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Giovedì 25 GIUGNO 2015
Chirurgia. In arrivo 12 raccomandazioni  per il trattamento dell’addome complesso

Dopo un anno di studio i chirurghi italiani presentano al congresso Acoi di Genova il protocollo su come tenere aperta la parete addominale in caso di traumi e ferite gravi o di malattie come la peritonite. I pazienti saranno più garantiti e aumenterà la sicurezza in un campo ancora poco definito da parte della scienza medica

Dodici raccomandazioni “made in Italy” per il trattamento dell’addome complesso che chirurghi, ma anche anestesisti, internisti, infermieri, di tutto il mondo seguiranno come fosse un protocollo, in attesa di una più compiuta letteratura scientifica sull’argomento.
 
I risultati, frutto di un anno di studio sul trattamento dell’addome complesso, ossia su come tenere aperta la parete addominale in caso di traumi e ferite gravi o di malattie come la peritonite, sono stati presentati al congresso dell’Associazione chirurghi ospedalieri italiani (Acoi) di Genova. Un lavoro iniziata un anno fa con l’esame, da parte di settanta esperti, di tutta la letteratura scientifica degli ultimi dieci anni, proseguita con la comparazione di migliaia di casi e la disamina delle complicanze esistenti.
Una linea di trattamento terapeutico dei chirurghi italiani grazie alla quale, sottolineano i chirurghi dell’Acoi in una nota “si morirà di meno per peritoniti, occlusioni oncologiche e per tutti quei motivi che costringono i medici a non chiudere la parete addominale al momento dell’intervento”.
 
In Italia si definisce così una nuova frontiera dell’applicazione medica, fino a qualche anno fa neanche presa in considerazione a causa delle numerose difficoltà: “Una delle principali consisteva nella difficoltà di chiudere l’addome – spiegano gli esperti – una pratica che si è evoluta velocemente grazie alla tecnologia, passando da sistemi di chiusura con la plastica a nuovi materiali sintetici e biologici. Il trattamento dell’addome aperto è una tecnica giovanissima, nata negli Usa una quindicina di anni fa e poi approdata in Italia. Si è lentamente affermata come risposta alla ‘sindrome compartimentale’, la compressione degli organi interni dopo la chiusura, che aveva un’incidenza nefasta molto alta. Questa pratica riguarda, solo in Italia, tra i cinquemila e i diecimila casi ogni anno”.
 
Con la nuova linea di trattamento terapeutico dei chirurghi italiani, i pazienti saranno più garantiti e aumenterà la sicurezza in un campo ancora poco definito da parte della scienza medica.
“Malgrado i tempi, i tagli, le difficoltà – ha spiegato il presidente onorario Acoi, Gianluigi Melotti – ancora i chirurghi italiani lavorano ad alto livello scientifico nell’interesse dei propri pazienti, confermando che la disponibilità di accesso alle tecnologie più avanzate è un fattore imprescindibile per il mantenimento degli altissimi livelli di qualità raggiunti dal mondo chirurgico nazionale”.

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