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Venerdì 19 SETTEMBRE 2014
Contraccezione. I consigli del ministero della Salute per il controllo delle nascite durante l’allattamento

L’amenorrea post-partum non coincide con l’infertilità. Può durare fino a sei settimane se la donna non allatta, in caso contrario anche molti mesi. Come comportarsi per evitare nuove gravidanze in sicurezza? Dagli esperti del ministero il vademecum della contraccezione durante l’allattamento. 

La contraccezione non può essere accantonata neanche dopo il parto, anche se il ciclo mestruale non c’è. Ma quando si sceglie un metodo per evitare una seconda gravidanza troppo ravvicinata, bisogna valutare tutte le conseguenze, anche quelle sul latte materno. Le indicazioni da seguire arrivano dal tavolo tecnico sulla promozione dell’allattamento al seno del ministero della Salute.
 
Nessuna controindicazione è stata registrata sul metodo di barriera classico, ossia il preservativo maschile e femminile, che può essere liberamente usato dopo il parto durante i primi rapporti sessuali. Per il diaframma vaginale, invece, bisogna attendere almeno sei settimane perché l’utero deve tornare ad avere le sue dimensioni normali.
 
Per quanto riguarda la pillola vanno evidenziati alcuni elementi. Infatti, l’estrogeno presente nella pillola estro-progestinica, può incidere negativamente sulla quantità del latte materno e l’eventuale calo potrebbe essere più rilevante nei primi sei mesi. Per questo l’associazione estro-progestinica, sotto qualunque forma, quindi anche cerotto e anello, può essere utilizzata con sicurezza dopo 6 mesi dal parto nelle donne che allattano.
 
Escluse la possibilità che questo tipo di contraccettivi influenzino la crescita del neonato, o possano causare altri fenomeni, gli effetti sulla lattazione suggeriscono, però, l’utilizzo di una pillola che contenga solo progestinico soprattutto nelle mamme con latte già scarso.
 
Per chi non allatta l’attesa si riduce solitamente a tre settimane anche se, in caso di rischio trombotico, dovuto, tra le altre cose, al taglio cesareo o all’obesità, l’associazione estro progestinica andrebbe posticipata a 6 settimane dal parto. Nessun problema, invece, dopo l’aborto sia del primo che del secondo trimestre: si può riprendere immediatamente.
 
 
La pillola di solo progestinico è la contraccezione ormonale definita di prima scelta nella donna che allatta: non influisce sul latte materno e non aumenta il rischio di trombosi. In alcuni studi sui ratti è emerso, però, che il progesterone interferisce con lo sviluppo del cervello. Per questo, la pillola viene evitata nella
donna che allatta nelle prime 6 settimane dopo il parto, anche se il suo uso clinico non ha mostrato effetti negativi sui lattanti. In mancanza di allattamento si può iniziare anche prima delle 3 settimane dal parto.
 
C’è poi l’alternativa dell’impianto sottocutaneo: l’unico in commercio in Italia rilascia etonogestrel che non influenza quantità e qualità del latte, né lo sviluppo del neonato, ma viene comunque consigliato dopo le prime 6 settimane dal parto.
 
E’ di quattro settimane dal parto, invece, l’attesa indicata per inserire in utero il sistema al levonorgestrel, mentre per la spirale al rame, le raccomandazioni dell’Oms consigliano di aspettare almeno 4-6 settimane, e possibilmente, anche la ripresa delle mestruazioni.
 
 
Nel metodo della amenorrea da allattamento, che garantisce l’infertilità al 98%, ci sono, invece, tre condizioni fondamentali che devono essere soddisfatte contemporaneamente: non si devono superare i primi 6 mesi dal parto, non devono essere ricomparse, ovviamente, le mestruazioni, e l’allattamento al seno deve essere ancora esclusivo, senza latte artificiale o tisane, con intervalli fra le poppate mai superiori alle sei ore di notte e alle quattro ore di giorno. La sicurezza contraccettiva, infatti, viene meno anche con un singolo episodio di sonno notturno prolungato.
 
 
Per la contraccezione di emergenza, infine, un uso razionale è pensabile oltre le prime 3 settimane dal parto.

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