quotidianosanità.it
stampa | chiudi
Venerdì 20 SETTEMBRE 2013
Scompenso cardiaco. Una cura dall'ormone della crescita
Uno studio durato 4 anni ha dimostrato che la terapia ormonale aiuta al recupero, fino al 50%, della capacità di esercizio fisico. Registrati anche il miglioramento della pompa cardiaca e una minore ospedalizzazione. La ricerca portata avanti dal policlinico Federico II di Napoli è pubblicata sul Journal of American College of Cardiology.
L'insufficienza cardiaca cronica, meglio conosciuta come scompenso cardiaco, è una patologia molto frequente che coinvolge circa un individuo su dieci tra le persone con più di 65 anni. Una patologia che da oggi presto potrebbe vedere una nuova opzione terapeutica: questo emerge da uno studio realizzato presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II di Napoli e pubblicato sulla prestigiosa rivista internazionale, Journal of American College of Cardiology.
Nelle prime fasi della vita, l'ormone della crescita (GH) promuove l’accrescimento osseo e lo sviluppo fisico dell’organismo, mentre nell’età adulta, tra le numerose azioni svolte, contribuisce al corretto funzionamento del sistema cardiovascolare. Nello studio, coordinato da Luigi Saccà, direttore dell’Unità Operativa Complessa di Medicina Interna III, e da Antonio Cittadini, entrambi afferenti al Dipartimento ad Attività Integrata (DAI) di Medicina Interna, Patologia Clinica dell’AOU Federico II, sono stati valutati gli effetti della terapia ormonale con ormone della crescita nei pazienti con scompenso cardiaco.
In precedenti ricerche, gli scienziati avevano già dimostrato come il 30-40% dei pazienti affetti da scompenso cardiaco cronico presenti un deficit di GH, probabilmente determinato dalla stessa malattia cardiaca secondo meccanismi non ancora identificati. Lo studio condotto dall’equipe dell’Azienda federiciana ha valutato se la somministrazione di GH ai pazienti affetti da insufficienza cardiaca cronica, i quali risultassero contemporaneamente anche affetti da deficit di GH dell’adulto, potesse avere degli effetti benefici.
Il gruppo di ricerca ha somministrato la terapia con GH a 28 pazienti mentre altri 28 hanno rappresentato il gruppo di controllo. Lo studio ha mostrato risultati molto incoraggianti dopo un periodo di osservazione di 4 anni. I pazienti che hanno assunto il GH hanno mostrato un aumento della capacità di esercizio fisico pari a circa il 50% (il più importante indice di sopravvivenza di questa popolazione di pazienti) misurata con test cardiopolmonare, mentre nel gruppo di controllo si è assistito ad una riduzione di circa il 15% della capacità fisica. I pazienti che hanno assunto GH, inoltre, hanno ottenuto un miglioramento della funzione di pompa cardiaca di circa il 33% mentre nel gruppo di controllo si è manifestato un peggioramento del 5% rispetto alla popolazione di controllo. In sintesi, mentre nel gruppo di controllo si è assistito al consueto aggravamento della malattia, gli altri non solo non sono stati colpiti dalla naturale progressione della malattia, ma addirittura hanno mostrato un inaspettato e incoraggiante miglioramento delle proprie condizioni cliniche.
Inoltre, i pazienti che hanno assunto GH sono ricorsi di meno all’ospedalizzazione rispetto al gruppo di controllo e, a differenza di questi ultimi, hanno riferito un miglioramento della propria qualità di vita e del benessere fisico, parametri entrambi valutati secondo la compilazione anonima di questionari.La somministrazione di GH si è mostrata sicura e non ha causato effetti collaterali.
La sperimentazione è stata interamente condotta all’interno dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II di Napoli, sebbene costituisca solo uno studio preliminare, rappresenta senza dubbio un importante passo in avanti verso l’utilizzo di un nuovo farmaco nella pratica clinica dello scompenso cardiaco. “Se i dati presentati risultassero confermati su casistiche internazionali più ampie si aprirebbe una nuova prospettiva di miglioramento delle condizioni cliniche dei pazienti con scompenso cardiaco cronico”, ha commentato Cittadini.
Allo studio hanno partecipato Annamaria Colao, responsabile della UOC di Patologia Neuroendocrina dell’AOU Federico II, Alberto M. Marra, Michele Arcopinto, Emanuele Bobbio, Andrea Salzano, Domenico Sirico e Raffaele Napoli afferenti all’UOC Medicina Interna III dell’Azienda, Salvatore Longobardi della Merck Serono S.p.A. di Roma, Ragavendra R. Baliga della Divisione di Medicina Cardiovascolare della Ohio State University, Eduardo Bossone della Divisione di Cardiologia, Cava dei Tirreni – Ospedale di Costa d’Amalfi, Torre Cuore, Università di Salerno.
© RIPRODUZIONE RISERVATA