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Venerdì 14 NOVEMBRE 2014
Ebola. Lorenzin: "Da Mef risorse per acquisto materiale profilattico per addetti ai controlli. In Italia segnalazioni tutte negative"

Lo ha dichiarato il ministro della Salute ieri in Aula alla Camera in un'informativa urgente del Governo sul virus Ebola. Lorenzin ha poi ribadito che "i soggetti non sono contagiosi finché asintomatici", e che non esistono evidenze di una possibile trasmissione del virus per via aerea. "A breve riconoscimento dell'Aeroporto militare di Pratica di Mare come aeroporto sanitario in analogia a Fiumicino e Malpensa".

La fine dell'operazione Mare Nostrum non si tradurrà nel venir meno dei controlli sanitari, continueranno ad esserci due controlli sui migranti che sbarcano sulle coste italiane: a bordo viene effettuata la maggior parte dei controlli; se non c’è un medico del servizio sanitario nazionale, il controllo viene effettuato a terra, prima dello smistamento dei migranti verso i centri di accoglienza. Per queste operazioni sarà però necessario dotare il personale incaricato di ulteriori strumenti, che consentano di individuare casi sospetti e sufficienti per garantire la protezione individuale, quali misuratori a distanza della temperatura corporea, mascherine, guanti ed altro, al fine di garantire la sicurezza delle attività cliniche e di identificazione e soccorso. In tal senso sono state richieste ed ottenute dal Mef ulteriori risorse per l'acquisto di materiale profilattico e informativo.
Così ieri, il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, è intervenuta in un'informativa urgente del Governo sulle misure di prevenzione adottate in relazione al virus Ebola.
Lorenzin, ripercorrendo l'intera vicenda dell'evoluzione e diffusione del virus, ha poi ricordato: "I soggetti non sono contagiosi finché sono asintomatici, finché non presentano i sintomi. Questo punto deve essere molto chiaro. Non ci sono evidenze di trasmissione del virus per via aerea".
Molte le segnalazioni di possibili casi arrivate al Ministero anche in Italia, "tutte - ha spiegato il ministro -sono state oggetto di apposite indagini epidemiologiche e di approfondimenti diagnostici e hanno dato esito negativo".

Riportiamo di seguito l'intervento integrale del ministro Lorenzin.
 
Lorenzin. Signor Presidente, gentili onorevoli, sono qui per fornire, a nome del Governo, aggiornate informazioni, e anche una sintetica rappresentazione, dell'evolversi del virus, sin dalla sua comparsa, in ordine al quadro, peraltro in continua evoluzione, relativo all'epidemia del virus ebola e, in particolare, alle ulteriori iniziative che il Governo intende adottare al fine di contrastare la diffusione dello stesso virus.
Come molti ormai sanno, il 21 marzo del 2014, il Ministero della salute della Guinea ha notificato all'Organizzazione mondiale della sanità un'epidemia a rapida evoluzione, causata dal virus ebola.
Già in data 4 aprile, l'Italia tra i primissimi Paesi al mondo, se non il primo, ha emanato una circolare per richiamare agli obblighi e alle procedure connesse per il trattamento e la prevenzione delle malattie emorragiche virali. Questo è avvenuto, ovviamente, anche allertando i nostri uffici di frontiera nei porti e negli aeroporti e, inoltre, attivando, immediatamente, riunioni di coordinamento tra tutte le amministrazioni coinvolte.
L'epidemia ha preso avvio nella Forest region, ai confini con gli Stati della Sierra Leone e della Liberia, e ha coinvolto, successivamente, la capitale Conakry.

Il primo caso in Liberia è stato notificato il 30 marzo e in Sierra Leone il 25 maggio del presente anno.
Deve aggiungersi che dal dicembre del 2013, quando l'epidemia avrebbe avuto effettivamente inizio, sono stati riportati dall'Organizzazione mondiale della sanità, alla data del 12 novembre, data dell'ultimo report dell'OMS, 14.098 casi probabili, confermati e sospetti, inclusi 5.160 decessi, con un tasso di letalità medio di circa il 36 per cento: in Guinea, dove la letalità è del 61 per cento, in Liberia, con letalità del 42 per cento, Mali e Sierra Leone, con letalità del 22 per cento Spagna, Stati Uniti d'America, Nigeria e Senegal.
Tali dati, come è facile intuire, sono soggetti a continue variazioni. Colpisce il fatto che 564 operatori sanitari sono stati contagiati e 320 sono morti, con un tasso di letalità vicino al 60 per cento.
In Nigeria, dove il virus è stato introdotto nel mese di luglio dalla Liberia, sono stati registrati 20 casi 8 decessi (oltre al caso indice, si sono verificati casi secondari e terziari a Lagos e a Port Harcourt), il Paese è indenne dal 19 ottobre 2014. In Senegal, dove il virus è stato introdotto a fine agosto dalla Guinea, si è verificato un caso confermato. Infatti, due casi sospetti sono stati esclusi, in quanto non casi, e il Paese è stato dichiarato indenne il 17 ottobre del 2014. La Nigeria è stata dichiarata ufficialmente area libera dal virus di ebola il 19 ottobre e il Senegal il 17, ovvero dopo 42 giorni dall'ultimo caso confermato di ebola, come stabilito dall'OMS.
Su questo vorrei dire una cosa: è evidente che i casi della Nigeria e del Senegal mettono in luce il fatto come degli Stati africani che hanno una situazione di organizzazione dei sistemi sanitari, anche se di base, sono riusciti a contrastare immediatamente il diffondersi dell'epidemia. Il tema vero, che poi ci ha fatto riflettere dal punto di vista internazionale, è proprio come nel West Africa, invece, non si sia riusciti a contrastare dall'insorgere della malattia il virus, proprio per la mancanza delle più elementari basi di igiene pubblica o per la mancanza di un elementare sistema sanitario.
Questa è, per così dire, una durissima e amara lezione, che il mondo sta imparando e che dovrà assimilare poi per fronteggiare epidemie future.

