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Martedì 11 MARZO 2014
Negli ultimi decenni guadagnati 30 anni di vita. Ma il merito è solo in minima parte delle cure mediche
Uno studio Usa sfalda il mito dell’invincibilità di farmaci e prestazioni sanitarie. Il 40% della mortalità dipende da cause prevenibili con stili di vita e azioni di prevenzione sanitaria. Eppure il dibattito sulla sanità e sulle risorse resta ancorato al paradigma “medico-farmaco”. E gli investimenti in prevenzione fanno ridere
La vicenda Avastin/Lucentis e la mega multa di oltre 180 milioni di euro inflitta dall’Antitrust ai due colossi del farmaco Roche e Novartis, accusati di aver causato un danno di 45 milioni di euro al SSN nell’anno 2102, ha gettato sconcerto e stupore. Non solo per l’ingiustificato sovrapprezzo tra i due farmaci nell’uso intravitreale in oftalmologia, ma soprattutto per il fatto che decine di migliaia di pazienti non avrebbero avuto accesso a cure per loro fondamentali, causa i costi proibitivi della cura.
Al danno erariale si sarebbe aggiunto dunque un vulnus al diritto alla salute per tutti i cittadini e contro questo delitto starebbero per muoversi la procura di Torino come anche alcune associazioni di tutela dei consumatori
Il proseguo degli avvenimenti chiarirà meglio la vicenda e darà modo ai diversi attori di dire la loro verità chiarendo meglio la reale incidenza di quegli effetti collaterali, di cui parla in un intervista su Repubblica anche lo scopritore delle due molecole Napoleone Ferrara, e che farebbero la vera differenza tra i due trattamenti.
Aspettiamo dunque che siano i tribunali ad emettere la sentenza definitiva da cui forse dipenderà anche il destino dell’AIFA, oggi sotto attacco per non aver saputo svolgere il proprio ruolo. Accuse peraltro rispedite al mittente essendo l’agenzia convinta che l’uso di Avastin per via intraoculare non sia scevro di effetti collaterali che continuano a sconsigliare l’impiego.
A me preme invece sollevare un’altra questionee che riguarda il ruolo e il peso che nel dibattito pubblico, anche di livello professionale, si assegna oggi alla terapeutica e più in generale al sistema di erogazione di cure e alle tecnologie biomediche ad esse connesse, rispetto ad altri interventi possibili (prevenzione, educazione a corretti stili di vita, etc.) ai fini della promozione della salute umana.
Ora mi sembra di potere affermare che gli interventi di natura clinica sono considerati egemonici e di maggior rilievo rispetto agli altri, e che ogni giudizio sulla adeguatezza di un sistema sanitario viene filtrata in modo esclusivo attraverso questa lente di ingrandimento che fissa come criterio di valutazione proprio la capacità distributiva di tali presidi a tutti i cittadini (indipendentemente da reddito, condizioni epidemiologiche e genetiche, collocazione geografica, etc, etc.)
Fatto questo sicuramente vero, ma a mio giudizio egualmente insufficiente e contraddetto platealmente da una serie di studi epidemiologici da cui si evince che ai fini della promozione della salute l’ordine delle priorità degli interventi dovrebbe essere capovolto dando il primo posto a prevenzione e stili di vita.
Studi peraltro di cui non parla nessuno e che restano coperti dalla polvere degli scaffali dove le riviste del settore vengono relegate. A tale proposito recentemente sulla autorevole rivista Health Affaire (vol.21/2013) J. Michael McGinnis e colleghi riprendono il tema dei determinanti di salute e, impiegando le migliori stime disponibili derivabili da studi di popolazione, definiscono nel modo seguente il peso percentuale che i diversi determinanti possono avere nell’indurre morti precoci della popolazione americana:
1. predisposizione genetica: 30%
2. contesto sociale : 15%
3. stili di vita: 40%
4. inadeguatezza delle cure: 10%
In relazione alle cure mediche gli autori sostengono che “il miglioramento della qualità o dell’uso di cure mediche ha una capacità relativamente limitata nel ridurre la mortalità tra gli americani. Fatto questo sicuramente sorprendente se si considera che per la cura delle persone negli Usa si spende il 15% del GDP (PIL). Nel corso del ventesimo secolo sui trenta anni di aspettativa di vita guadagnati solo il 5% può essere imputato al miglioramento delle cure mediche”.
Inoltre sono da considerare le morti indotte da errori medici (comprese in America tra i 44.000/ 98.000 decessi annuali) che rappresentano all’incirca il 2-3% del totale, senza contare che il Centers for Disease Control and Prevention (CDC) attribuisce alle deficienze del sistema sanitario il 10% di responsabilità sulla mortalità totale.
In conclusione negli USA solo il 5% della spesa sanitaria è impiegata per interventi di prevenzione (un dato superiore a quello Italiano!) ma paradossalmente il 40% delle morti dipende da comportamenti negli stili di vita e contesto sociale che potrebbero essere modificati da interventi di prevenzione.
Poiché la situazione nel resto del mondo, Italia compresa, non è dissimile da quella americana, mi sembra naturale chiedermi per quale motivo questo squilibrio nella allocazione delle risorse non susciti allarme e sconcerto nel dibattito tra esperti e nella stessa opinione pubblica. Perché gli studiosi di sanità pubblica, le associazioni dei consumatori e gli altri soggetti istituzionali non sollevano tale questione richiedendo una profonda modifica nell’agenda pubblica di interventi sulla salute dei nostri concittadini?
E’ allora evidente che altri fattori entrano in gioco nel creare il mito razionalizzato che la salute della popolazione dipenda quasi esclusivamente da un sistema di cure incentrato sulla erogazione di prestazioni sanitarie più o meno complesse (ex-post rispetto all’insorgere delle malattie). Da un lato i progressi in campo tecnologico (strumentazioni chirurgiche e rianimatorie, diagnostica per immagini, etc.) e in campo farmacologico che hanno portato alla sintesi di straordinarie molecole (a cui appartengono i due farmaci in questione ranibizumab e bevacizumab) in grado di interagire a livello molecolare con i recettori coinvolti nei processi flogistici e di proliferazione cellulare.
Una vera rivoluzione scientifica che ha modificato in modo significativo la prognosi di malattie ad esito infausto fino a poco tempo e che di fatto ha determinato il passaggio dal nichilismo terapeutico dei primi anni del ‘900 alla supposta onnipotenza riparativa dei giorni nostri. Dall’altro però c’è da mettere in conto il silenzio colpevole sui reali determinanti di salute, di cui non parla nessuno perché poco attrattivi per il mercato sanitario che fa profitti esclusivamente con le alte tecnologie e con l’erogazioni di prestazioni ospedaliere.
E’ in particolare quest’ultimo il vero motivo per cui si continua a ragionare solo di cura ex-post e nulla di promozione reale della salute. E in questa strategia di occultamento della realtà, realizzato attraverso sapienti campagne mediatiche, non può non vedersi che un ruolo centrale è giocato non solo dal complesso farmaco-sanitario industriale privato, ma anche da parte significativa delle categorie professionali che da tali processi di cura e di assistenza traggono in modo preponderante il proprio status e la propria collocazione professionale
Roberto Polillo
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