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Venerdì 03 DICEMBRE 2010
Rapporto Censis. Un Paese che si arrangia. Anche per la sanità
Il Rapporto annuale del Censis, presentato stamattina a Roma, mostra un Paese con "evidenti manifestazioni di fragilità sia personali che di massa. Comportamenti e atteggiamenti spaesati, indifferenti, cinici, passivamente adattivi”. Per la sanità nascono forme di “autotutela” e di “arrangiamento”, con un ritorno al pubblico anche a seguito della crisi economica. E così il 35% si è rassegnato alle liste d'attesa cercando di arrangiarsi senza mettere mano al portafoglio.
“Siamo una società pericolosamente segnata dal vuoto”. Sono amare le considerazioni sull’Italia di oggi fotografata dal 44° Rapporto Censis presentato stamani a Roma. “Sono evidenti manifestazioni di fragilità sia personali che di massa: comportamenti e atteggiamenti spaesati, indifferenti, cinici, passivamente adattativi, prigionieri delle influenze mediatiche, condannati al presente senza profondità di memoria e futuro”. “Non riusciamo più a individuare un dispositivo di fondo (centrale o periferico, morale o giuridico) che disciplini comportamenti, atteggiamenti, valori. Si afferma così una «diffusa e inquietante sregolazione pulsionale», con comportamenti individuali all’impronta di un «egoismo autoreferenziale e narcisistico»”.
Per questo, secondo il Censis, c’è bisogno di “messaggi che facciano autocoscienza di massa. Non esistono attualmente in Italia sedi di auctoritas che potrebbero ridare forza alla «legge». Più utile è il richiamo a un rilancio del desiderio, individuale e collettivo” per “vincere il nichilismo dell’indifferenza generalizzata”.
Ma quali sono gli elementi che hanno portato il Censis a queste considerazioni?
Per la sanità emerge, ad esempio, che negli anni della crisi le famiglie, da sempre abituate a far fronte alle carenze di offerta, ai costi di compartecipazione "spesso non indifferenti" e alle difficoltà di accesso al sistema pubblico di welfare, hanno "affinato le strategie di autotutela puntando sia su più ampie e differenziate strategie di tipo individuale, sia su forme più organizzate di autogestione". L’andamento della spesa sanitaria privata segnala una lieve riduzione della sua incidenza sulla spesa totale (22,7% nel 2009 contro il 27,5 del 2000) e già lo scorso anno i comportamenti sanitari delle famiglie hanno fatto registrare un ritorno alla sponda pubblica, come segnalato dal 35,1% di famiglie che hanno dichiarato di essersi rassegnate alla lunghezza delle liste d’attesa senza poter optare per la sanità privata: quota che raggiunge il 51,9% per i livelli economici bassi e il 42,8% per i ceti medio-bassi.
Ciò che è importante segnalare, secondo il Censis, è proprio questa sorta di “affinamento” di strategia, una modalità di azione in cui le forme di autotutela non si risolvono necessariamente in una exit verso il settore privato, ma si strutturano in forme di arrangiamento più organizzato in grado di contemperare le maggiori difficoltà economiche delle famiglie.
Sintomatico è che, per risparmiare, sia cresciuto nel 2009 il tasso di cittadini che hanno chiesto ai farmacisti un medicinale generico. Infatti, pur essendo aumentato il consumo di farmaci, sia in termini di dosi che di confezioni, sono altrettanto cambiate le modalità di consumo, soprattutto a causa di un continuo aumento della spesa a carico dei cittadini, sia per l’aumento dei ticket che per l’aumento dei prezzi dei farmaci non rimborsabili. E così, il 53,3% delle famiglie, nel corso del 2009, ha intensificato il ricorso ai farmaci generici con l’obiettivo del risparmio.
Il settore del volontariato ne è un’ulteriore prova. Il 33% di queste attività, infatti, si collocano proprio in ambito sanitario. I settori in cui i cittadini constatano una maggiore presenza di volontari sono ospedali, case di cura, strutture sanitarie in generale (69%), case di riposo, comunità alloggio, presidi socio-assistenziali di vario tipo (54,3%), poi le varie forme di assistenza a domicilio per anziani e non autosufficienti (39,9%).
Le famiglie restano il pilastro welfare, caricandosi di compiti assistenziali, particolarmente gravosi per le situazioni più problematiche di non autosufficienza e disabilità, di fatto "sopperendo ai vuoti macroscopici del sistema pubblico". Il costo diretto a carico delle famiglie che assistono un
malato di Alzheimer è pari a 10.627 euro all’anno (a cui possono essere sommati i circa 46.000 euro di costi indiretti, per un costo medio annuo complessivo per paziente di 56.646 euro), si sale a un valore di 11.250 euro all’anno per costi diretti e indiretti per ogni paziente affetto da artrite reumatoide, fino ai circa 15.000 euro all’anno di costi sociali per i pazienti affetti da insufficienza renale cronica in dialisi.
