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Martedì 30 NOVEMBRE 2010
Esclusiva. Aids e omosessualità. Rezza (Iss) risponde agli interrogativi de Il Foglio
Un lungo articolo, pubblicato sul quotidiano diretto da Giuliano Ferrara il 26 novembre scorso, solleva questioni (apparentemente) irrisolte sull’Hiv/Aids. Il ruolo degli omosessuali nella trasmissione del virus, le strategie comunicative delle istituzioni che tenderebbero a negare i successi nella lotta all’infezione, il ruolo degli antiretrovirali nell’arresto del contagio. Quotidiano Sanità le ha rivolte a Giovanni Rezza, direttore del Dipartimento di malattie infettive dell’Istituto superiore di sanità.
“Per fortuna che l’Aids non uccide più i Rock Hudson, i Freddy Mercury grazie ai progressi fatti nelle terapie. Ma abbiamo pagato caro questo successo con un drastico abbassamento della guardia”. La scorsa settimana era cominciata così. Con Stefano Vella, direttore del Dipartimento del Farmaco dellʼIstituto Superiore di Sanità, a elencare - a margine di un meeting - i successi trentennali nella lotta all’Aids e le criticità vecchie e nuove in cui ancora ci si dimena. La settimana, poi, si è chiusa con un lungo articolo di Roberto Volpi su Il Foglio (Domandine (inevase) sull’Aids, del 26 novembre) dedicato all’Aids che sollevava questioni (in apparenza) irrisolte quanto insolite.
Tre o quattro tematiche che sembrerebbero aleggiare sull’infezione del millennio e che meritano risposta. Quotidiano Sanità le ha rigirate al direttore del Dipartimento di malattie infettive dell’Istituto superiore di sanità Giovanni Rezza.
OMOSESSUALI, I PREFERITI DEL VIRUS
“… è quanto meno opinabile il tentativo messo in atto di imputare ai comuni rapporti eterosessuali il persistere e/o l’accentuarsi dell’epidemia”, scrive Roberto Volpi su Il Foglio, lasciando intendere che l’infezione da Hiv abbia nella popolazione omosessuale un bacino d’elezione. Dati alla mano, come l’Unaids Report of the Global Aids Epidemic 2010, si sosteneva che “Recenti studi studi riguardanti l’Africa subsahariana indicano l’esistenza di gruppi maschili che hanno rapporti sessuali con altri uomini e alti tassi di prevalenza delll’Hiv”. E ancora, che “C’è una forte recrudescenza dell’epidemia tra uomini che fanno sesso con altri uomini nell’America del Nord e nell’Europa occidentale”.
È così? Gli omosessuali sono più a rischio?
Occorre fare dei distinguo. L’argomento è complesso e non si può tagliare con l’accetta. “Innanzitutto occorre distinguere tra Paesi industrializzati e in via di sviluppo”, dice Rezza. “In alcuni paesi industrializzati la prevalenza di Hiv/Aids è più elevata nella popolazione omosessuale rispetto a quella eterosessuale. Nel resto del mondo la situazione è diversa: se, per esempio, guardiamo all’Africa centrale, dove si concentra la maggioranza dei sieropositivi, ci accorgiamo che i rapporti eterosessuali rappresentano la principale via di trasmissione. Inoltre circa la metà delle donne è infetta”.
D'accordo. Questo però non chiarisce se la popolazione omosessuale sia più a rischio.
“Non esiste un rischio legato all'omosessualità in quanto tale. Il fatto è che, se si considerano i rapporti penetrativi, il rapporto anale è a maggior rischio di quello vaginale perché la mucosa rettale è molto irrorata e il rapporto è più traumatico. Quindi c’è un maggior rischio di infezione. Tuttavia c’è un altro aspetto che si evidenzia guardando alla storia dell’Hiv/Aids. Dopo una prima fase in cui era alta la promiscuità, gli omosessuali hanno agito prontamente contribuendo in maniera notevole ai progressi della lotta all’Aids. Adesso stiamo assistendo a una perdita di memoria generazionale: ritornano i comportamenti a rischio, c’è ottimismo connesso ai progressi ottenuti in campo terapeutico che hanno consentito di cronicizzare la malattia”.
COMUNICAZIONE NEGAZIONISTA
Scrive ancora Il Foglio: “Quello che […] è cambiato di più è l’atteggiamento dell’Unaids. […] Hanno finalmente capito che continuare a piangere sulle risorse troppo esigue per affrontare una calamità come l’Aids, per di più senza mai sottolineare un obiettivo raggiunto, un risultato positivo, una prospettiva possibile rischiava di deprimere la lotta all’Aids invece di rafforzarla (e, oltretutto di non aiutarli nella raccolta dei finanziamenti): […] A quando il cambio di atteggiamento dell’Unaids anche in casa nostra?