Il 24 ottobre è stato segnalato un caso confermato da malattia di virus ebola anche dal Mali, in una bambina proveniente dalla Guinea, poi deceduta. A tale caso se ne è aggiunto un secondo, segnalato proprio nella giornata di ieri. Si tratta del decesso di un'infermiera di una clinica privata di Bamako, che è stata infettata da un paziente proveniente dalla Guinea e che era in cura nella clinica dove poi è deceduto.
Evidenzio, comunque, che anche grazie all'intervento dell'OMS sono state immediatamente attivate le procedure previste per l'identificazione e il follow up dei contatti. Attualmente 82 contatti sono sotto sorveglianza. Come seguito dell'inchiesta epidemiologica, sono state identificate altre due morti sospette, che portano a quattro i casi confermati e probabilmente tutti sono deceduti.
Il 26 agosto, il Ministero della salute della Repubblica democratica del Congo ha notificato all'OMS un focolaio di malattie da virus da ebola nella provincia di Equater, con un tasso di letalità del 75 per cento, più vicino alle epidemie degli anni precedenti.
Il caso indice è una donna incinta, che risiedeva nel villaggio di Ikanamongo, che aveva macellato un animale selvatico ucciso dal marito. Ha manifestato i sintomi della MVE e si è recata in una clinica privata nel villaggio Isaka. L'11 agosto è morta a causa di una febbre emorragica non identificata. I costumi locali – non è ammesso seppellire donne con i loro feti e,
pertanto, è stato effettuato un cesareo post mortem per estrarre il feto – e le usanze funerarie hanno fatto sì che altri operatori sanitari siano stati esposti al virus e abbiano manifestato sintomi la settimana successiva.
A questo proposito voglio dire che uno dei lavori più importanti che stanno effettuando le organizzazioni internazionali in West Africa è proprio quello di dissuadere la popolazione dal perpetrare usi funerari – voi potete immaginare quanto sia complesso questo, perché sono usi e costumi profondamente radicati nel territorio e nella religione – per riuscire a debellare quella che è una delle principali cause di veicolazione del virus.
Tra il 28 luglio e il 29 ottobre 2014 sono stati segnalati all'OMS un totale di 66 casi, inclusi 49 decessi, di cui 8 hanno riguardato operatori sanitari. È stata stabilita la trasmissione interumana che ha coinvolto il personale sanitario esposto durante un taglio cesareo post mortem, un medico e due infermieri, oltre all'igienista e ad un ragazzo del reparto, i quali hanno sviluppato i sintomi e sono morti. Altri decessi sono stati registrati tra i parenti che hanno assistito il caso indice, persone che erano in contatto con il personale medico e coloro che hanno manipolato i corpi durante il funerale.
Il caso indice e i 386 contatti identificati, 239 dei quali ancora sotto sorveglianza, non hanno storie di viaggi nei Paesi affetti da MVE dell'Africa nordoccidentale (Guinea, Liberia, Nigeria e Sierra Leone) o storie di contatti con soggetti provenienti da aree infette. L'epidemia della Repubblica democratica del Congo non è correlata a quella attualmente in corso in Africa occidentale: si tratta di altri ceppi endemici.
Più recentemente sono stati confermati casi di MVE anche in Paesi occidentali, ovvero uno in Spagna e quattro, incluso un decesso, negli Stati Uniti d'America. In entrambi i Paesi sono stati registrati casi in operatori sanitari, che avevano assistito pazienti affetti da MVE. In questi Paesi è stata registrata una trasmissione limitata dell'infezione, grazie all'esistenza di sistemi sanitari solidi ed efficienti, che sono stati in grado di mettere in campo misure adeguate a contenere l'ulteriore disseminazione del virus. Tutti i contatti sospetti hanno concluso il prescritto periodo di quarantena senza sviluppo di malattia.
In merito alla manifestazione del virus, come sapete, il periodo di incubazione del virus è mediamente di 8-10 giorni, con un range di 2-21 giorni. Preciso che 21 giorni è il periodo considerato massimo per scongiurare qualsiasi tipo di comparsa della malattia. Al momento non è possibile identificare i pazienti affetti durante il periodo di incubazione, neanche con i test molecolari. E, comunque, i soggetti infetti non sono contagiosi fino a quando sono asintomatici. Questo è un elemento che deve essere ben chiaro: i soggetti non sono contagiosi fino a quando sono asintomatici, cioè fino a quando non presentano febbre, vomito, diarrea o altri dei sintomi di ebola.

In merito alle modalità di trasmissione, argomento che reputo estremamente importante, anche per fare chiarezza, a beneficio dei nostri cittadini, le informazioni scientifiche disponibili, desunte dalle pregresse epidemie di ebola, evidenziano come il virus ebola si trasmette attraverso il contatto diretto della cute o delle mucose, con sangue o altri liquidi o materiali biologici (saliva, feci, vomito, sperma), incluse le secrezioni salivari dei soggetti malati.
La trasmissione del virus può avvenire anche con il contatto indiretto della cute o delle mucose, con oggetti contaminati con sangue o altri liquidi biologici, ad esempio gli aghi.
Non vi sono evidenze di trasmissione del virus per via aerea.
Ricordo peraltro che, fin dal 28 marzo 2014, è stata attivata e viene costantemente aggiornata una sezione del sito Web del Ministero della salute che offre informazioni complete sulla malattia del virus ebola, oltre che un quadro aggiornato dell'evoluzione epidemica nei Paesi colpiti.
Le probabilità di trasmissione del virus cambiano nel corso della malattia con l'evolversi delle manifestazioni cliniche.

