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Lunedì 20 OTTOBRE 2014
Terapia immunosoppressiva: protegge il cervello dopo un trauma cranico
Un elegante esperimento condotto su animali di laboratorio dimostra che è il sistema immunitario il principale ‘attore’ del danno cerebrale conseguente ad un trauma cranico. Una scoperta che potrebbe rivelarsi utile anche nella prevenzione del danno cerebrale negli sportivi, dai pugili ai rugbisti.
Secondo uno studio pubblicato su Acta Neuropathologica Communications da un gruppo di ricercatori di varie università del Texas, un particolare trattamento immunosoppressivo potrebbe ridurre il volume delle lesioni cerebrali, conseguenti ad un trauma cranico. La ricerca è stata condotta su animali di laboratorio (topi), ma gli autori sostengono che, qualora questi risultati venissero ottenuti anche sull’uomo, i medici avrebbero tra le mani uno strumento per proteggere il cervello dalle conseguenze dei traumi cranici. Non solo quelli conseguenti ad incidenti stradali o cadute, ma anche quelli che si verificano in alcune categorie di sportivi, dai giocatori di football americano o di rugby, ai pugili.
Al momento non si dispone di trattamenti efficaci per prevenire o far regredire i danni cerebrali conseguenti al trauma cranico. Fino ad oggi, gli sforzi per comprendere il contributo del sistema immunitario al danno cerebrale post-traumatico, si sono concentrati sulla neuroinfiammazione e sugli infiltrati cerebrali di cellule immunitarie. Alla base della ricerca condotta dagli studiosi texani, c’è invece la teoria che i colpi alla testa danneggino il cervello a seguito dell’interruzione della barriera emato-encefalica, che permetterebbe alle cellule del sistema immunitario circolanti di venire in contatto con i neuroni cerebrali e quindi di distruggerli. Di qui, l’ipotesi che alcuni topi, con un particolare deficit immunitario, possano riportare meno danni cerebrali in seguito ad un trauma cranico e che un trattamento in grado di bloccare un determinato componente del sistema immunitario, il CD74, sia in grado di prevenire il danno.
Il CD74 gioca una parte cruciale nella risposta del sistema immunitario agli agenti patogeni; in particolare il CD74 viene frammentato in particelle che scatenano una serie di eventi culminanti nell’attivazione dei linfociti T, normalmente deputati all’eliminazione delle cellule infette o danneggiate. I ricercatori hanno ipotizzato che siano queste stesse cellule ad attaccare i neuroni nel caso in cui si verifichi la rottura della barriera ematoencefalica. Gli autori dello studio ipotizzano insomma che il trauma cranico induca un’espansione delle cellule immunitarie periferiche che potrebbero agire come potenziali cellule presentanti l’antigene.
Dato che il peptide invariante associato alla classe II del MHC (CLIP) è importante per il processamento dell’antigene e la sua presentazione, i ricercatori americani hanno messo a punto un antagonista competitivo (CAP) del CLIP, al fine appunto di testare l’ipotesi che questa competizione tra peptidi potesse prevenire o far regredire i processi neurodegenerativi conseguenti al trauma cranico.
L’esperimento è stato condotto su 32 topi, divisi in diversi gruppi, a seconda della presenza di un livello normale o carenziale di CD74 (che è un precursore del CLIP); alcuni topi venivano sottoposti a trauma cranico, altri fungevano da gruppo di controllo.
Per verificare l’ipotesi che il sistema immunitario contribuisca in maniera significativa al danno cerebrale conseguente a trauma cranico, i ricercatori hanno confrontato il volume delle lesioni cerebrali nei topi con deficit di CD74 e in quelli sani; gli animali con un sistema immunitario integro presentavano le lesioni più ampie e questo dimostrerebbe l’importanza del ruolo del sistema immunitario nel determinismo di queste lesioni cerebrali.
Sono stati dunque messi a confronto due gruppi di animali sottoposti a trauma cranico; un gruppo è stato trattato con CAP, l’altro con soluzione salina, come gruppo di controllo. Gli animali trattati con CAP presentavano lesioni cerebrali più piccole, rispetto al gruppo di controllo e questo suggerisce che il CAP riduca il danno cerebrale indotto dal trauma cranico. Queste lesioni erano piccole come quelle rilevate nei topi con deficit di CD74, supportando dunque ulteriormente l’ipotesi che il successo del trattamento passa attraverso il blocco dell’attacco del sistema immunitario al cervello.
In conclusione, i linfociti splenici periferici, compresi i linfociti T CD4+ e CD8+, i linfociti T γδ e i T-reg aumentano di numero entro 24 ore dal trauma. Il trattamento con CAP controlla e fa regredire l’aumento di quelle cellule, come anche la neuroinfiammazione e i processi neurodegenerativi conseguenti al trauma. Tutto questo supporta l’ipotesi che i processi neurodegenerativi successivi ad un trauma cranico dipendano dal processamento e dalla presentazione dell’antigene, che a sua volta richiede la presenza di CD74.
Maria Rita Montebelli
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