È così negazionista dei progressi ottenuti la comunicazione sull’Aids?
Non vedo questa tendenza. Trovo piuttosto che l’Aids sia andata fuori moda. Sull’Aids negli ultimi anni si è investito molto. Ciò ha consentito lo sviluppo di un buon numero di farmaci che hanno fatto sì che diminuissero i casi di malattia conclamata e le morti. Abbiamo detto a più riprese che questo è un grande successo. In termini di nuove infezioni c’è stato un grosso calo alla fine degli anni ’80 che si è man mano stabilizzato. I progressi farmacologici, tuttavia, hanno prodotto un effetto paradossale: aumenta il numero totale di persone infette e, con esse, anche il serbatoio di infezione. Un serbatoio che tende a ingrossarsi e questo non è un argomento da poco in termini di salute pubblica. Non possiamo sottovalutarlo.
IL CAPITOLO DEI MISTERI/1: AFRICA SUBSAHARIANA CALAMITA DEL VIRUS
Il Foglio: "Grande due volte e mezzo l’Europa, con al proprio interno 48 nazioni, l’Africa subsahariana è la grande detentrice dell’Aids nel mondo. Ha poco più del 10 per cento della popolazione mondiale ma il 68 per cento delle persone viventi con Hiv/Aids e addirittura il 72 per cento dei morti di Aids. E più specificamente ancora: il 90 per cento dei bambini e ragazzi con meno di 15 anni sieropositivi e il 78 per cento delle donne adulte Hiv positive del mondo. […]Si è mai vista un’infezione squilibrata fino a questo punto, tanto più in quanto legata al sesso, in certo senso la via di trasmissione più “democratica” tra tutte?"
Qual è la ragione di questo disequilibrio?
Esistono diversi fattori che, messi insieme, producono questi numeri. Innanzitutto una promiscuità sessuale più elevata rispetto ad altri posti. Poi, in queste aree sono più frequenti ulcere genitali che favoriscono l’ingresso del virus. Negli ultimi anni si è aggiunto un altro fattore che ha allontanato ulteriormente quest’area dal resto del mondo: lo scarso accesso da parte della popolazione ai trattamenti: ciò ha contribuito a rendere più alta la carica virale. In futuro dovremo preoccuparci, inoltre, degli effetti della trasmissione verticale, da madre a figlio.
IL CAPITOLO DEI MISTERI/2: ANTIRETROVIRALI INEFFICACI
Il Foglio: “[…] in quanti si sono sottoposti a terapia antiretrovirale pre Aids la carica virale è pressoché la stessa di coloro che non hanno ricevuto terapia di sorta (viremia media:4,74 contro 4,86)- cosicché viene meno anche il postulato di partenza circa la “scontata” capacità delle terapie antiretrovirali di abbassare la carica virale”.
I numeri sono quelli dell’Iss e indicano i valori di viremia al momento della diagnosi di Aids sia in pazienti che in precedenza avevano fatto ricorso al trattamento (perché sieropositivi) sia in chi non si era mai curato. Sembrano indicare un’inefficacia degli antiretrovirali. È così?
I progressi ottenuti con gli antiretrovirali sono stati così evidenti che non c’è stato quasi bisogno di aspettare i risultati della sperimentazione clinica.
Quanto allo specifico caso, il fatto che i valori siano così simili tra chi è stato in terapia e chi non lo è stato è normale. Nel momento in cui dalla sieropositività si passa in Aids conclamata, ciò avviene perché c’è un fallimento della terapia. Che magari avviene dopo anni dall’inizio dell’assunzione dei farmaci.
Il Foglio: “I dati italiani dicono con grande chiarezza che le famose terapie antiretrovirali non incidono nel contenimento dell’infezione da Hiv né in quello dell’Aids”.
Che cosa risponde a quest'ultima affermazione del Foglio?
A nessuno verrebbe in mente di dire a un paziente: «assumi la terapia antiretrovirale così non trasmetti l’infezione». Anche se sappiamo da anni che, abbattendo la carica virale, la terapia antiretrovirale riduce il rischio del contagio, non è per questo che si fa il trattamento. Lo si fa per proteggere l’individuo, non per arrestare il contagio del virus. Certo, questo è un qualcosa in più che non può che farci piacere.
Ma somministrando gli antiretrovirali non si vuole deresponsabilizzare l’individuo: tocca a lui assumere tutte le precauzioni - compatibili con le sue idee personali - che gli impediscano di trasmettere il virus.
Antonino Michienzi
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