All'inizio, quando è presente solo febbre, in assenza di vomito, diarrea o di manifestazioni emorragiche, il rischio di trasmissione è basso.
Nelle fasi tardive, quando compaiono manifestazioni emorragiche, il rischio è significativamente più elevato e rimane molto elevato anche dopo la morte.
Per questo motivo sono raccomandati sia l'isolamento dei pazienti che l'uso di dispositivi di protezione per gli operatori che li assistono, implementati in relazione alla fase del percorso assistenziale, in ragione della valutazione del rischio, cioè alla probabilità che il paziente sia stato effettivamente esposto ad un malato di ebola, stadio e decorso clinico della malattia.
Quindi possiamo dire che l'attuale epidemia in Africa occidentale è causata da un ceppo Zaire del virus ebola ed è la prima epidemia da virus ebola che interessi l'Africa occidentale, la più estesa mai registrata per numero di casi e diffusione geografica e la più complessa in termini di gestione e controllo.

Si tratta della prima volta che tale epidemia coinvolge grandi città e basta ad ognuno di noi vedere le immagini che provengono dalle grandi città della Sierra Leone per capire che cosa significhi. Oltretutto si sta verificando un allarme non solo sanitario, ma umanitario gravissimo, perché le popolazioni non sono più in grado di avere una disponibilità di medicine e di cure per le altre patologie per cui si muore e soprattutto la somministrazione di cibo.
Successivamente parleremo anche di come l'epidemia si è evoluta nell'ultimo mese e di come, a seguito di questo, l'Italia sia stata interessata: oltre alle Commissioni di sicurezza europee, abbiamo partecipato al GHSA e quindi siamo ormai all'interno di un coordinamento mondiale per quanto riguarda il contrasto alla diffusione del virus.
Ci tengo a ribadire che tutte le organizzazioni e gli analisti hanno affermato che il virus si è trasmesso e l'epidemia è cresciuta a causa dell'incapacità dei Paesi in cui è scoppiata, come vi dicevo prima, di mettere in atto misure sanitarie che per noi sarebbero elementari: rintracciare le persone contaminate, contenere la diffusione dell'infezione, effettuare il risanamento.
Purtroppo questo ha portato ad una crescita esponenziale dell'evento epidemico, su cui oggi bisogna assolutamente intervenire, per evitare che questo virus si trasformi non soltanto in una grandissima ed ulteriore tragedia sanitaria, ma anche in una tragedia umanitaria, con conseguenze anche geopolitiche incalcolabili.
Per quanto riguarda il rischio, abbiamo evidenziato che la possibilità di essere infettati è ovviamente più elevata per gli operatori sanitari e per il personale delle organizzazioni umanitarie che forniscono assistenza e cure mediche nelle zone colpite.
A loro è consigliato di indossare indumenti protettivi, comprese maschere, guanti, camici e presidi di protezione per gli occhi e di mettere in atto le misure adeguate di prevenzione e controllo delle infezioni.
Confrontandoci con la Croce Rossa, è emersa la necessità di un forte turn over di questi operatori, che ovviamente sono sottoposti ad un grandissimo stress, avendo adottato anche misure cautelari maggiori rispetto a quelle previste per la protezione dei pazienti: da mesi evitano i contatti fisici tra loro, non ci sono strette di mano, abbracci, contatti di alcun genere, proprio per escludere qualsiasi tipo di contaminazione tra gli operatori.
Inoltre, d'intesa con la cooperazione italiana, stiamo valutando di realizzare, nelle zone colpite, dei centri di compensazione per gli operatori sanitari delle ONG prima del loro rientro in Europa.
Ricordo che le ONG già applicano al proprio interno misure di moral suasion, nel senso che si tende a non far partire gli operatori prima dei ventuno giorni. Il Ministero ha in ogni caso concordato con le singole ONG una procedura di allerta e verifica delle condizioni di rischio e di profilo clinico al momento del rientro in patria, che viene monitorato secondo i quattro parametri di rischio concertati a livello internazionale che prevedono, in caso di verificata esposizione, la proibizione del viaggio internazionale e l'osservazione in isolamento nei Paesi in epidemia.

Per quanto riguarda la presenza del virus nei Paesi extracomunitari, ritornando a quanto accaduto negli Stati Uniti d'America, il primo caso da malattia da virus ebola è stato un cittadino liberiano che ha sviluppato sintomi circa quattro giorni dopo il suo arrivo negli Stati Uniti. Tale soggetto si è rivolto per la prima volta ad un servizio di pronto soccorso della città di Dallas, il 26 settembre, ed è stato messo in isolamento due giorni dopo. Poiché la persona era asintomatica durante il viaggio, le persone che erano a bordo degli stessi aeromobili, tutte rintracciate, sui quali era imbarcato il predetto soggetto, non hanno corso rischi. Tre persone che sono venute in contatto con il paziente liberiano mentre era asintomatico si sono a loro volta ammalate. Proprio il primo caso degli USA dimostra come il pericolo della diffusione della malattia da virus ebola possa essere scongiurato solo attraverso il rigoroso rispetto dei protocolli di sicurezza che nel caso americano non sono stati rispettati, atteso che la persona, pur presentando i sintomi di un possibile contagio, non è stata immediatamente isolata al primo accesso alla struttura ospedaliera. Ciò ha comportato con ogni probabilità che la predetta persona sia venuta in contatto con altri soggetti, poi rintracciati e posti sotto sorveglianza sanitaria per poter disporre immediatamente il ricovero in idoneo ambiente ospedaliero al manifestarsi dei primi sintomi clinici. Sempre negli Stati Uniti, è stato internato e curato nello Stato del Nebraska il secondo caso, un operatore di riprese, che ha lavorato nelle zone colpite dall'epidemia in Africa occidentale.

