quotidianosanità.it

stampa | chiudi


Lunedì 09 GIUGNO 2014
Eutanasia. La confessione del medico: “Ho aiutato a morire. In Italia è una pratica consolidata”

“Che senso ha prolungare l’agonia”, afferma Giuseppe Maria Saba, 87 anni, anestesista in pensione, dalle pagine dell’Unione Sarda. Aggiungendo: “Non ne posso più del silenzio su cose che sappiamo tutti”. Saba avrebbe aiutato a morire un centinaio di pazienti.

“Ho aiutato a morire un centinaio di malati. Non la chiamo anestesia letale ma dolce morte, è una questione di pietà”. È questa la confessione raccolta dall’Unione Sarda (pubblicata sul giornale dell'8 giugno) dalle labbra di Giuseppe Maria Saba, 87 anni, ex medico anestesista già ordinario di Anestesiologia e rianimazione all’Università di Cagliari prima e poi alla Sapienza di Roma. Una confessione che nasce da una ragione: “Non ne posso più del silenzio su cose che sappiamo tutti. Parlo dei rianimatori. La dolce morte è una pratica consolidata negli ospedali italiani, ma per ragioni di conformismo e di riservatezza non se ne parla”, ha detto Saba, spiegando al giornale sardo di “un accordo preciso con mia moglie per l’auto-eutanasia”.

Saba dice di aver ‘aiutato i malati’ “quando era necessario, quando te lo chiedono e quando tu, nella veste di medico, ti rendi conto che hanno ragione. Che senso ha prolungare un’agonia, assistere allo strazio di dolori insopportabili che non porteranno mai a una guarigione?”. Per questo, conclude, “non ho nulla di rimproverare a me stesso. L’ho sempre fatto di fronte a situazioni che non avevano altra via d’uscita”.

© RIPRODUZIONE RISERVATA