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Venerdì 31 LUGLIO 2015
Medici leader? Perché no, se lo sono davvero
Gentile direttore,
Roberto Polillo merita una risposta, se non altro per il tono raffinato ed educato delle sue critiche nei miei confronti. Ma soprattutto perché, nelle parole di Polillo, emerge, in maniera evidente e paradigmatica, proprio quell’istinto naturale di dominanza professionale del medico sull’infermiere da me denunciato. Mi spiego meglio.
Polillo, di fatto, non accetta che sia una semplice infermiera a criticare la Fnomceo, l’associazione dei medici! Per di più con un “intervento erudito” (si sa, gli infermieri sono “ignoranti”), attingendo peraltro ad “un’ottima letteratura sociologica” (non a caso i due sociologi sono amici Suoi), ma senza però averne capito la portata, da qui la non esaustività del mio intervento ed il suo invito a studiare di più e quindi ad approfondire Goffman. Insomma, sono “rimandata” a settembre, come si diceva una volta.
A mio parere la forma ed il contenuto dell’articolo di Polillo sono la miglior prova di quella “tendenza egemonica” della quale, avrei inopinatamente parlato e rappresenta nel contempo anche la “punizione” della sottoscritta, additata così al pubblico ludibrio.
Questa “punizione” mi ricorda un fatto di tanti anni fa. Pensi che quando ero allieva infermiera, nel lontano ’90, durante l’attività di tirocinio ogni mattina il medico del reparto che frequentavo, mi chiedeva di fargli il caffè senza che neanche sapessi come mi chiamavo. Questo non mi piacque e mi portò a rispondere cosi:” se avessi voluto fare quel tipo di attività avrei scelto di fare la scuola alberghiera”. Questa risposta diretta, percepita come impertinente, mi portò un richiamo e la minaccia di un passaggio in commissione disciplinare.
Circa i principali punti di critica di Polillo:
L’indignazione additata al popolo ludibrio. L’indignazione, come diceva Pessoa, è dei “forti“. Io non sono forte (nel senso che non appartengo alla “stirpe dei forti”) ma sono libera perché mi sento di dire - e posso dire - quello che penso. La forma della pubblicazione di un articolo a pagamento non mi sarebbe piaciuta neanche se ad utilizzarla fosse stata la Federazione nazionale . Non ho mai risparmiato i miei pensieri critici, positivi e negativi, alla Federazione dei collegi infermieristici. Credo in altre forme di comunicazione.
L’uso a piena mani di una sociologia dotta che non avrei dovuto usare. Al contrario del dottor Polillo, penso che il medico e l’infermiere dovrebbero riferirsi con più frequenza e dimestichezza alla sociologia; è un sapere altro dalla medicina e quindi arricchente. Partendo da una base conoscitiva solida, certa e condivisa da medici ed infermieri è più facile muoversi e scegliere la stada giusta. Per questo mi sono riferita ad un modello analitico specifico già in uso, realizzato da G.Giarelli e collaboratori, e che ho adottato tal quale, in quanto modello conosciuto e sperimentato. Mal si comprende l’atteggiamento medico che non si rapporta alla sociologia dotta, che non si avvale di nessun “modello specifico di analisi d’impatto delle riforme sulla professione medica” (Giarelli, 2003-2004) , che non ha esigenza di crearne uno ex novo che critica gli infermieri che lo fanno,che non si rapporta con gli infermieri , ma lamenta una perdita di dominanza professionale nei servizi sanitari, pretende una leadership “d’ufficio” e non si interroga su domande precise, le risposte alle quali lo aiuterebbero a comprendere perché oggi parlare di dominanza professionale non ha più senso.
Non argomento, evoco. Io ho scritto “Dovremmo insieme ripulire e liberare da incrostazioni semantiche improprie il concetto di dominanza che sembra diventato una chiave che apre tutte le porte o al contrario un idolo da abbattere”. Intendevo dire, che per la professione medica tornare ad essere la professione dominante, senza prima sapere “chi è” colui che domina, non è la soluzione ai problemi che la questione medica oggi pone, non è la chiave che apre tutte le porte; e non tutte le variabili che compongono il concetto di dominanza sono da abbattere, lo dicevo soprattutto a noi infermieri.
Se considero, per esempio, la variabile “autonomia professionale” e faccio finta che il medico sia “autore”, come dice Cavicchi , e cioè fa quello che dovrebbe fare, “in purezza”, senza contaminanti esterni osserverò che è lui che sceglie e decide in autonomia cosa è bene per il suo malato, e non l’amministratore o la sua logica. Con un medico cosi, leader nel proprio lavoro, io, infermiera, non avrei alcun problema a complementarmi in reciprocità per il raggiungimento di un obiettivo comune, il bene del malato. Nella circostanza di cura si può essere, in reciprocità, sia dominanti che dominati senza problemi, se il medico è forte, l’infermiere consapevole ed il paziente “esigente”; in tal caso nel fenomeno di cura la leadership sarebbe circolante.
(…) le componenti soggettive “l’essere ribelle” “l’essere puro”( …) sono prive di significato reale….. Le professioni sono artefatti sociali e nella costruzione dell’artefatto le utilità da portare possono variare in funzione di ciò che l’uomo, singolo, medico, partecipa alla comunità. La purezza di cui parlo non ha niente a che fare con la psicologia, semmai con la dimensione spirituale dell’individuo medico. Era un invito a coltivare la via interiore perché modifica la volontà e questa conversione della volontà crea influenze sui pensieri e sui sentimenti. Nuovi pensieri , nuovi sentimenti, nuovi artefatti, nuove professioni .
Inviterei il dottor Polillo a leggere “La tranquilla passione” di Corrado Pensa.
Marcella Gostinelli
Infermiera
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