Anche il continente europeo ha registrato il primo caso di soggetto infettato in un'infermiera ausiliaria che avrebbe contratto la malattia nel prestare assistenza sanitaria o comunque nell'occuparsi di un paziente, un volontario di un'organizzazione umanitaria che aveva contratto la malattia in uno dei Paesi africani ed era stato riportato nel proprio Paese di origine. In questo caso, come in quello americano, si sarebbe verificata la non rigorosa applicazione delle misure di sicurezza, in particolare nell'uso non corretto degli strumenti di protezione, il che evidenzia la necessità che il personale sanitario, e più in generale tutti coloro che forniscono cura e assistenza ai soggetti affetti dal virus di ebola, siano adeguatamente formati nelle tecniche di utilizzo degli indumenti protettivi, comprese maschere, guanti, camici e presidi di protezione per gli occhi. Anche le autorità spagnole hanno provveduto a individuare e a porre immediatamente in isolamento i soggetti con i quali l'infermiera è venuta in contatto. Gli altri casi riguardano soggetti volontariamente importati, come si suol dire, perché evacuati dai Paesi interessati dall'epidemia: uno già ricordato in Spagna, che purtroppo è deceduto; uno nel Regno Unito, con condizioni cliniche stabili; due in Germania, un senegalese e un ugandese, cooperanti rispettivamente per l'OMS ed Emergency, dalle condizioni stabili; uno in Svizzera, operatore sanitario australiano della Federazione internazionale della Croce Rossa, considerato come persona da sottoporre ad indagine, ma non come un caso sospetto probabile.
In Italia, le numerose segnalazioni di casi sospetti – abbiamo avuto numerosissime segnalazioni che si sono intensificate nei mesi di luglio, di agosto e anche nei successivi –, dovute anche a un sistema di allerta attivato nel Paese, che sono pervenute fino ad oggi al Ministero, sono state oggetto di apposite indagini epidemiologiche e di approfondimento diagnostico, come previsto dalle circolari emanate e hanno dato tutte esito negativo. L'incremento dell'epidemia nell'Africa occidentale è stato confermato dai dati epidemiologici dell'OMS nel dato più volte rappresentato nelle ultime settimane, con una curva epidemica che si pensa che dopo Natale possa avere un picco di 20 mila casi. A questo proposito, ricordo che il coordinamento delle misure sanitarie a livello europeo è sotto l'egida dell’Health Security Committee dell'Unione europea che, oltre ad avvalersi della consulenza tecnica del Centro europeo per il controllo delle malattie (ECDC), si basa sulle raccomandazioni fornite dall'OMS.
Le raccomandazioni temporanee emanate dal comitato di emergenza del regolamento sanitario internazionale dell'8 agosto 2014 sono state in tal senso reiterate lo scorso 22 settembre. Altre forme di coordinamento per gli aspetti umanitari e per quelli di sicurezza fanno rispettivamente capo alla direzione generale ECHO, cioè alla cooperazione umanitaria, e al comitato politico per la sicurezza (CPS).

L'Unione europea ha nominato un coordinatore ebola unico nella persona del commissario Christos Stylianides in visita nei tre Paesi colpiti dal 12 al 16 novembre, accompagnato dal commissario per la salute Vytenis Andriukaitis. Il Ministero della salute ha fornito con la circolare del 4 aprile 2014 e con quelle successive rispettivamente in data 8 aprile, 8 agosto e 1o ottobre dettagliate disposizioni per il rafforzamento delle misure di sorveglianza nei punti di ingresso internazionali, porti e aeroporti, presieduti dagli uffici di sanità marittima e aerea di frontiera cosiddetti USMAF. Noi abbiamo 12 USMAF centrali in Italia e 25 territoriali in fase di revisione secondo il prossimo di DPCM di riordino degli uffici ministeriali. Ne rimarranno 7 centrali con 36 uffici territoriali. Gli USMAF sono situati all'interno di porti ed aeroporti e costituiscono un filtro contro le malattie potenzialmente epidemiche. Sono le prime strutture chiamate a fare vigilanza igienico-sanitaria sui mezzi, merci e persone in arrivo sul territorio italiano e comunitario. Negli USMAF lavorano al momento 448 persone di cui 79 medici (a Fiumicino abbiamo 6 medici, a Malpensa 7 ma alcuni di questi debbono necessariamente occuparsi anche dell'aeroporto di Linate). Si tratta di una dotazione, soprattutto quella medica, che ritengo non adeguata. Per tale ragione vi anticipo che mi sono convinta della necessità di proporre un'iniziativa normativa: penso proprio ad un emendamento al disegno di legge di stabilità per l'anno 2015 che garantisca un potenziamento degli stessi uffici. Sono convinta che tale iniziativa troverà un positivo riscontro in Parlamento, comprendendo la necessità che abbiamo di potenziare questi sistemi di sicurezza. L'USMAF hanno attivato indispensabili collegamenti operativi con i servizi di emergenza sanitaria territoriale tanto del Servizio sanitario nazionale quanto dei servizi sanitari aeroportuali e delle navi. Ricordo come medici USMAF abbiano anche garantito screening e prima assistenza sanitaria a bordo delle navi impegnate nell'operazione Mare Nostrum spesso in condizioni di particolare disagio che hanno saputo gestire brillantemente. E a questo proposito ringrazio tutti i medici sia della Marina militare sia i medici dell'USMAF che hanno prestato servizio in questi mesi. Per consentire il rafforzamento delle misure di sorveglianza in corrispondenza dei punti di ingresso internazionali sono state date specifiche indicazioni perché il rilascio della libera pratica sanitaria alle navi che nei 21 giorni precedenti abbiano toccato uno dei porti dei Paesi colpiti avvenga solo dopo verifica da parte dell'USMAF della situazione sanitaria a bordo. Mentre per ciò che concerne gli aeromobili è stata richiamata la necessità dell'immediata segnalazione di casi sospetti a bordo per consentire il dirottamento dell'aereo sugli aeroporti sanitari designati ai sensi del regolamento sanitario internazionale del 2005. Gli USMAF degli aeroporti di Roma Fiumicino e Milano Malpensa, designati come aeroporti sanitari, hanno emanato specifiche ordinanze aeroportuali per disciplinare gli interventi in caso di segnalazione di casi sospetti di malattie infettive a bordo e di aeromobili provenienti direttamente o indirettamente dalle aree infette. I due aeroporti sanitari di Roma Fiumicino e Milano Malpensa sono collegati ai centri di riferimento nazionale Sacco a Milano e Spallanzani a Roma ed esercitazioni vengono tenute presso ciascun USMAF con cadenze regolari. Proprio nella giornata di ieri si è svolta un'esercitazione nella quale è stata simulata l'evacuazione medica in alto biocontenimento di un soggetto che è stato trasportato dall'aeroporto militare di Pratica di Mare a quello di Milano Malpensa e da qui al centro di riferimento dell'ospedale Sacco di Milano per verificare l'attendibilità della catena gestionale dell'evento acuto. Accanto ad una supervisione mirata che abbiamo messo in atto: oggi il direttore generale della prevenzione sanitaria è ad esempio in Sicilia per la verifica della qualità del servizio di sorveglianza e allerta nella regione che è maggiormente esposta all'arrivo di migranti per via marittima. È in corso l'inventario e la revisione dei piani regionali che sono stati impostati in base e a seguito dell'adozione delle circolari ministeriali. L'Ente nazionale aviazione civile e il comando generale della capitaneria di porto Guardia costiera sono invitati a prestare la loro indispensabile collaborazione per l'efficace e completa realizzazione di queste raccomandazioni.

