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Venerdì 23 AGOSTO 2013
Precari in sanità. Il coraggio che manca
Siamo di fronte ad una generazione alla quale si è rubata la speranza di un futuro. Questa speranza va restituita con scelte innovative e discontinue per rimuovere gli stessi presupposti del precariato. Nelle Asl e negli ospedali la "normalità" del rapporto di lavoro deve tornare ad essere quella a tempo indeterminato
Governo e Regioni stanno intervendo sulla questione del precariato nella pubblica amministrazione e i sindacati da tempo ne denunciano gli effetti negativi. Nella sanità questo fenomeno assume una connotazione più particolare e grave per il fatto che si sviluppa maggiormente in quei settori, quali l’emergenza e l’assistenza sanitaria diretta in ospedale e nel territorio, ove maggiore è il rapporto tra professionista e cittadino.
Certamente di un operatore a cui affidiamo la nostra vita o quella dei nostri cari è auspicabile immaginare che la sua vita abbia quel minimo di serenità necessaria a svolgere con la maggiore sicurezza possibile il suo lavoro e cioè senza l’angoscia di avere un contratto di lavoro a tempo determinato oppure privo dei normali diritti normativi ed economici e sottopagati e talora questo è un eufemismo.
Per questo lo Stato e le Regioni dovrebbero avere, a mio giudizio, maggior coraggio politico e visione di prospettiva su questa vicenda: siamo di fronte anche nel comparto sanità ad una generazione alla quale si è rubata la speranza di un futuro e a cui, invece, questa speranza va restituita con scelte innovative, discontinue e che affrontando e risolvendo il presente costruiscano le condizioni per rimuovere, per il futuro, i presupposti per cui questo fenomeno negativo sia nato e si sia sviluppato.
Negli anni 80 contribuì, insieme a molti altri, con la conquista della legge 207/85 a risolvere drasticamente il fenomeno che allora aveva una dimensione estesa (150.000 unità, di cui 30.000 convenzionati) quasi il 40% della categoria e da allora il fenomeno non ha mai raggiunto né si è avvicinato a queste dimensioni, però rimane preoccupante: a quei giovani precari lo Stato allora restituì la speranza del futuro, anzi la certezza: molti li ho rincontrati dopo decenni come primari, pardon direttori di struttura complessa, direttori generali o amministrativi o sanitari, direttori di assessorati…: è ora che anche l’attuale generazione di medici, infermieri…abbia un’analoga speranza nel proprio futuro.
Certamente ormai, anche per le varie pronunce della massima magistratura è impensabile una soluzione di stabilizzazione del precariato che eviti il dettato costituzionale del rispetto dell’accesso all’impiego pubblico tramite prove selettive concorsuali prevedendo per il precario la riserva nei concorsi e/o la valutazione adeguata del servizio prestato, ma per dare respiro e tranquillità alla lavoratrice ed al lavoratore precaria/o ed allo stesso sistema, almeno si potrebbe avere il coraggio di superare il periodico rinnovo del contratto a tempo determinato e prorogarlo sino all’effettuazione delle rispettive prove concorsuali, con l’obbligo temporale per le Aziende Sanitarie e le Regioni di effettuarli in un periodo predeterminato (cinque anni?).
E’, infatti, noto che i precari, di sicuro in sanità, svolgono perlopiù funzioni essenziali che per il ruolo strategico che hanno nelle scelte aziendali devono aver certezza e sicurezza nella risorsa umana e professionale che li esercita.
Proprio per questa stessa certezza lo stesso coraggio politico dovrebbe imporre alle Aziende Sanitarie la scelta risolutiva per la quale la normalità del rapporto di lavoro sia quello a tempo indeterminato e che il ricorso a quello a tempo determinato sia circoscritto solo a quelle fasi ristrette e delimitate nel tempo quali le sostituzioni per aspettativa etc.; altrettanto coraggio dovrebbe essere esercitato per bandire l’utilizzo dei cosiddetti rapporti atipici e flessibili ed il ricorso alle cosiddette cooperative di servizio, non solo di norma ma soprattutto per quelle funzioni “core” dell’azienda sanitaria. E’ noto a tutti che questi rapporti di lavoro sono caratterizzati per l’assenza della maggioranza dei diritti previsti per gli altri lavoratori a fronte degli stessi doveri e per una retribuzione altrettanto inferiore, una volta si chiama sfruttamento ed ingiustizia sociale, ora non so che neologismo utilizzare.
Se si avesse coraggio di fare queste scelte certamente la ferita tra le precedenti generazioni e l’attuale di operatori e di professionisti in sanità comincerebbe a suturarsi anche se ci sarebbe bisogno di altre scelte altrettanto coraggiose. Ad iniziare dalla ripresa delle assunzioni o delle condizioni di occupazione per le giovani generazioni delle professioni infermieristiche e delle altre professioni sanitarie che nella maggioranza nei primi anni di laurea vedono allontanarsi la possibilità di svolgere con sicurezza e retribuita la propria attività, il proprio lavoro, il tutto a fronte di un maggior impegno e nuove e più avanzate competenze richiesti ai loro colleghi in servizio.
Saverio Proia
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