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Mercoledì 09 APRILE 2014
Titolo V. Spot a parte, ecco una proposta per affrontare seriamente la questione
Al di là della proposta Renzi, da alcuni letta come “statalista” e da altri come “regionalista”, il vero problema è ridefinire la governance del sistema. Un progetto che non si può limitare a spartire grossolanamente i poteri legislativi ma deve ridisegnare l’intero processo decisionale e gestionale del sistema
Nella proposta di riforma del Titolo V del governo, vi è un punto che ha fatto battere il cuore a molti anti regionalisti: la modifica della lettera m) nell’art 117 che assegna alle competenze esclusive dello Stato la facoltà di adottare “norme generali per la tutela della salute”. Alcuni lo hanno interpretato come una restrizione dei poteri regionali, altri si sono mostrati scettici sulla sua effettiva praticabilità.
Che la frase non sia automaticamente una garanzia è dimostrato dall’esperienza del Piano sanitario nazionale che da tempo immemore definisce “norme generali per la tutela della salute” ma nell’indifferenza delle regioni che hanno sempre inteso la pianificazione in modo autonomo. Ma anche il riferimento alle competenze esclusive delle regioni non è meno problematico, in questo caso dovremmo recuperare una corretta accezione di regionalismo scaduto da anni nel regionismo cioè in una sorta di dispotismo istituzionale che propone la regione come l’ombelico del mondo.
Ritorno sull’argomento “governabilità” con l’intento di ricomporre le tante questioni, partendo da due repechage (onore ai visionari): “Malati e governatori” del 2006 e “I mondi possibili della programmazione sanitaria” del 2012.
Con il primo lavoro proponevo un governo sostanzialmente articolato in due ordini di livelli, quello “generale” e quello “regionale” dove “generale” prende il posto di “nazionale” diventando sinonimo di “federale” con il significato di qualcosa che è comune a tutti e di qualcosa che è “meta” cioè sopra a tutti, mentre “regionale” è sinonimo di peculiare, locale, pertinente e specifico. Mi sono semplicemente limitato a cambiare il criterio ordinatore: da quello banalmente del contenitore cioè l’ambito e il dominio territoriale, a quello del contenuto per competenze effettive.
Quindi:
· un governo regionale di primo livello, che si occupa di questioni locali (organizzazione, salute, assistenza, gestione, operatività ecc);
· e un governo federale centrale di secondo livello che si occupa di questioni generali e sovra locali (sostenibilità, tutela dei diritti, squilibri, diseguaglianze, allocazione di risorse, lavoro, professioni ecc).
Con il secondo lavoro, proponevo di ripensare la programmazione sanitaria nazionale facendone la cerniera tra federale (generale) e regionale, (locale peculiare e pertinente) ma superando la vecchia concezione di piano sanitario nazionale, ormai da tempo un inutile rottame del passato che nessuna regione ha mai preso sul serio, e rimpiazzandola con un “programma generale” quale sistema di condizionali operativi nei confronti delle regioni.
Io penso che in questa fase dovremmo contribuire a specificare in modo chiaro e circostanziato i poteri allocandoli nel primo e nel secondo ordine di governo e definirne gli strumenti.
Per quanto riguarda il governo federale centrale si tratta di chiarire nel merito:
· le competenze legislative esclusive del parlamento in ordine alla natura pubblica del servizio sanitario nazionale, alle prospettive e contro prospettive del sistema sanitario, alle garanzie dei diritti e delle tutele. Esempio: non spetta al governo decidere, come si è tentato di fare in questa legislatura, di cambiare la natura universalistica del sistema;
· le competenze legislative esclusive del governo circa le condizioni pratiche di eguaglianza dei diritti, sui servizi da garantire in modo universale, sulla definizione delle professioni e della loro formazione, circa i condizionali di programmazione a partire dai quali le regioni e i comuni esplicheranno le loro autonomie, circa i casi concreti per i quali far scattare la vicarianza nei confronti delle regioni o dei comuni inadempienti ricorrendo alla “norma di sovranità”, quindi al commissariamento;
· tocca al governo ripensare l’ “azienda” quale parte integrante del sistema di governo. I problemi dell’azienda riguardano la genericità della sua natura, si tratta quindi di modificare la legge istitutiva che non ha chiarito la natura peculiare dell’azienda sanitaria al fine di specificarla nel senso di orientarla alla domanda, connotarla quale azienda di servizio, a gestione partecipata e a management diffuso.