Con la circolare del 10 ottobre, che è in corso di revisione a seguito di una raccomandazione ripresa, congiuntamente, da CDC federali degli Stati uniti e dall'ECDC europeo, sono state fornite indicazioni non solo sui centri di riferimento nazionali e sui centri clinici a livello delle regioni e province autonome in cui possano essere gestiti casi sospetti o confermati di infezioni da virus ebola, ma anche circa le modalità di stratificazione del criterio epidemiologico in base al rischio di esposizione, la valutazione iniziale e la gestione di casi sospetti o confermati di malattie da virus ebola, le modalità per il trasporto, le precauzioni da adottare per la protezione degli operatori sanitari, le misure nei confronti di coloro che vengono a contatto con casi di malattia.
Tali misure, se sono sicuramente idonee ad individuare e trattare i casi che presentano un quadro sintomatico di una possibile infezione da virus ebola, non sono, invece, sufficienti nei riguardi di coloro che manifestano tale sintomatologia solo dopo il loro arrivo nel continente europeo. Si precisa che, al momento, l'Italia è destinataria di voli diretti soltanto dalla Nigeria, Paese che, come è stato detto, ha avuto un focolaio di casi secondari e terziari e legati ad un unico caso importato nel luglio 2014, ed è stato dichiarato area indenne dal 19 ottobre 2014. Tali voli diretti arrivano con cadenza trisettimanale all'aeroporto di Fiumicino dove l'USMAF è pronto ad intervenire in caso di segnalazione di casi sospetti, come, del resto, per qualsiasi altra provenienza.
Tutti gli altri Paesi colpiti – Guinea, Liberia, Sierra Leone – sono collegati all'Italia solo mediante voli indiretti, che fanno scalo in hub europei come Bruxelles, Madrid, Lisbona, Parigi ed altri o nel nord-Africa. Ne consegue che i viaggiatori provenienti dalle aree colpite potrebbero arrivare in Italia attraverso voli di provenienza comunitaria e non comunitaria.

Quindi, proprio per questo, sono state predisposte delle misure per rafforzare il sistema di sorveglianza a livello europeo e non soltanto riguardante l'Italia, che prevedono il rafforzamento e il potenziamento delle procedure per l'individuazione dei soggetti che potrebbero essersi infettati già nei Paesi africani colpiti dall'epidemia prima del loro imbarco sugli aeromobili con destinazione in uno degli aeroporti continentali: cioè, è molto importante lo screening in uscita da questi Paesi e il controllo dei passeggeri in uscita. Al riguardo, si sta implementando la cooperazione con i Paesi implicati e tutte le ONG presenti. In particolare, le tre ONG maggiori attive in loco - cioè, MSF, Emergency e Cuamm – sono state allineate con un protocollo di gestione condiviso dei rientri dei rispettivi operatori sanitari, che è operativo.
Analoghe misure sono state concertate e rese operative con l'Aeronautica militare, che supervisiona i rientri di militari statunitensi presso la base di Vicenza. A questo proposito, il Ministero della salute sta procedendo al riconoscimento dell'aeroporto di Pratica di Mare come aeroporto sanitario in analogia a Fiumicino e Malpensa e alla delega di funzioni USMAF ai medici militari che sono formati e certificati per questo scopo, limitatamente alle operazioni militari. Per questo noi vogliamo omogeneizzare gli interventi civili rispetto a quelli militari, con analoghe procedure e misure di controllo e di sicurezza.
Ancora: individuazione dei viaggiatori e potenziale rischio al momento dello sbarco e loro accoglienza a cura degli USMAF, che ne gestiscono, poi, il monitoraggio remoto secondo i livelli di classificazione del rischio, in linea con le raccomandazioni dell'OMS e dei centri per il controllo delle malattie negli Stati Uniti e in Europa; informazione al pubblico generale attraverso l'installazione negli aeroporti di cartelloni informativi e distribuzione di opuscoli informativi, che già sono presenti negli aeroporti, ma che vogliamo siano più evidenti e più capillari sui comportamenti da tenere nell'ipotesi in cui, nei giorni successivi all'arrivo, si manifestino i sintomi di una possibile infezione.
A questo proposito, evidenzio che, in considerazione del ruolo di coordinamento di tutti i Ministri della salute europei che mi compete in questo semestre di Presidenza italiana dell'Unione europea, ho già assunto iniziative perché la predetta campagna informativa sia svolta con modalità omogenee in tutti i Paesi dell'Unione europea, in modo tale che in tutte le compagnie aeree, negli aeroporti di transito, anche secondari, si trovi lo stesso livello di informazione, qualora sia sfuggita la prima maglia di controllo – quella più importante –, che è quella relativa ai passeggeri provenienti direttamente dai Paesi colpiti.
Voglio ricordare che in questi mesi sono state controllate decine di migliaia di passeggeri provenienti dai Paesi in uscita e che ne sono stati fermati un centinaio, ma nessuno di questi riscontrava il virus.

