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Giovedì 19 DICEMBRE 2013
Competenze infermieristiche. Siano i presupposti per una reale continuità assistenziale
Gentile Direttore,
dal mio punto di vista di formatore e ricercatore di scienze infermieristiche, con esperienza clinica di lungo corso in campo assistenziale, intravedo nella discussione sulle competenze cliniche avanzate degli infermieri, che in questi giorni anima le parti interessate del paese, grandi opportunità di traghettare il nostro Ssn oltre le paludi, in cui era rimasto impantanato per un’eccessiva affermazione di un modello culturale fortemente centrato sugli aspetti biologici del benessere, che ha esageratamente sovrastimato le prestazioni sanitarie nell’ambito dei determinanti di salute accertati, producendo inefficienze, ingiustizie ed un enorme buco nel bilancio dello Stato.
Gli effetti devastanti di questo modello si riconoscono anche in un preoccupante disallineamento del nostro sistema sanitario, rispetto a quello dei paesi economicamente più avanzati, per quanto riguarda l'impiego di risorse umane, come si evince dall'ultimo rapporto OCSE (2013), che evidenzia come l'Italia abbia troppi medici (4,1/1.000 abitanti, contro una media OCSE di 3,2/1.000 abitanti) e pochi infermieri (6,3/1.000 abitanti, contro una media OCSE di 8,8/1.000 abitanti).
Questa anomalia rappresenta uno dei principali ostacoli allo sviluppo di un sistema sanitario orientato alla salute, nella sua accezione più ampia, in cui l'ospedale possa fungere da supporto agile e snello ai servizi territoriali, che, per funzionare al meglio, hanno bisogno di una componente assistenziale (infermieristica) che sia prevalente su quella diagnostica e terapeutica (medica), al fine di garantire, come avviene in altri paesi avanzati, interventi a domicilio in grado di sostenere efficacemente i bisogni dei cittadini indotti dal proliferare delle malattie croniche e di ridurre la spesa ospedaliera.
In tale prospettiva, considerato l'esubero di medici inutilizzabili sul territorio per i motivi anzidetti, e vista la carenza infermieristica non sanabile nel breve periodo, altro non rimane da fare, se si vuole davvero offrire un'alternativa concreta all'ospedale, quasi unica espressione della nostra sanità pubblica, che dare vita ad un modello organizzativo originale, che veda medici ed infermieri ospedalieri (questi ultimi in misura prevalente) assicurare in prima linea quella tanto auspicata continuità assistenziale, seguendo anche a domicilio almeno quei pazienti che, per complessità delle loro cure, vanno più frequentemente incontro a ricoveri ripetuti.
Assicurare la continuità assistenziale ospedale-territorio è un dovere, oltre che per le casse dello Stato, soprattutto per i pazienti, come, ad esempio, quelli affetti da SLA, che hanno diritto alla loro quota di salute, che comprende anche aspetti fondamentali come lo stare vicino ai genitori, ai figli, ai parenti ed agli amici, nel loro ambiente domestico, tra le loro cose e con le loro abitudini. Perché questo si realizzi, però, sono necessarie competenze assistenziali avanzate, per far funzionare, anche al domicilio di questi pazienti, i respiratori automatici, per allestire in casa complicati sistemi di monitoraggio e gestire eventuali eventi acuti, oltre che per dare consigli qualificati!
L'auspicio è che su questi contenuti si basi la discussione che mi auguro porti presto medici ed infermieri a ragionare insieme, come auspicato dall'OMS (obiettivo 15), per trovare il modo migliore di dare risposte concrete a queste necessità.
La formazione di queste competenze cliniche avanzate dovrà, però, inevitabilmente passare attraverso le Università, per non acuire ulteriormente disuguaglianze nel sistema salute generate dalle diverse sensibilità delle singole regioni e, soprattutto, per non far fare al paese un passo indietro di due decenni nella formazione infermieristica.
Loreto Lancia
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