Per quanto riguarda il governo decentrato si tratta di:
· ridefinire in prima istanza l’organizzazione burocratica e anacronistica degli assessorati, non si può aziendalizzare solo un sotto sistema ma di pensare gli assessorati quali aziende capofila, (holding) riorganizzandone competenze, metodi e professionalità;
· assegnare ai comuni la gestione dei dipartimenti per la prevenzione, quindi le risorse ad essi corrispondenti, trasformandoli in dipartimenti per la salute di comunità quindi riconoscendo ai comuni rispetto a questi servizi il potere di nomina e di organizzazione e definendo il sindaco quale sponsor della salute primo referente del sistema informativo comunitario;
· riconfermare gli attuali poteri gestionali e organizzativi delle regioni in ordine al sistema dei servizi e all’impiego del personale sottoponendo le nomine dei direttori generali delle aziende e l’attività regionale nel suo complesso, al potere di controllo e di vicarianza del governo.
Infine conferme, disconferme, neoistituzioni, ripristini:
· vanno confermate le tre grandi istituzioni intermedie tra governo centrale e governo decentrato: Istituto superiore di sanità, Agenas, Aifa, estendendo i loro compiti di supporto e di progettualità sia nei confronti del governo centrale che del governo decentrato;
· va superato il Consiglio superiore di sanità perché superfluo;
· va istituito presso il ministero della Salute coordinato dal ministro della Salute: il “professional board” per lo sviluppo delle professioni e della loro operatività ripensando radicalmente, nello stesso tempo, gli enti pubblici non economici con funzioni sussidiarie, quali ordini e collegi;
· va ripristinato il “Consiglio sanitario nazionale” abolito nel 1992 e costituito da tutte le rappresentanze istituzionali tecniche e professionali della sanità, con funzioni di organismo federale consultivo del governo, quale contro altare alla Conferenza Stato Regioni.
(Per inciso, il professional board e il Consiglio sanitario nazionale possono essere assistiti per le funzioni segretariali dal personale attualmente impiegato per il Consiglio superiore della sanità e non danno luogo a compensi a parte il rimborso delle spese sostenute).
L’ultima questione da non trascurare è la questione dei soggetti di governo. E’ dimostrato che la qualità della governabilità dipende da quella dei governanti. Gli incarichi politici non si possono mettere a concorso ma questo non esclude ne che si debba chiedere alla politica di rispettare dei criteri di incompatibilità, laddove sussistano conflitti di interesse, (come è accaduto per alcuni assessori e come accade per alcune cariche multiple che mischiano interessi peculiari con interessi generali) e criteri di plausibilità per coloro che provenendo da altri mondi sono del tutto estranei alle complessità della sanità; né che si escludano delle possibilità di verifica dell’operato di ministri e assessori, né delle possibilità da parte della sanità di indicare alla politica senza pretesa di vincolo degli “ideali tipo” di riferimento. Abbiamo criticato la composizione spuria e occasionale dei vecchi comitati di gestione delle Usl ma abbiamo taciuto su quella altrettanto spuria e occasionale di certi assessori.
Un discorso particolare va fatto infine per i ministri della Sanità o della Salute: i ministri che hanno veramente inciso sullo sviluppo della sanità negli ultimi 50 anni a mio parere sono meno delle dita di una mano, (nomi non ne faccio per ragioni di rispetto nei confronti degli altri che pur con dei limiti hanno prestato la loro opera).
Mi limito a dire che a partire dall’inizio del secondo millennio, contestualmente alla riforma del Titolo V e all’invadenza sempre più aggressiva del ministero dell’Economia, (legittimata nel 2009 con la riduzione del ministero della Salute ad una funzione solamente concertante quindi senza titolarità economiche dirette), inizia una fase, ancora in corso, nella quale si susseguono ministri politici e tecnici, che si sono dimostrati, malgrado la loro indiscutibile buona volontà, di fatto concause dei principali problemi di governabilità che oggi dobbiamo risolvere.
Oggi abbiamo bisogno di ministri forti che sappiano:
· negoziare con l’economia le condizioni del cambiamento e della progettualità del sistema, quindi in grado di opporsi alle grandi idiozie come quelle che stanno massacrando il sistema e che vanno dai tagli lineari, al depauperamento delle professioni, al costo zero, e allo svuotamento dell’art 32;
· servirsi del professional board e del Consiglio sanitario nazionale per innovare il sistema;
· sfruttare le conoscenze e i saperi di grande valore che sono nelle tre grandi istituzioni tecnico scientifiche di cui disponiamo;
· mediare gli interessi delle grandi corporazioni servendosi proficuamente della concertazione.
Se non possiamo mettere a concorso il ministro della Salute possiamo chiedere alla politica, pur nella logica spartitoria dei partiti, di attenersi a delle cautele, non ultima quella di assicurarsi che il ministro della Salute sia in possesso di determinati requisiti (laurea compresa) anche per non avere l’imbarazzo di spiegare al resto del mondo che nel nostro paese, in sanità, i titoli di studio valgono solo per le competenze professionali.
Ivan Cavicchi
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