Per quanto riguarda le misure di prevenzione concordate da ultimo nella riunione straordinaria del 16 ottobre dei Ministri della salute e convocata su iniziativa congiunta mia e del commissario pro tempore Borg, comunico che vengono aggiornati sistematicamente i protocolli di screening, valutazione clinica, assistenza medica e infermieristica a favore degli operatori umanitari italiani, del personale civile e militare in rientro da periodi di servizio svolti nei Paesi in situazione epidemica. Tale procedura si attua, anche, per le grandi manifestazioni convegnistiche di rango internazionale; per quanto riguarda, in particolare, le misure previste in occasione del vertice FAO ICN2 che si terrà a Roma dal 19 al 21 novembre, i competenti uffici del Ministero della salute sono in costante contatto con i servizi sanitari della FAO e con l'unità di crisi della Farnesina per la gestione condivisa e coordinata di tutti gli aspetti legati all'emergenza ebola.
Si sta predisponendo un sistema di tracciatura dei movimenti e dei contatti di soggetti a rischio nei singoli Paesi, con la possibilità di geolocalizzare viaggiatori internazionali che abbiano come meta secondaria l'Italia, come misura cautelativa ulteriore rispetto agli screening sanitari effettuati in uscita dagli aeroporti locali. Viene mantenuto uno stretto contatto con le autorità federali statunitensi, britanniche e francesi, oltre che con l'OMS a cui sono stati affidati i coordinamenti delle operazioni nei tre Paesi africani coinvolti dall'epidemia. Stiamo inoltre collaborando alla sperimentazione dei candidati vaccini e dei candidati farmaci per la prevenzione e la terapia della malattia avviata dall'OMS.
Per quanto riguarda, invece, l'operazione Mare Nostrum a cui ho già accennato, la partecipazione del Ministero della salute con i propri medici all'attività della Marina militare è attiva dal 21 giugno; da quanto noi abbiamo appreso sono stati fatti ottantamila controlli, oltre ovviamente agli altri, di questi sono stati effettuati dai medici del Ministero della salute 17 mila controlli a bordo delle navi e 48 mila a terra, un numero enorme e di questo ringrazio ancora oltre ai medici del Ministero della salute, i medici della Marina militare e del Servizio sanitario nazionale che stanno prestando un lavoro straordinario. Questa operazione è stata volta proprio a consentire, quando ancora i migranti erano a bordo, prima dello sbarco sul territorio nazionale, i controlli sanitari per accertare la presenza di segni e sintomi sospetti di malattie infettive, ai sensi del regolamento sanitario internazionale dell'OMS. Come è noto l'operazione si è formalmente conclusa il 31 ottobre 2014, tuttavia il Governo ha convenuto sulla necessità che sia assicurato il facing out dell'operazione durante i prossimi due mesi, in parallelo con la nuova operazione Triton a guida dell'agenzia europea Frontex che vedrà la partecipazione di vari Stati europei tra i quali ovviamente l'Italia con l'obiettivo di controllare le frontiere europee sul Mediterraneo per contrastare l'immigrazione clandestina e i traffici dei mercanti di morte.

Voglio tranquillizzare sul fatto che la fine dell'operazione Mare Nostrum non si tradurrà nel venir meno dei controlli sanitari sui migranti, le cui modalità di effettuazione ho già ricordato. Colgo, infatti, questa occasione per annunciare che il Ministero della salute ha definito proprio nei giorni scorsi un protocollo di intesa con il Ministero dell'interno e il Ministero della difesa per garantire la continuazione dei controlli. Più in particolare i Ministeri coinvolti hanno concordato di cooperare nell'attività di assistenza alle persone sbarcate sul territorio nazionale negli ambiti dei flussi non programmati d'ingresso, al fine di rafforzare le misure e gli interventi per la tutela della salute, attraverso accertamenti sanitari da effettuare direttamente nei luoghi di sbarco o in prossimità degli stessi. Ad oggi, comunque, la possibilità che attraverso questo canale arrivino persone affette dalla malattia di ebola per i termini di incubazione di cui ho parlato prima è veramente molto bassa. L'esperienza dell'osservazione delle modalità dei flussi migratori, più che ventennale nel nostro Paese, permette di affermare che la durata del viaggio, in caso di flussi migratori irregolari, è tale da rendere estremamente improbabile l'arrivo attraverso tale canale di casi di malattia da virus ebola, la cui incubazione, come è stato già ricordato, è in media di circa sette, dieci giorni, con un minimo di due e un massimo di ventuno.
In caso di mancanza del medico del Ministero della salute a bordo, i controlli vengono effettuati a terra. Vogliamo dunque sottolineare che ci sono due controlli: a bordo viene effettuata la maggior parte dei controlli; se non c’è un medico del servizio sanitario nazionale, il controllo viene effettuato a terra, prima dello smistamento dei migranti verso i centri di accoglienza.
È in ogni caso necessario dotare il personale incaricato delle operazioni descritte di ulteriori strumenti, che consentano di individuare casi sospetti e sufficienti per garantire la protezione individuale, quali misuratori a distanza della temperatura corporea, mascherine, guanti ed altro, al fine di garantire la sicurezza delle attività cliniche e di identificazione e soccorso.

