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Giovedì 28 OTTOBRE 2010
Cibo: dietisti, “Non sprecatelo”. Ci guadagna la salute, la società e il portafogli
In occasione della Giornata europea contro lo spreco, che si celebrerà il 30 ottobre, l’Andid (Associazione Nazionale Dietisti) propone 10 regole facili per evitare inutili sprechi di cibo seguendo, al contempo, una alimentazione corretta. Oltre alla salute, ogni famiglia potrebbe risparmiare 585 euro all’anno.
Nell’immondizia di ogni italiano piovono ogni anno 27 chili di cibo ancora consumabile con uno spreco di circa 585 euro a famiglia. Sono dati dell’Adoc (Associazione Difesa Consumatori) secondo cui nelle discariche finiscono quotidianamente 4 mila tonnellate di alimenti freschi: latte, uova, formaggi e yogurt (39%), pane e pasta (15%), carne (18%), frutta e verdura (12%). Senza contare che questi dati non comprendono il “buco nero” dello spreco delle grandi mense aziendali, ospedaliere e scolastiche, dei buffet luculliani dei grandi alberghi o dei villaggi turistici ‘all inclusive’.
Per fermare questa “strage di cibo” arrivano oggi anchei consigli dell’Andid (Associazione Nazionale Dietisti). Dieci regole per evitare inutili stragi di cibo e approfittarne per seguire una alimentazione corretta, l’Andid presenta 10 regole:
“Di fronte a questi dati vogliamo lanciare un messaggio forte – spiega Giovanna Cecchetto, presidente Andid – invitando gli italiani a considerare il ‘non sprecare’ come una regola ‘etica’, di principio, a non sciupare cose tangibili, come il cibo, e beni più immateriali, come il tempo e la salute, ma bensì ad imparare ad acquisire un atteggiamento di cura verso il cibo stesso e il suo acquisto. Solo apparentemente, infatti, il consumo si esaurisce al momento dell’acquisto. Dietro vi è un concetto di responsabilità individuale e collettiva, di equilibri ecosistemici e geosociali, che spaziano dalla decisione di scegliere e comprare quel determinato prodotto fino alla modalità di consumo e di smaltimento dei rifiuti adottata”.
L’impegno dell’Andid e di tutti i dietisti volge proprio verso la promozione e la sensibilizzazione ad un modello alimentare sostenibile, che bandisca inutili sprechi e contribuisca al miglioramento della salute, alla protezione delle risorse naturali e alla valorizzazione del lavoro dell’uomo. “La cultura alimentare mediterranea, moderata e misurata come era tradizione – riassume Stefania Vezzosi a nome del gruppo Andid Salute Pubblica – è sfumata un’era fa e ha lasciato il posto a un’economia dell’eccesso e dello spreco. I dati Istat, riferiti al 2008, lo confermavano. Ma ancora oggi siamo sullo stesso trend”. Mediamente la spesa degli italiani si attesta, fra generi alimentari e bevande, sui 580 euro, pari al 21% del totale della spesa mensile. Circa il 39% di uno stipendio medio investito in generi deperibili. La voce più onerosa riguarda la carne con una spesa in media di 120 euro mensili, seguono patate, frutta e ortaggi con una spesa media di 98 euro, pane e cerali per un totale di 95 euro.
Luogo privilegiato per gli acquisti degli italiani è il supermercato (68,1%) soprattutto al centro nord (60%), senza tuttavia disdegnare il negozio tradizionale (63.7%), specie al Mezzogiorno. Circa un quarto delle famiglie si reca al mercato comunale, specie per l’acquisto di frutta e verdura, sebbene con evidenti differenze sul territorio (10,2% al Nord-est e 30.9% nelle Isole) mentre timidamente comincia a fare capolino anche una percentuale di consumatori che si rifornisce negli hard-discount (11%). Si stima che il consumo annuo di alimenti, comprese le bevande e l’acqua imbottigliata, in Italia si aggiri su 25 milioni di tonnellate per una spesa approssimativa di 50 miliardi di euro.
E alla fine, una buona parte di tutto questo finisce nel bidone della spazzatura. “Contenere e sfuggire questi sprechi è possibile – aggiunge
Cecchetto – con un approccio ecologico all’alimentazione tale da consentire la soddisfazione delle esigenze delle attuali generazioni, senza tuttavia danneggiare quelle future”. “Ciò significa –
Stefania Vezzosi – non solo offrire cibo ‘buono’ da un punto di vista nutrizionale ma anche porre al centro di una riflessione allargata il cibo come risorsa naturale e prodotto dell’attività dell’uomo, come strumento per uno sviluppo equo, sostenibile e partecipato, come responsabilità sociale per la promozione della salute”.
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