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Venerdì 06 GIUGNO 2014
Il nuovo Codice deontologico dei Medici. Agli Studenti in Medicina non piace: “E’ inadeguato e già vecchio”
Gentile direttore,
questa lettera è frutto di riflessioni da parte di noi, un gruppo di studenti prossimi all’essere medici, che nel momento in cui, nella nostra città Torino, la Fnomceo nazionale approvava il Codice deontologico si è riunito spontaneamente più volte per leggerlo, comprenderlo e commentarlo. Questo gruppo da tempo riflette sul futuro della professione perché questo futuro lo percepiamo incerto, difficile e problematico. Non ci riferiamo solo al problema del precariato, della disoccupazione che pur ci preoccupa e non poco, ma anche alla difficoltà, ammesso di trovare lavoro, di essere in condizioni di svolgerlo bene, di vivere la professione secondo regole che la tutelino e la sviluppino.
Caro direttore, caro On. Bianco, la prima sensazione che ci è giunta, leggendo i vari punti del Codice e gli articoli dei giornali che si sono susseguiti, è un senso di smarrimento per due motivi: il primo è perché ci troviamo, alla fine del percorso di studi, senza basi e senza competenze deontologiche (di deontologia in facoltà quasi non se ne parla); il, secondo perché la lettura degli articoli del Codice ci ha mostrato gravi spaccature e discrepanze tra gli ordini, politici entusiasti (QS 23 Maggio), sindacati tiepidi e ambigui (vedi Sole24ore-Sanità del 27 Maggio), medici critici (vedi dichiarazioni del Dr. Riccio, QS 29 Maggio, del Prof. Gianfrate, QS 31 Maggio, quelle del dott Polillo, QS 5 Giugno) e soprattutto le analisi precise e critiche del Prof. Cavicchi (QS 26 Maggio – 29 Maggio – 31 Maggio) culminate in quel “gesto deontologico” quale è la sua lettera aperta (QS 3 Giugno) così pregnante per le preoccupazioni che esprime e così leale nelle modalità con le quali le esprime.
Insomma da una parte manca una unanimità che da quel che sappiamo non ha precedenti storici e dall’altra manca la profondità di una attenta valutazione del grado di pertinenza della deontologia nei confronti della realtà del medico.
Molte dichiarazioni, soprattutto dei sindacati, ci sono sembrate di pura circostanza autorizzandoci a pensare due cose: che il Codice è stato letto in fretta o che nei medici che si sono pronunciati manchi una vera cultura deontologica per capire davvero cosa sia il Codice.
Prima di procedere con la nostra umile osservazione e analisi, vorremo ringraziare il Prof Cavicchi perché, conducendoci passo per passo nello studio approfondito dei diversi contenuti, ci ha permesso di comprendere l’essenza del Codice. Egli, come un perito della sala settoria, isola e separa i vari blocchi:
• la professione medica, la titolarità del medico, la presenza o meno dei criteri di pertinenza del Codice;
• il malato e la relazione con lui;
• i rapporti con le altre professioni;
• l’epistemologia ossia “come fare ciò che si deve fare”.
Il tutto senza dimenticarne l’interezza! Ma soprattutto ponendo il quesito giusto che a quel che pare il Codice ha dimenticato di porre: quale medico? Un quesito che ci ha sgomentato perché implica che noi che non siamo ancora medici siamo già, come direbbe il prof Cavicchi, nostro malgrado inadeguati sul nascere nei confronti di quello che ci aspetta fuori dall’università; cioè non siamo ancora medici ma non siamo il futuro e meno che mai la risposta a quel quesito.
Per questo ci sentiamo in debito con il prof Cavicchi che ci ha fatto comprendere anche in modo spietato ma nello stesso tempo rigoroso il perché egli ritenga che “all’analisi , il nuovo Codice, risulta contraddittorio, regressivo e per questo non pertinente” (QS 31 maggio).
Noi abbiamo capito che il nuovo Codice colpisce certo anche chi è già occupato, o chi ha già intrapreso la sua carriera professionale, perché la tutela deontologica che offre loro è insufficiente, ma colpisce soprattutto con le sue inadeguatezze il nuovo, cioè noi giovani e il nostro futuro. Lo chiediamo a tutta la Fnomceo: ma quale professione pensate di consegnarci? Quali problemi che avreste dovuto risolvere voi, che siete già nel mondo del lavoro, ci state scaricando addosso? E perché? Quale professione avremo se la professione è prima di tutto così poco compresa dalla deontologia e così impoverita nelle sue prospettive e nelle sue prerogative?
Capirà, signor direttore, che il nostro riferimento va a quel principio di responsabilità che noi giovani abbiamo adottato in pieno ma che ci fa venire il sospetto che chi è più anziano non abbia capito, dal momento che con i suoi limiti progettuali sta ipotecando il futuro della nostra professione attraverso un mercato del lavoro incerto, una professione mal definita, una pratica medica ormai concepita prima di tutto come compatibile con i problemi della gestione e solo dopo con i bisogni dei malati.