Tutte queste iniziative richiedono, come vi ho già riferito, risorse aggiuntive sia in termini di personale che economiche, per l'eventuale messa in atto di screening di ingresso, al momento considerate dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie di dubbio rapporto costo efficacia ed utilità, rispetto invece agli screening in uscita dalle zone affette almeno per gli aeroporti secondari come quelli del nostro Paese; i fondi ovviamente servono anche per la distribuzione di materiale informativo.
In proposito, comunico di aver chiesto ed ottenuto da parte del Ministero dell'economia e delle finanze adeguate risorse finanziarie, destinate non solo all'acquisto di materiale profilattico (medicinali di uso non ricorrente, vaccini per attività di profilassi internazionale), ma anche alla pubblicazione e diffusione dei dati e materiali per la prevenzione delle malattie infettive, inclusi i dispositivi di protezione individuale.
A livello comunitario, sono in corso molteplici attività di sostegno ai Paesi interessati che coinvolgono gli Stati membri e le strutture della Commissione: in primis le direzioni generali ECO, cioè la cooperazione umanitaria, ed EPCO, cioè la cooperazione e sviluppo, che stanno lavorando per coordinare gli interventi in loco. Ritengo che queste iniziative siano la principale via da percorrere per sostenere i Paesi colpiti nel contrasto all'epidemia, e nello sforzo di ricostruire i sistemi sanitari collassati da questa emergenza, uno sforzo che sarà importante anche per gli anni a venire. Merita menzione anche un programma straordinario, del valore di 280 milioni di euro, che l'Unione ha promosso in collaborazione con l'industria farmaceutica per consolidare la ricerca sui farmaci e vaccini, che una volta registrati con procedura rapida dagli organi regolatori potranno contribuire al successo della campagna di contenimento epidemico.

Gli organismi europei lavorano anche con le Nazioni Unite, le sue agenzie e le organizzazioni non governative operanti nell'area. Si segnala a questo proposito come siano ormai 19 i centri di trattamento per la patologia virale aperti e funzionanti, rispetto ai 53 che erano stati stimati come necessari all'inizio dell'intervento internazionale, uno per ciascun distretto colpito nel totale dei tre Paesi in stato epidemico. Sono anche attivi 160 posti letto di isolamento e terapia in Guinea, 613 in Liberia e 356 in Sierra Leone; peggiore è la situazione correlata con posti letto di isolamento a livello comunitario per la quarantena dei contatti, dato che risultano aperti solo il 4 per cento del fabbisogno, 98 su 2.636.
Un discorso particolare merita la costituzione di team funerari, che hanno il compito di raccogliere e distruggere i cadaveri in massima sicurezza: ne sono stati infatti costituiti solo 140 dei 370 necessari, con la Liberia che risulta ancora particolarmente indietro con meno di un quarto dei team necessari equipaggiati e formati. Quindi, come si capisce, c’è ancora molto lavoro da fare.

Sul piano degli aiuti, il nostro Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale ha già realizzato un programma di interventi di emergenza da circa 1 milione e mezzo di euro per contrastare l'epidemia di ebola. Gli interventi della cooperazione italiana si articolano in un pacchetto da 7,6 milioni di euro, di cui 6 a valere sul decreto missioni per il secondo semestre 2014 ripartito tra canale multilaterale (3 milioni) e bilaterale (3 milioni), che esaurisce la disponibilità attualmente a disposizione del MAECI per il contrasto all'epidemia. Il focus è sulla Sierra Leone, per interventi da affidare alle ONG italiane attive in loco (CUAMM, ENGIM, DOKITA, AMSI, COOPI, Medici senza frontiere Italia ed Emergency), per attività di tipo sia sanitario e diagnostico che di sostegno sociale. Ricordo poi che il Presidente Renzi ha annunciato nel corso della conference call del 15 ottobre uno stanziamento di 50 milioni di dollari, per il quale è necessaria un'apposita copertura finanziaria sulla nomina di un coordinatore nazionale per ebola già istituita dai nostri principali partner europei.
La cooperazione italiana ha, peraltro, già stanziato un contributo di 240 mila euro a favore dell'OMS per l'invio di medici, la fornitura di medicine e di attrezzature, il rafforzamento dei sistemi di sorveglianza epidemiologica ed il coordinamento e supporto logistico dell'attività di risposta all'emergenza.
La Farnesina finanzierà, inoltre, l'invio di personale sanitario che sia disposto a recarsi volontariamente nei predetti Paesi al fine di prestare la propria attività. Si tratta, in particolare, di professionalità provenienti dall'Istituto nazionale per le malattie infettive Spallanzani e attraverso un apposito fondo sosterrà l'attività delle ONG italiane presenti nella regione, in particolare in Sierra Leone. Il contributo si aggiunge a quello di 200 mila euro concesso ad aprile all'OMS per la realizzazione di attività in Guinea Conakry.
Sul tema dell'evacuazione medica in alto biocontenimento risulta confermata la linea del case by case approach senza previsione di meccanismi automatici, una particolare esigenza a cui bisogna essere pronti anche alla luce dell'aumento dei casi, della maggiore partecipazione del personale sanitario europeo alle attività in loco, cioè in Africa occidentale, manifestatesi fortemente già nelle ultime settimane con richieste provenienti da diversi Paesi e della stessa OMS e quella dell'evacuazione dei pazienti dalle aree affette.

