quotidianosanità.it
stampa | chiudi
Giovedì 05 SETTEMBRE 2013
I segreti del cervello. Ecco come codifichiamo gli oggetti
Se un bambino guarda un’arancia, la associa più facilmente a un pallone perché è rotonda o a una banana perché è un frutto? In altre parole, in che modo le immagini si trasformano in concetti nel cervello umano? Una ricerca italiana ha tentato di rispondere a questa domanda, dalle pagine di PLOS Computational Biology.
Sono tanti i segreti che gli scienziati non hanno ancora svelato, riguardo il cervello. Tante le domande a cui si sta lentamente tentando di dare risposta. Ad esempio, in che modo le immagini che vediamo si trasformano in concetti e dunque in parole? Una domanda a cui un team italiano sembra oggi aver dato una parziale risposta, attraverso le pagine di PLOS Computational Biology. Secondo il gruppo di scienziati coordinato da Davide Zoccolan della SISSA di Trieste, in collaborazione con il gruppo di Riccardo Zecchina del Politecnico di Torino (nell’ambito del Programma Neuroscienze 2008/2009 finanziato dalla Compagnia di San Paolo), per rispondere a questa domanda si deve infatti capire come funziona la corteccia infero temporale (IT), una delle più avanzate aree sensoriali visive del cervello. E definirne con maggior chiarezza la funzione.
La maggior parte dei neuroscienziati fino a qualche anno fa considerava la corteccia infero temporale l’ultima stazione di elaborazione propriamente visiva dell’immagine che si forma sulla nostra retina, prima che l’informazione passi a essere processata in altre aree cerebrali preposte a funzioni cognitive di più alto livello. Poi, nel 2007 e 2008 due studi hanno messo in dubbio questa ipotesi, suggerendo che l’IT potesse essere implicata in funzioni di elaborazione semantica degli oggetti visivi. In pratica gli scienziati fino a quel momento avevano ritenuto che quest’area cerebrale rappresentasse gli oggetti principalmente in base alle loro proprietà visive (quali, ad esempio, la forma), mentre i nuovi studi sostenevano che il significato degli oggetti avesse qui un ruolo predominante. In altre parole, hanno tentato di capire se la categorizzazione degli oggetti nell’IT avvenisse per gerarchie basate sulla somiglianza della forma o su quella del significato: ci si è chiesto se per l’IT un’arancia assomigliasse di più a un pallone per bambini (entrambi rotondi) o a una banana (entrambi frutta).
Per comprendere meglio quale fosse la verità, Zoccolan ha analizzato dei dati elettrofisiologici da lui raccolti su primati qualche anno fa, quando lavorava nel laboratorio di James Di Carlo, presso il MIT di Boston. I dati sono stati processati utilizzando diverse tecniche computazionali di machine learning, incluso un algoritmo di clustering recentemente sviluppato dal gruppo di Zecchina. “I nostri dati indicano che la maggior parte degli oggetti sono categorizzati in base alla loro somiglianza visiva, mentre l’appartenenza semantica è risultata essere rappresentata in modo robusto solo nel caso di una classe di oggetti: gli animali a quattro zampe”, spiega Zoccolan. “Il modello tradizionale dell’IT, intesa come area che codifica informazione principalmente visiva, resta dunque valido, anche se il nostro studio non esclude che alcune classi semantiche particolarmente salienti per i primati possano essere anche qui rappresentate”.
“Oltre a questa conferma abbiamo anche osservato una cosa inaspettata”, continua Zoccolan. È noto da tempo che l’IT è una stazione di elaborazione di informazioni complesse, spiega lo scienziato, “in pratica lo stadio più avanzato di elaborazione dell’informazione visiva, dove gli oggetti sono codificati in maniera esplicita, ovvero, l’intera struttura di oggetti complessi viene codificata, piuttosto che singole parti. Quello che invece abbiamo osservato noi è che nell’IT viene conservata anche una codifica ‘grezza’, di più basso livello, per esempio se un oggetto è scuro o chiaro, se è grande o piccolo, e così via. Si tratta dunque di un’osservazione originale che cambia la nostra interpretazione sulla funzione dell’area infero temporale”.
© RIPRODUZIONE RISERVATA