Si tratta di carenze nell’offerta sanitaria e socio-assistenziale tanto più gravi quanto più si considera il significativo numero di famiglie coinvolte, ad esempio, in una situazione particolarmente grave come quella della disabilità. La stima del Censis fa riferimento a 4,1 milioni di persone, pari al 6,7% della popolazione, definite disabili a partire da una percezione degli intervistati. "La presa in carico di queste situazioni - spiega il Rapporto - riguarda in modo cospicuo ed estremamente coinvolgente ancora una volta proprio le famiglie nell’accezione più ristretta (i caregiver sono madri, coniugi e figli), mentre il ricorso alla badante come soggetto principale dell’assistenza riguarda il 10,7% dei casi".
Gran parte delle disabilità restano invisibili. O quanto meno, secondo il Censis, c’è “una visibilità distorta, che si allinea con il crescente arretramento delle politiche per le persone disabili”. Gli italiani tendono infatti a sovrastimare da un lato il peso della disabilità motoria (quando si chiede di descrivere un’immagine della disabilità, il 62,9% pensa anzitutto a questo tipo di limitazione), dall’altro a non includere in questo concetto, o a farlo solo in parte, la questione della non autosufficienza degli anziani, che pure rappresenta un tema che pesa nella vita quotidiana di moltissime famiglie. La visione distorta del problema è un importante indicatore della persistente negazione sociale che è alla base delle condizioni delle famiglie, spesso lasciate sole a gestire tutte le difficoltà che la disabilità comporta. Secondo la recente stima del Censis si tratta complessivamente di circa 4,1 milioni di persone disabili, pari al 6,7% della popolazione, con cui gli italiani mostrano di relazionarsi con difficoltà. Il 23,3% degli intervistati, infatti, confessa un’opinione negativa, in cui la disabilità mentale fa paura e queste persone si ritrovano quasi sempre discriminate e sole. Il 66% ritiene che le persone con disabilità intellettiva siano accettate solo a parole, ma che nei fatti vengano spesso emarginate.
C’è, però, anche tanta mancanza di conoscenze sulle tematiche di salute. Secondo il Censis, ad esempio, il 73% degli italiani è convinto che le persone autistiche siano quasi sempre geniali nella matematica, nella musica o nell’arte. E l’errata informazione interessa anche altre patologie. L’ictus, ad esempio, è quasi sconosciuto agli italiani: meno della metà sa che colpisce il cervello, e la grande maggioranza non conosce né la trombolisi (la terapia specifica che può ridurne in modo significativo le conseguenze), né la stroke unit (il reparto specifico). Eppure, si tratta della terza causa di morte in Italia.
Un’altra tipologia di informazione sulla salute che può produrre distorsioni è quella sui casi di malasanità e il diffondersi della convinzione che l’errore medico sia frequente e probabile, che alimenta la conflittualità nel rapporto tra cittadini e istituzioni sanitarie, e soprattutto contribuisce allo schiacciamento dei media a forme di esposizione narrativamente più efficaci della comunicazione sulla salute, a scapito di un’informazione che fornisca ai cittadini strumenti concreti per far valere i propri diritti in modo stringente.
"C’è quindi bisogno di un salto in avanti da parte di ciascun individuo", esorta il Rapporto aggiungendo, tuttavia, che tra gli italiani non è diffuso l’ottimismo, perché la crisi sta ampliando, al di là del breve periodo, la platea dei soggetti del disagio sociale. Ben il 91% dei disoccupati di famiglie monoreddito in Italia sono da considerarsi a rischio povertà e l’opinione degli italiani riguardo agli strumenti di tutela e supporto per i disoccupati sono molto negative per il 62% degli intervistati, quota che risulta nettamente superiore al dato medio europeo, pari al 45%.
Quello che colpisce è che il 44% degli intervistati italiani ritiene che negli ultimi cinque anni la situazione sia peggiorata, dato superiore a quello medio europeo (38%).
Anche sullo specifico terreno della lotta alla povertà le valutazioni degli italiani non sono positive. Richiesti di indicare l’impatto che secondo loro stanno avendo le politiche e gli interventi finalizzati a migliorare la condizione dei poveri in Italia, ben il 59% dichiara che non stanno avendo un particolare impatto, il 21% sostiene che addirittura stanno peggiorando le cose e solo il 10% parla di un delle politiche contro la povertà, il 10% negativo e il 18% positivo.
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