, la cardiopatie, l'ictus, il diabete, ma anche malattie genetiche e malattie mentali.
Alla base ci sono fattori di rischio comuni e modificabili, come l'obesità, l'alimentazione poco sana, il consumo di tabacco, l'abuso di alcol, la mancanza di attività fisica, correlate a cause indirette, tra le quali una delle principali è la povertà.
Credo, a ragion veduta, sia doveroso chiedersi se la riduzione dei fondi al Ssn sia un risparmio reale rispetto al concentramento di risorse finalizzato alla prevenzione di malattie, soprattutto croniche, così da ridurre drasticamente la necessità di cure e di assistenza.
La cura deve essere una extrema ratio e utilizzata solo in caso di fallimento della prevenzione medesima, tentando di ridurre la mortalità, la morbilità e tutti i fattori di rischio, che ogni giorno compromettono la salute dei nostri pazienti e dell'intera comunità.
Ogni professionista dovrebbe agire nel rispetto della propria deontologia, dei piani didattici della formazione universitaria, del profilo professionale.
Nello specifico il comma 2, dell'art. 1, del D.M. 14 settembre 1994, n. 739 recita “l'assistenza infermieristica preventiva, curativa, palliativa e riabilitativa è di natura tecnica, relazionale, educativa. Le principali funzioni sono la prevenzione delle malattie, l'assistenza dei malati e dei disabili di tutte le età e l'educazione sanitaria”, inoltre, l'articolo 6, del codice deontologico, afferma che “l'infermiere riconosce la salute come bene fondamentale della persona e interesse della collettività e si impegna a tutelarla con attività di prevenzione, di cura, riabilitazione e palliazione”.
Ammesso che l'infermiere, oggi, voglia concentrare la sua attività sulla prevenzione, quali strumenti e quali fondi può dedicare all'Educazione Sanitaria?
Quali risorse può investire nei cittadini?
Eppure i nostri professionisti, laureati, con formazione post base, sono in grado di raccogliere dati attraverso progetti di ricerca, sanno interpretarli e dedicano molta attenzione alla sorveglianza delle malattie e ai rischi correlati alla pratica assistenziale.
Il momento educativo si riserva al malato in ospedale, all'accoglienza, negli ambulatori e agli ospiti nelle RSA, ma dovrebbe essere esteso ad altri ambienti coinvolgendo scuole, centri giovanili, associazioni e comunità nel loro complesso.
E' necessario, infine, considerare che nel nostro Paese, dove la disoccupazione giovanile ha raggiunto il 42,7 %, dove le famiglie sono sommerse mensilmente da pagamenti, da bollette, da affitti e/o mutui, destinare una parte di reddito alla diagnostica, ad esami di laboratorio, a screening risulta impossibile.
Il pagamento del ticket si sta riversando in maniera definitiva sulle tasche del cittadino, che deve inoltre sopportare una prolungata tempistica per l’espletamento dell’esame.
Le liste d'attesa sono al collasso, il budget a disposizione dell'utente è limitato. La conseguenza è il differimento dei check-up e della sorveglianza sanitaria nella speranza di tempi migliori.
Si stima che capitalizzare un euro in prevenzione possa fruttarne tre nell'arco di un decennio, ma siamo così certi che gli italiani abbiano una parte di reddito da destinare alla difesa della propria salute?
Una riflessione, la mia, rivolta all' ottimizzazione delle risorse disponibili, senza dimenticare i cittadini e i loro bisogni.
Luca Fialdini
Infermiere
Consigliere IPASVI di Massa Carrara
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