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Mercoledì 27 MAGGIO 2015
Banca d’Italia. Crollano i redditi degli operatori nei servizi sanitari e sociali: in 8 anni perso il 13,2% della retribuzione “reale”. Ma la spesa sanitaria riprende a crescere (+0,9% nel 2014)
L’incremento della spesa sanitaria dovuto soprattutto all’aumento del costo per beni e servizi (+3,5%). Il personale dei servizi sanitari e sociali segna invece una perdita secca del valore delle sue retribuzioni. Dal 2006 al 2014 la paga oraria “reale” (deflazionata) è calata da 19,7 euro a 17,4 euro. Nelle regioni in Piano di rientro livelli di assistenza restano inferiori alla media. LA RELAZIONE. APPENDICE
Lo sapevano tutti. Ma ora il dato trova una conferma ufficiale nell’ultima relazione annuale della Banca d’Italia (i dati si trovanno nell'appendice alla relazione) presentata ieri: le retribuzioni dei lavoratori dipendenti nei servizi sanitari e sociali sono crollate in questi ultimi anni.
E non di poco: su base oraria la retribuzione lorda deflazionata in base all’indice generale dei prezzi al consumo, passa dai 19,7 euro del 2006 ai 17,4 euro del 2014. Una perdita secca di 2,3 euro l’ora pari a un calo del potere d’acquisto di questi lavoratori di ben il 13,2%.
Un calo che annulla completamente l’aumento delle retribuzioni in valore assoluto che nello stesso periodo sono salite del 9,57%, passando da una media annua lorda di 38.650 euro del 2006 ai 42.352 euro del 2014.
Quindi gli stipendi aumentano ma l’inflazione e il blocco delle retribuzioni ormai in vigore da anni annulla gli aumenti e anzi dà luogo a una perdita reale di ricchezza per questi lavoratori.
In totale, sempre secondo la Banca d’Italia, che non fa una distinzione tra sanità e sociale, nel 2014 sono 1,498 milioni gli occupati con rapporto di lavoro dipendente nei servizi sanitari e sociali (erano 1,370 milioni nel 2006).
Un totale che arriva 1,814 milioni (sempre nel 2014) se si calcolano anche gli occupati senza un contratto di lavoro dipendente (erano 1,643 milioni nel 2006).
Fonte: Istat, Conti economici nazionali.
(1) Deflazionate con l’indice generale dei prezzi al consumo
La spesa sanitaria torna a crescere ma meno degli stanziamenti. La Banca d’Italia fa anche una breve analisi dell’andamento della spesa sanitaria pubblica nel 2014 registrando un’inversione di tendenza rispetto agli ultimi tre anni di calo, con un incremento dello 0,9% rispetto al 2013, attestandosi su 111 miliardi, pari al 6,9% del Pil.
Un aumento che è conseguenza dell’incremento massiccio dei costi per i consumi intermedi (ovvero acquisto di beni e servizi e per assistenza convenzionata) pari al 3,5% e della voce per le prestazioni sociali in natura che hanno fatto registrare un aumento dello 0,8%.
Per il resto i costi della sanità sono rimasti invariati o diminuiti (quelli dei redditi da lavoro hanno segnato un ulteriore ribasso dello 0,7%). E infatti, seppur aumentata di poco meno dell’1% annuo, l’incremento della spesa sanitaria è stato comunque più contenuto di quello delle risorse stanziate, ovvero la spesa cresce rispetto all’anno precedente ma in misura inferiore della crescita degli stanziamenti, a sottolineare che il settore sembra ormai lontano dagli anni della crescita a due cifre.
Una ulteriore conferma del buon andamento dei conti della nostra sanità viene anche dalle regioni in Piano di rientro.
Secondo la Banca d’Italia essi “si sono dimostrati efficaci nel contenere la spesa”. “Nel primo ciclo di programmazione (2007-09) – si legge nella relazione - le Regioni interessate (Liguria, Lazio, Abruzzo, Molise, Campania, Calabria, Sicilia, Sardegna) avevano già registrato un sensibile rallentamento degli esborsi, sia rispetto al triennio precedente (1,5 per cento l’anno, contro il 3,8 nel 2004-06), sia con riferimento al resto del Paese (dove la spesa cresceva del 4,1 per cento l’anno)”.
“Il consolidamento – prosegue la Banca d’Italia - si è rafforzato nel secondo ciclo di programmazione (2010-12): nelle regioni coinvolte (Piemonte, Lazio, Abruzzo, Molise, Campania, Calabria, Puglia e Sicilia) la spesa si è ridotta (dello 0,6 per cento in media all’anno), a fronte di una modesta crescita nelle altre regioni (dell’1,1 per cento)”.
“Queste stesse Regioni – prosegue la relazione - sono tuttora impegnate nell’esecuzione di programmi operativi che seguono i già menzionati piani di rientro e il contenimento della spesa ha comportato una flessione sia dei posti letto (del 3,2 e del 3,6 per cento l’anno rispettivamente nel triennio 2007-09 e in quello 2010-12) sia degli organici (del 2,2 per cento l’anno in entrambi i periodi); nel resto del Paese la contrazione si è manifestata soprattutto a partire dal 2010 ed è stata meno pronunciata”.
La qualità delle prestazioni nelle regioni in deficit non peggiora ma resta inferiore alla media. “Alcune evidenze – conclude la Banca d’Italia - suggeriscono che l’attuazione dei piani di rientro non avrebbe peggiorato la qualità delle prestazioni: nel secondo ciclo di programmazione le valutazioni circa il rispetto dei livelli essenziali di assistenza, pubblicate dal Ministero della Salute, e gli indicatori sull’esito delle principali prestazioni ospedaliere, elaborati dall’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, sarebbero complessivamente migliorati per le Regioni interessate (grazie anche a un rafforzamento dell’attività di monitoraggio sulla qualità del servizio) e il divario rispetto al resto del Paese si sarebbe ridotto. Il livello delle prestazioni sanitarie nelle Regioni sottoposte a piano di rientro continua, tuttavia, a risultare mediamente inferiore a quello del resto del Paese, come attestato dal permanere di significativi flussi di mobilità in uscita”.
C.F.
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