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Sabato 07 MARZO 2015
Bambini e psicosi. Potrebbe dipendere da un disturbo dell’autoimmunità

Uno studio australiano conferma l'ipotesi della dopamina e del glutammato alla base delle psicosi. E sostiene la genesi autoimmune di alcune forme di psicosi acuta. Individuata la presenza di anticorpi diretti contro i recettori D2 della dopamina e del glutammato in un gruppo di bambini al primo episodio psicotico. Si apre la strada a nuove terapie.

Le persone con disturbi psicotici presentano alterazioni del sistema immunitario e la scoperta di questa associazione risale a circa un secolo fa. Solo di recente tuttavia, sono stati individuati particolari meccanismi immunitari che sembrano essere alla base di alcuni sintomi tipici delle psicosi, quali ad esempio allucinazioni e deliri.
 
A rispolverare l’ipotesi ‘immunitaria’ ci ha pensato questa volta uno studio pubblicato su Biological Psichiatry, a firma di Karrnan Pathmanandavel e colleghi del Children’s Hospital di Sydney.
 
Gli anticorpi sul banco degli imputati sono quelli diretti conto i recettori D2 della dopamina o contro il recettore del glutammato NMDA (N-methyl-D-aspartate), che sono stati riscontrati in un gruppo di bambini al loro primo episodio psicotico.  Dopamina e glutammato sono proteine di segnale molto importanti, già da tempo tirate in ballo nella patogenesi delle psicosi. Gli anticorpi anti recettori D2 e NMDA non sono mai stati riscontrati nei bambini in buona salute.
In questo studio, sono stati confrontati i sieri prelevati da 43 bambini durante un episodio psicotico acuto, con quelli di 43 controlli di età pediatrica. In questo modo è stato possibile rilevare la presenza di immunoglobuline anticorpali (Ig)G IgM o IgA dirette contro il recettore 2 della dopamina (D2R) e la subunità NR1 del recettore dell’NMDA in 8 su 43 soggetti al primo episodio psicotico.  La presenza di anticorpi sierici anti D2E o NR1 in questi soggetti, secondo gli autori supporterebbe l’ipotesi di una forma di psicosi immuno-mediata.
 
“Gli anticorpi che abbiamo individuato nei bambini al primo episodio psicotico – commenta Fabienne Brilot, autore senior dello studio e Direttore del Gruppo di  Neuroimmunologia presso il Children's Hospital a Westmead in Sydney -suggeriscono che c’è un sottogruppo di pazienti particolare, nel quale l’autoimmunità gioca un ruolo in queste patologie. Questo studio porta acqua al mulino dell’importanza degli anticorpi diretti contro le proteine neurali, ma genera anche una serie di dubbi.
 
Ad esempio, non è chiaro se questi anticorpi funzionino come farmaci a livello del cervello (i farmaci stimolanti i recettori per la dopamina D2 o bloccanti i recettori NMDA provocano effetti collaterali simili ai sintomi dei disturbi psicotici, quali distorsione delle percezioni, deliri e disorganizzazione dei processi di pensiero) o se danneggino i neuroni, attaccandoli. Come anche non è noto se questi anticorpi producano questi sintomi in qualunque persona o non rappresentino piuttosto un epifenomeno di una ‘vulnerabilità’, magari su basi genetiche, alla psicosi.
 
Questo filone di ricerca, pur essendo relativamente giovane, è in rapido sviluppo. Risale ad appena una decina di anni fa infatti la scoperta dell’encefalite da anticorpi anti recettori NMDA, una malattia caratterizzata da un’infiammazione del cervello che si manifesta con una sintomatologia psichiatrica acuta, comprendente anche sintomi psicotici. Spesso viene confusa con la schizofrenia o il disturbo bipolare, mentre è una forma trattabile di infiammazione cerebrale, causata da questi anticorpi anti recettore NMDA.
 
“I risultati scaturiti da questo studio – conclude Brilot – aprono la strada a trattamenti migliori e alla speranza che si possa riuscire a prevenire gravi forme di disabilità, nel sottogruppo di bambini che presenta un episodio psicotico acuto in presenza di questi anticorpi. Questi risultati contribuiscono a confermare il coinvolgimento dell’autoimmunità in alcune patologie neurologiche e aiutano a comprendere meglio la biologia delle patologie neurologiche e psichiatriche. E naturalmente suggeriscono nuovi approcci terapeutici per i bambini affetti da queste patologie invalidanti”.
 
Maria Rita Montebelli

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