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Sabato 09 NOVEMBRE 2013
Il Governo, tra "attributi d’acciaio" e politica di sopravvivenza
La frase ormai celebre comparsa nell’intervista all’Irish Times del premier Letta sulle “balls of steel” (poi smentita dallo stesso Letta), ci pone comunque di fronte a una realtà di un governo che bloccato dai reciproci veti non ha che la via della diminuzione del danno da oscurare con la logica dell’insostituibilità. E così anche lo stipendio del figlio della Cancellieri…
Nell’“eterno ritorno dell’eguale” della politica inevitabilmente arriva per l’oligarca di turno il momento in cui il suo mandato perde le caratteristiche di “servizio pro-tempore ” e acquisisce un nuovo statuto quello della “necessità” e della “insostituibilità” .
A questo punto, il leader cambia l’atteggiamento esteriore, il cosiddetto linguaggio analogico, ostentando sicurezza e decisionismo, e soprattutto adotta un nuovo linguaggio verbale che si piega, e spesso ripercorre, in modo regressivo, le antiche strade del trivio. Sembrava fosse così anche per il Presidente Enrico Letta che però ha ieri ufficialmente smentito la frase sugli attributi (balls of steel come traducono gli anglosassoni) troppo simile al suo predecessore che della genitalità aveva fatto la cifra di vita e di governo.
Rimane tuttavia il dato politico che per comprendere le politiche del Presidente Letta non bisogna leggere l’arte della guerra di Sun Tzu ma ricordarsi dei principi della “teoria dei giochi” e in particolare del famoso “dilemma del prigioniero” in cui gli attori ( PD e PDL - amici-nemici) non potendo massimizzare le proprie utilità scelgono forzosamente la strada di minimizzare i danni. La politica allora diventa un semplice esercizio di sopravvivenza in cui la razionalità si orienta non più ai fini (il bene dei cittadini tutti ) ma ai mezzi (il bene della propria cordata o lobby di riferimento).
La distanza della politica dal paese reale è ormai talmente evidente che anche la vicenda del Ministro Cancellieri e degli stipendi milionari del suo figliolo (un anno di lavoro corrispondente a 80 anni di lavoro medico!) vengono giustificati come dovuti, come la giusta ricompensa (è il mercato , bellezza!) all’ingegno del manager “un ragazzo serio e preparato”. Una re-distribuzione della ricchezza al contrario come avviene da almeno 20 anni nel nostro paese a scapito del 90% della popolazione italiana. Quella parte estremamente maggioritaria di cittadini che, nella indifferenza dei potenti, hanno ceduto le proprie risorse e perduto uno status semplicemente decoroso per consentire al restante 10% di accumulare un quantitativo di danaro senza precedenti e del tutto inutile ai fini della tanto auspicata ripresa economica, perché messo in naftalina, ibernato, e quindi reso indisponibile in uno dei numerosi paradisi fiscali sparsi per il globo
In termini di filosofia politica e seguendo le indicazioni di Bobbio i governi della seconda repubblica, con alcuni distinguo per il Governo Prodi, hanno tutti perseguito politiche di destra in quanto hanno privilegiato la libertà intesa come de-regolation della capacità di accumulazione di ricchezza individuale, piuttosto che la eguaglianza ovvero sia la messa in opera da parte del regolatore pubblico di efficaci politiche di distribuzione delle utilità prodotte ( di cui la ricchezza è uno dei componenti essenziali)
La politica continua a non scegliere e anche il documento economico di Yoram Gutgeld, guru economico di Renzi, cade nella trappola dei luoghi comuni e del continuismo. Ed infatti Gutgeld
sostiene che una politica di sinistra non deve ripercorrere le “infauste” parole d’ordine dell’ex Presidente della Camera (relativamente a eventuali patrimoniali o altro) e giustifica la sua affermazione in quanto “La celebre frase di Fausto Bertinotti “anche i poveri piangono” riflette un astio nei confronti di chi guadagna bene, anche facendo onestamente il proprio lavoro e pagando tutte le tasse. Un retaggio dell’ideologia comunista, per altro raramente praticata da chi la predicava. Basterebbe ricordare i privilegi delle classi dirigenti dei partiti comunisti cinese e sovietico” .
Ora poiché alcune settimane fa ho espresso una posizione del tutto contraria riportando parte di un articolo del Corriere del 2011 e firmato da Pietro Modiano un banchiere che, per demarcare il suo habitus, non ha bisogno, come Bertinotti, di indossare soprabiti di cammello o golfini in cachemire a 4 fili, vorrei illustrare perché non ritengo giusto nel caso in questione parlare di astio o invidia sociale verso i più ricchi (considerati implicitamente i più meritevoli)
In etica pubblica e nel dibattito che ne è seguito, la posizione pseudo- egualitaria di Rawls di cui è celebre la metafora del velo di ignoranza, in base al quale ai fini equitativi è sufficiente garantire pari opportunità agli individui indifferentemente dal loro nastro di partenza , è stata efficacemente confutata da A. Sen che ha dimostrato come determinanti per muoversi e ascendere nello spazio sociale (la traiettoria di Bourdieu) siano invece le condizioni di partenza di ciascun individuo , ovvero sia il capitale sociale, economico e culturale di cui si dispone fin dalla nascita l’individuo senza averlo meritato. Sen ha illustrato in tutta la sua lunghissima opera che non è mai la mancanza di un bene a determinarne la carenza (cibo, salute, ricchezza) ma la sua cattiva distribuzione e questo è particolarmente vero nei periodi di crisi.
Chiedere un intervento straordinario di re-distribuzione delle ricchezze, schierandosi con il banchiere Modiano non è allora un pregiudizio dettato dall’invidia nei confronti dei più meritevoli come spesso ripete il Ministro Lupi e ora sostiene Gutgeld ma è semplicemente prendere atto della verità. E l’amara verità è che nel nostro paese la ricchezza accumulata dai pochi non è quasi mai merito dell’ingegno individuale (come dimostrano ampiamente le ultime vicende legate ai signori del mattone) ma è quasi sempre il frutto di quel familismo amorale che schiaccia la libera iniziativa e la concreta possibilità di auto-valorizzazione degli esclusi per ceto.
Una verità negata ma non per questo non vera, perché come spesso succede per usare le parole Foucault l’ essere nel vero (quel che dicono gli economisti di maniera) sostenere il vero come sembra del tutto evidente a chi assume una posizione di semplice sospensione del giudizio.
Roberto Polillo
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