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Lunedì 04 NOVEMBRE 2013
Il riformista che non c’è e quelle 2000 infermiere alle Olimpiadi di Londra
Gentile Direttore,
ho letto la sua intervista a Ivan Cavicchi e i contributi che sono susseguiti, non ultimi quelli di Marcello Bozzi e Paola Arcadi. Mi fa piacere che anche gli infermieri facciano sentire la loro voce rispetto ad un’analisi, da parte del prof. Cavicchi, che invita tutti gli attori del sistema salute a non essere, appunto, spettatori. E a non lasciare che decidano per noi soggetti (multinazionali, società finanziarie o assicurative) con interessi non proprio “generali”. Sono convinto, come molti intervenuti su QS, che l’ultima fatica di Cavicchi possa essere la base per un dibattito all’interno della professione infermieristica, per poter aprire così un confronto con gli altri gruppi professionali e poi con i cittadini ed i politici sull’urgenza non più procrastinabile di una vera riforma della SSN, che coinvolga tutti gli stakeholders e senza la quale non si potrà fermare lo smantellamento del SSN.
Anche prestigiose riviste come The Lancet si sono chieste: perché l’universalità dell’assistenza è così importante? Terreno di scontro tra Obama e repubblicani negli Stati Uniti, anche in Europa, con la crisi e i tagli alla spesa pubblica, sta diventando uno dei temi di discussione più accesi. In Italia (forse) non ce ne siamo ancora resi conto, ma nel mondo ogni anno 100 milioni di persone finiscono sotto la soglia di povertà per pagare le spese mediche, perché non hanno assicurazione sanitaria. E anche quando l'avessero, potrebbero dover pagare gran parte delle cure se si ammalano, a causa di clausole restrittive nelle polizze. L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che ogni anno più di un miliardo di persone non può ricorrere alle cure necessarie a causa dei prezzi fuori portata.
Ricordate gli obiettivi dell'OMS “Salute per tutti entro il 2000”? Un'utopia, dicevano in molti. Certamente per molti paesi in via di sviluppo ma anche per i civilissimi States, questo obiettivo non è stato mai raggiunto, eppure nel nostro paese, grazie alla legge 833 istitutiva del SSN, l'universalità, la gratuità e l'accessibilità dei servizi sanitari sono stati, per oltre trent’anni, una realtà. Purtroppo sappiamo che non è più così, benché esista un sistema sanitario pubblico ancora funzionante, almeno nominalmente. Le ultime rilevazioni del Censis, parlano di una spesa privata che sale del 15-20% ogni anno, pari a 45-50 milioni di euro. Già in tempi non sospetti Cavicchi ricordava che milioni di malati si rivolgono ai centri di prenotazione per curarsi ma i tempi delle liste di attesa sono spesso irragionevoli e molti di loro optano per la libera professione intramoenia e mettono mano al portafoglio. “L’intramoenia è un modo per far pagare ai cittadini parte della retribuzione di un medico e per fare incassare alle aziende una percentuale sui loro guadagni. Essa sino ad ora è stata uno dei fattori più potenti del processo di privatizzazione della sanità pubblica”.
Purtroppo gli ultimi governi stanno dimostrando di… “non esserci”, proseguendo su una linea vecchia che, prima con il criterio dei tagli lineari ora con l’ultimo DEF nella legge di stabilità, aumenta la disomogeneità nel Paese. Della sua intervista a Cavicchi, da cui emerge l’idea strategica della “compossibilità” -insieme di compatibilità e sostenibilità- come via per risolvere la crescente forbice tra bisogni e risorse, mi hanno colpito queste parole: “Oggi la novità è che il sistema pubblico è in discussione a partire dai suoi fondamenti. (…) Siamo al definanziamento a scalare che attacca due valori portanti: il diritto di essere curati e il lavoro per curare.” Così, in pieno conflitto tra diritto alle cure e riduzione delle risorse, Il taglio di oltre 1.000 milioni di euro sul personale sanitario pare stia passando sotto silenzio…
Cavicchi esorta da tempo noi infermieri a capovolgere il modo di intendere il nostro ruolo, la nostra identità, passando da compitieri ad agenti. A questo proposito mi ha colpito la lettera di Eleonora, studentessa di medicina. “…noi non siamo formati per essere agenti e meno che mai per avere delle relazioni con il malato, e ancor meno per governare quella complessità che il prof Cavicchi cita spesso, fatta da biologia, etica, sociologia, economia, contesti, ecc.”. Tutto ciò vale anche per gli infermieri che da quando studiano in Università hanno sicuramente migliorato la preparazione a livello scientifico, ma per molti aspetti rimpiangono una formazione più attenta alla persona e ai modelli cd “olistici”. Se almeno l’ingresso in Università, sede ideale per definizione, avesse favorito la ricerca infermieristica e la docenza della disciplina. Di contro, i posti messi a concorso in quasi vent’anni sono a dir poco ridicoli (uno ogni 2.500 iscritti a infermieristica, con una percentuale di studenti che arriva al 60/70% di tutti gli afferenti alle ex facoltà di medicina).
Sul fabbisogno formativo -ma non solo- recentemente anche i tecnici regionali hanno dato chiare indicazioni in riferimento al Patto per la Salute. Dalla più clamorosa abolizione della dirigenza generalizzata alla necessità di sviluppare la formazione sanitaria secondo le indicazioni comunitarie, con una stretta connessione tra sistema ECM e sistema di valutazione del personale. Il Patto dovrebbe indicare chiaramente la disciplina concorsuale di livello legislativo, regolamentare e contrattuale per regolare ingresso e fuoriuscita dal sistema dei professionisti (medici e infermieri in primis).
Tornando alla domanda iniziale e all'Inghilterra, uno studio dell’Imperial College di Londra ha dimostrato come la diffusione di un’assistenza sanitaria universale – definita dall’Oms come l’accesso per tutti in caso di bisogno alle giuste cure mediche, alla prevenzione e alla riabilitazione, ad un costo accessibile a tutte le tasche – comporterebbe un miglioramento della salute globale della popolazione. Come ha spiegato Margaret Chan, direttrice generale dell’Oms, infatti, quel che è certo “è che la copertura sanitaria universale è il più potente strumento che la salute pubblica può offrire”. Su questi principi l'Italia ha già imitato in passato la Gran Bretagna, istituendo un Servizio Sanitario Nazionale molto simile al NHS, tra i migliori al mondo. Un sistema universalistico, efficace, che si è costantemente rinnovato, in cui gli infermieri italiani hanno sempre creduto e in cui tutti i cittadini (e politici) italiani dovrebbero credere, come hanno dimostrato di fare gli inglesi di fronte al mondo intero, celebrandolo con 2000 infermiere durante la cerimonia di apertura delle ultime olimpiadi.
Stefano Bazzana
Infermiere Brescia
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