Analizzando il Codice abbiamo notato che la realtà che affronteremo un dì non avrà nulla a che vedere con la vecchia realtà descritta negli articoli del Codice, ci troveremo dunque, in una realtà in cui saremo obbligati a fronteggiare problematiche che il Codice non considera. Saremo obbligati, e questo senza che nessuno ci possa istruire, ad adeguarci al nuovo e alla sua complessità ma sempre restando dipendenti da vecchie modalità riduzioniste. Per il prof Cavicchi, l’aggiornamento del nuovo Codice (perché secondo lui è un restyling e non una riforma) non considera i cambiamenti importanti della medicina e della sanità, pertanto l’idea che traspare è di una professione medica regressiva.
La titolarità del medico è presentata decontestualizzata e teorica; essa non riesce a soddisfare le nuove richieste e i mutamenti necessari che la società richiede a gran voce e non garantisce a noi, futuri medici, l’autonomia necessaria e la responsabilità per essere i medici del terzo millennio in grado di mediare tra principi, valori e realtà e i fini della medicina con i mezzi della sanità.
Se non saremo in grado di mediare tra i fini medici e la realtà, come potremo noi essere e sentirci medici? Senza autonomia e quindi libertà, potremo noi continuare ad essere responsabili? Secondo Mario De Caro (filosofo della morale e docente presso la Facoltà di Roma Tre coinvolto proprio a Torino in una iniziativa organizzata dall’Ordine alla quale abbiamo partecipato) “noi siamo responsabili per le nostre azioni solo nella misura in cui le compiamo liberamente…”.
Il prof Cavicchi insiste sul tema dell’autonomia e propone lo scambio con la responsabilità, ma il suo fine è in partica quello di cui parla De Caro la libertà quale condizione per la responsabilità. Questa problematica, a noi pare, non solo non è affrontata dal codice che si limita a delle dichiarazioni di principio, ma per certi versi laddove è affrontata è affrontata in modo sbagliato (art 6) cedendo ai condizionamenti dell’economicismo della gestione. Il che, noi che crediamo nel principio di responsabilità di Jonas, non vuol dire ignorare le ragioni della spesa e dell’economia, ma solo affrontare tali questioni in modo non subalterno e subordinato. L’autonomia si può usare anche per qualificare la spesa, rinunciare alla autonomia per ragioni di spesa è la morte della nostra professione. Attualmente pare che la nostre possibilità di scelta siano limitate a codici, linee guida, ed evidenze basate sulle prove di efficacia. Ovviamente sarebbe sciocco negare la loro importanza, ma la mancanza di autonomia comporta il venir meno della comprensione della complessità del reale e della nostra responsabilità, saremo dunque “automi irresponsabili convinti di essere liberi e responsabili…”
Per quanto riguarda il concetto di malato o persona assistita, ha ragione il prof Cavicchi il malato ormai si presenta da noi in ospedale, in ambulatorio, come colui che è “esigente" non più passivo bensì emancipato, partecipe, attivo, informato, ed egli stesso “chiede e richiede un altro tipo di medico e di approccio clinico”.
Sia il nuovo malato che l’economicismo condizionano tanto il concetto di autonomia del prof Cavicchi quanto quello di libertà responsabile del prof De Caro, il tutto ormai impregnato in un’atmosfera di contenzioso legale e medicina difensiva. Altra questione è quella della relazione . Può essere che l’unica vera relazione con il malato sia quella legale? Può essere che ancora non siamo in grado di ripensare la professione dentro dei comportamenti quindi delle deontologie ripensate a loro volta nella relazione? Possiamo dare alla relazione ancora la giusta importanza? E ancora a breve verrà richiesto, a noi giovani medici, di co-evolvere con le altre professioni senza il doversi barricare dietro a rigide competenze. Saremo in grado di farlo? Non ci resta che sperare nella sua attuabilità mentre si sta consumando un conflitto interminabile con gli infermieri al quale nessuno pare voglia porre rimedio.
Concludiamo con la speranza che le nostre osservazioni possano essere accolte e capite ma soprattutto chiediamo scusa della lunghezza della lettera, ciò è dovuto al fatto che l’argomento è alquanto ricco ed elaborato e le idee e le menti che vi hanno partecipato sono state numerose.
Ma prima di concludere vorremmo ricordare attraverso il “gesto deontologico” che il prof Cavicchi ha fatto con la sua lettera aperta, e che convintamente facciamo nostro un altro famoso “gesto deontologico” che nel 1972 ha fatto storia e il cui autore fu Giulio Maccacaro (stiamo preparando l’esame di “sanità pubblica”) quando ha scritto una lettera all’ordine dei medici di Milano con la quale denunciava un ordine professionale apertamente “regressivo” se non “repressivo” nei confronti dei medici che volevano rinnovarsi nelle idee, nella scienza e nella pratica.
Noi ci rivolgiamo al presidente Bianco per chiedergli di prendere in mano la cosa, di adoperarsi perché nelle facoltà di medicina sia insegnata la deontologia e che la deontologia da insegnare sia all’altezza delle sfide che ci attendono, ma soprattutto chiediamo al presidente Bianco di difendere le future generazioni di medici impedendo prima di tutto che si scarichi su di loro i problemi che questo codice mostra di non saper governare.
Eleonora Franzini Tibaldeo
Studentessa in Medicina
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