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Venerdì 31 OTTOBRE 2014
Il Programma nazionale esiti: uno strumento utile per guidare le scelte dei nostri amministratori



Gentile Direttore,
la recente pubblicazione dei dati del Programma nazionale esiti (Pne)  può contribuire ad indirizzare le scelte in sanità anche all’interno del dibattito che coinvolge le Regioni, che non ritengono sostenibili ulteriori sacrifici, e il Governo, che chiede di tagliare gli sprechi.

Il Pne offre un approccio analitico a esiti e volumi di attività, attraverso la lettura delle Sdo. Tuttavia esistono dei bias, a partire dalla suddivisione dei pazienti in gruppi isorisorse e non iso-severità, possibili errori di codifica, comportamenti opportunistici, valutazione delle strutture e non delle singole Unità operative.  Il Pne ci presenta esiti in miglioramento dal 2008 al 2013, in pressoché tutti gli indicatori considerati. Questa però non è l’opinione di chi in sanità ci lavora.

Dalla recente indagine Anaao-Assomed-Swg, il 49% dei medici intervistati ritiene che vi sia un peggioramento progressivo della qualità dei servizi offerti ed il 35% ritiene che la sanità italiana sia peggiore di quella di altri paesi europei. Ed anche i destinatari dei servizi, i pazienti, non concordano con la fotografia del Pne visto che l’indagine Censis, recentemente pubblicata da Monitor Biomedico 2014, rivela che metà degli intervistati ritiene la sanità italiana inadeguata ed il 38 % peggiorata. Se il Pne ci offre il quadro di un’Italia che migliora, dobbiamo concludere, a discapito delle percezioni di operatori e utenti, che i tagli lineari degli ultimi anni non abbiano avuto conseguenze in termini di qualità dei servizi?

E’ verosimile che gli effetti dei tagli in sanità saranno più evidenti nei prossimi anni, e che, quindi, si registrerà un lento e progressivo peggioramento della qualità dei servizi, oggi non del tutto evidente. Senza contare che il solo fatto di monitorare singoli indicatori comporta un miglioramento degli stessi. I tagli sul personale di questi anni, con blocchi d’assunzione e retributivi, hanno inciso ed incidono sui livelli di assistenza, ed il peggioramento delle condizioni di lavoro si traduce inevitabilmente in una riduzione della quantità e della qualità dei servizi erogati.

Gli esiti del Pne sono stati incrociati con i dati di assunzione del personale sanitario? Si è considerato che laddove, per esempio, i tempi d’attesa sono elevati, forse gli organici medici ed infermieristici sono all’osso? La legge di stabilità presentata dal governo prevede una ulteriore riduzione di 4 miliardi del finanziamento delle regioni, che almeno in parte ricadrà sulla Sanità, malgrado le smentite d’ufficio. E allora si taglieranno gli sprechi o si ridurranno i servizi compromettendo di fatto l’universalismo, in realtà già compromesso, del nostro Ssn?
 
Le classi sociali più disagiate hanno una salute peggiore, con maggiore mortalità, incidenza di malattia, disabilità. Lo stesso Pne ci presenta ancora una volta un Italia a due velocità, con il Sud che per molti indicatori risulta avere esiti peggiori. Ma nelle regioni del Sud si registra anche una inferiore aspettativa di vita. Questa distribuzione geografica rispecchia quella del depauperamento sociale, visto che nel Sud si registra una concentrazione di condizioni di svantaggio sociale individuale con un aumento delle diseguaglianze di reddito e di istruzione.

Anche la percezione dei pazienti riguardo alla qualità delle cure è differente. Al Nord solo il 27,5 % del campione intervistato nell’indagine Censis si dichiara insoddisfatto, mentre la percentuale sale al 72% al Sud. La riduzione del divario tra Nord e Sud è uno dei principali problemi da affrontare, ma è verosimile che la lotta agli sprechi e la riorganizzazione dei servizi porterà ad un miglioramento della qualità, ma non ad una riduzione, almeno non immediata, della spesa.

Il problema è che i risparmi chiesti dalla Legge di stabilità vanno ottenuti nel 2015 e non tutte le componenti della spesa sanitaria sono facilmente aggredibili nel breve periodo senza inevitabilmente ridimensionare i servizi e peggiorare la salute, soprattutto di chi ha già una salute compromessa, perché indirettamente influenzata dagli altri effetti della crisi (disoccupazione, basso reddito, scarsa istruzione).

Gli interventi possibili, a nostro avviso, devono prevedere politiche strutturali con progettualità di ampio respiro. I dati del Pne possono essere d‘aiuto per le scelte di programmazione sanitaria e di ristrutturazione della rete ospedaliera. Stante la dimostrata correlazione tra esito delle cure e volumi di attività, l’analisi di questi ultimi evidenzia che in tutte le regioni esistono strutture con numeri di procedure al di sotto degli standard previsti dal ministero, con conseguente aumento di rischio per la salute del paziente. Questi dati, noti dal 2008, hanno, però, per ragioni su cui riflettere, finora influenzato poco o nulla le decisioni politiche di programmazione ed organizzazione.

Una altra fonte di sprechi, che si può desumere ed individuare dai dati del Pne, è il sovra utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie inefficaci. Senza dimenticare , poi, che il PNE valuta solo l’assistenza ospedaliera senza dare indicazioni sulla qualità dell’assistenza territoriale, e che ospedale e territorio sono interdipendenti e la loro efficienza ed efficacia sono reciprocamente influenzate. Nel 2013 la corruzione sembra avere inciso per 6,4 miliardi sul totale della spesa sanitaria nazionale. Ben oltre i 4 miliardi richiesti dalla legge di stabilità.

Le risorse recuperate, con la lotta alla corruzione e il recupero di efficienza, devono però, essere utilizzate per migliorare la qualità laddove è carente. Le risorse vanno riallocate, non tagliate. Se è vero che la spesa sanitaria italiana è già di oltre il 25% inferiore a quella europea, allora la nostra sanità non ha più bisogni di tagli. Anzi, va considerato che se i soldi sono sempre gli stessi, i servizi che la sanità deve offrire progressivamente aumentano.

Sugli ospedali ricadono per esempio le conseguenze del drastico taglio ai fondi statali per le politiche sociali, ridotti del 85% dal 2008 al 2012, poi lentamente rifinanziati, ma con un valore al 2014 pari al 57 % del 2008. In particolare, nelle aree con maggiore disagio sociale, le Asl devono farsi carico dei non autosufficienti, degli indigenti, che non avendo altri supporti sociali chiedono aiuto in ospedale, l’ultimo ammortizzatore sociale rimasto. E questo è un aspetto non fotografato dall’analisi del Pne.

In questo momento di ristrettezze il Pne può essere uno strumento utile per guidare le scelte dei nostri amministratori, ma come tutti gli strumenti può essere manipolato, utilizzato bene o male. Ma questo dipenderà anche dal coinvolgimento nelle scelte degli operatori e delle persone destinatarie dei servizi.

Chiara Rivetti (componente segreteria regionale Anaao Assomed Piemonte)
Domenico Montemurro (responsabile nazionale settore Anaao Giovani)

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