Le richieste possono riguardare in generale: cittadini italiani, cittadini non italiani ma operanti in Italia (ad esempio personale FAO), cittadini di altri Paesi e consiste nella richiesta di solo trasporto verso strutture sanitarie estere e l'evacuazione con cura in Italia. In tal senso l'OMS chiede di stipulare con urgenza un accordo con il nostro Governo finalizzato all'evacuazione e alla assistenza presso l'Istituto Spallanzani di Roma di personale dispiegato nelle aree interessate sotto gli auspici dell'OMS stessa o delle Nazioni Unite.
Va, infatti, tenuto presente che ben pochi Paesi, oltre all'Italia, sono oggi in grado di effettuare una evacuazione medica in condizioni tecniche di piena sicurezza. Pochissimi Paesi, fra i quali l'Italia, possiedono infatti tutte le risorse necessarie per tale evenienza: mezzi aerei adeguati, ambulanze e barelle speciali, materiale di protezione individuale, equipe specializzate di personale formato e strutture di ricoveri in isolamento. 
L'Italia è uno dei pochissimi Paesi in Europa che possono garantire l'evacuazione dei propri cittadini dalla presa in carico del paziente dall'area di contagio al caricamento a bordo in pieno isolamento, al trasferimento in assoluto isolamento in ospedale (in questo caso l'Istituto Lazzaro Spallanzani di Roma), al trattamento in struttura di altissimo livello di biocontenimento.
In particolare l'Istituto Lazzaro Spallanzani di Roma, centro di riferimento nazionale per le malattie infettive, nonché centro collaboratore dell'Organizzazione mondiale della sanità per l'assistenza clinica, la diagnosi, la risposta e la formazione in materia di malattie ad alta contagiosità, rappresenta per il Servizio sanitario nazionale una risorsa la cui importanza è tanto più evidente in caso di eventi rilevanti per la sanità pubblica internazionale quali l'epidemia attualmente in corso.
Lo Spallanzani è una delle quattro istituzioni europee appartenenti a Germania, Francia e Italia identificate e finanziate dalla Commissione europea per la mobilitazione di laboratori di livello di alto contenimento in Africa. Ciò ha fatto sì che la Commissione europea e l'OMS affidassero allo Spallanzani, unitamente agli altri partner del consorzio per il laboratorio mobile europeo, la gestione della risposta immediata all'epidemia di ebola.
La capacità assistenziale dello Spallanzani per gestire eventuali casi e contatti consente di mettere immediatamente a disposizione per il malato un letto di alto isolamento con le caratteristiche di pre-altissimo isolamento definito con la Sars, e quattro stanze singole di isolamento per gli esposti in un reparto svuotato e utilizzato solo a tal fine. Con un preavviso di ventiquattro ore in caso di necessità sarebbe possibile allestire, sempre nello stesso reparto, altre quattro stanze per gli esposti.

L'evento attuale, pur considerando un basso ma non assente rischio di importazione di casi di malattia ad alta contagiosità, ripropone, peraltro, la necessità di arrivare in tempi brevi all'attivazione della nuova struttura di alto isolamento quindi con caratteristiche simili all'unico letto già disponibile di tale tipo realizzato dalla Protezione Civile che renderebbe disponibili altri dieci letti di altissimo isolamento e venti di alto isolamento.
Ciò premesso non posso esimermi dall'evidenziare che, a parte i problemi di interoperabilità tra le attrezzature di diverso tipo acquisite da diversi Stati membri, l'ipotesi di mettere a disposizione dei cittadini non connazionali deve tener conto del fatto che si tratta di un numero assolutamente modesto di risorse in tutta Europa ed è anche per questo che riteniamo cruciale poter lavorare in loco, cioè in Africa occidentale, nella realizzazione di strutture capaci di soccorrere anche gli operatori. A questa criticità stanno lavorando diverse agenzie comunitarie, in particolare il Centro di coordinamento di risposta di emergenza, cioè l'ERC, che fa capo alle strutture comunitarie di protezione civile.

Del ricorso ai velivoli militari si sta occupando il Comitato politico di sicurezza, che ha raccolto ulteriori informazioni circa la disponibilità dei Paesi membri. Anche con riferimento alla malattia del virus ebola, come per tutte le ipotesi in cui sussista il pericolo di diffusione di malattie tra la popolazione, è necessario che sia assicurata un'adeguata informazione al fine di evitare un inutile allarmismo e paura. A proposito, assicuro il costante impegno del mio Dicastero a fornire elementi di informazione completi e comprensibili per tutti per evitare che la paura di diffusione di malattie infettive di indubbia gravità costituisca il pretesto per comportamenti di vera e propria discriminazione, anche razziale, come avvenuto in recenti casi di cronaca. Nel merito delle iniziative informative vi segnalo che, come già è stato più volte detto, è stato attivato e viene sistematicamente aggiornato un sito web dedicato al Ministero della salute che offre informazioni a disposizione in materia completa e trasparente oltre che un quadro aggiornato dell'evoluzione epidemica nei Paesi colpiti, le cui informazioni sono anche inserite nel sito dell'unità di crisi del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale. È stato attivato nella giornata di ieri il numero di pubblica utilità 1500, gestito dal Ministero della salute in collaborazione con l'Istituto superiore di sanità, che garantisce risposte precise e puntuali da parte di personale addestrato a favore del pubblico generale. Il servizio è attivo tutti i giorni, dalle 9 alle 18, compresi il sabato, la domenica e i giorni festivi, e prevede due livelli di risposta al cittadino: il primo, costituito da circa 40 operatori, che risponderà a tutti i quesiti di base; un secondo livello, costituito da 60 medici e medici veterinari, chimici e farmacisti, che invece risponderà a domande tecnico-scientifiche. Gli operatori del servizio 1500 sono stati formati e aggiornati sulle competenze tecnico-scientifico-normative della malattia da virus ebola, sulla situazione epidemiologica internazionale e sulla sorveglianza prevista dal Ministero della salute ai porti ed aeroporti. È stata inoltre prevista l'applicazione di un modello operativo comunicativo e relazionale standardizzato che comprende procedure e azioni temporali finalizzate a rendere omogenee le modalità relazionali e comunicative nelle attività di counseling telefonico sulla malattia da virus ebola. Sono stati elaborati percorsi formativi e di promozione della programmazione decentrata a favore delle regioni e province autonome per orientare i piani di risposta e contenimento locali e sono stati effettuati stress test presso gli USMAF e gli ospedali competenti. Come ho già ricordato, sono in corso esercitazioni presso i due aeroporti sanitari di Milano Malpensa e Roma Fiumicino per coinvolgere i presidi sanitari Sacco e Spallanzani in collaborazione con l'Aeronautica militare e la Croce Rossa. Concludo questa mia relazione, che spero sia stata esaustiva, ringraziando tutti gli operatori e i cooperanti italiani presenti in questo momento in West Africa, che stanno lavorando da mesi in condizioni veramente eroiche, perché, grazie al loro intervento, sono state salvate migliaia di vite umane. Sottolineo anche come le procedure di rientro dei cooperanti concertate dal Ministero della salute con le nostre ONG permettono di operare in piena sicurezza e garantire a medici e infermieri che tornano in Italia il supporto e l'assistenza continua che meritano e il riconoscimento del loro operato. 

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