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Lunedì 18 MAGGIO 2015
Neonati. Nelle prime cinque settimane, le carezze materne si “imprimono” nel Dna

Secondo uno studio britannico, un aumento delle carezze materne a cinque settimane dalla nascita risulta collegato a una riduzione delle metilazione del promotore del recettore dei glucocorticoidi, ormoni prodotti dai surreni. "Ciò evidenzia l’importanza del primo periodo post-natale", hanno osservato i ricercatori.

(Reuters Health) – Le carezze materne hanno effetti fisiologici positivi sui neonati. Tecnicamente - secondo uno studio britannico – sono in grado di ridurre la metilazione del promotore 1-F del recettore per i glucocorticoidi (GR), ormoni prodotti dai surreni. Il team di ricerca della University of Reading (Regno Unito), guidato da Jonathan Hill, ha indagato sul nesso causale tra depressione pre e post-natale materna e aumento del promotore 1-Fdel gene recettore dei glucocorticoidi, allo scopo di valutare se le carezze materne possano mutare questo effetto. I ricercatori hanno utilizzato i dati del Wirral Child Health and Development Study di Liverpool.

Da questa indagine è emerso che l’aumento della metilazione nei neonati era associato a una crescente depressione post-natale materna, ma solo nel gruppo di bambini nati da madri non depresse prima del parto. In questo gruppo, un aumento delle carezze materne a cinque settimane dalla nascita, risultava collegato a una riduzione delle metilazione del promotore del recettore dei glucocorticoidi. Invece, a nove settimane dalla nascita, le carezze materne non producevano effetti.

“Ciò evidenzia l’importanza del primo periodo post-natale”, hanno osservato i ricercatori nel loro articolo online su Translational Psychiatry. “Se l’effetto epigenetico verrà ulteriormente supportato, dovremo affiancarlo ad altre evidenze sul ruolo dell’esperienza sociale precoce (ad esempio, sensibilità paterna) per concludere che le prime esperienze possono avere degli effetti in molti modi. Inoltre, dobbiamo ancora capire se sono totalmente indipendenti tra loro o in qualche modo agiscono insieme”, ha concluso il dottor Hill.

Fonte: Translational Psychiatry 2015

Will Boggs
(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science) 

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