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Martedì 23 APRILE 2013
Da Di Bella al caso “Stamina”. Tra umanità e scientismo
In medicina “qualsiasi cosa può andar bene” solo se dominata scientificamente. Ma questo va fatto con umanità, superando scientismi di altri tempi. Ma come fu per il caso Di Bella anche nel caso Stamina la scienza sembra "contro-stante" la società
“Smoke and mirror” è il titolo ormai diventato famoso di “Nature” a partire dal quale la scienza internazionale ha condannato il decreto Balduzzi sul caso Stamina. Smoke è metafora di incoerenza, di andamento caotico, di inconsistenza e si riferisce alla implausibilità scientifica di una terapia che impiega per certe malattie le cellule staminali mesenchimali. Mirrow in genere è metafora di vanità, di superficialità, di apparenza, di narcisismo, di ostentazione, e si riferisce ai comportamenti opportunisti delle persone e che rappresenta secondo me, bene un ministro che candidato alle elezioni politiche, in campagna elettorale, di fronte al caso stamina, si mostra aimè più preoccupato per la sua immagine personale che per le sorti della scienza. Un ministro che tra la scienza e i media sceglie le Iene, Celentano e l’intramontabile Lollo. E’ da manuale la sua incredibile malleabilità alle ragioni extra scientifiche.
“Entre le cristal et la fumee” è il titolo di un libro del 79 di H.Atlan, che propone un compromesso tra l’idea di ordine e quella di disordine, tra regolarità delle leggi di natura e la casualità dei fenomeni naturali, e quindi tra una idea di scienza razionale e un’idea di scienza ragionevole nei confronti della complessità, della varietà e unicità degli eventi.
Il ministro Balduzzi tra il “cristallo e il fumo”, come scrive “Nature” avrebbe quindi scelto lo “specchio” e come lui addirittura un pezzo di Parlamento nonostante i tanti “scienziati” che contiene. Il pastrocchio che riesce a fare dimostra come il caso Di Bella non ci ha praticamente insegnato nulla nonostante costituisca una delle pagine più vergognose della nostra medicina contemporanea. E’ un “combinato disposto” che spaccia il “completamento del trattamento” come sperimentazione quando sperimentazione non è, che vincola tale trattamento alla dimensione pubblica dell’ospedale e alla gratuità dei rimedi dimenticando che libertà di cura non significa a carico dello Stato in quanto lo Stato per erogare dei trattamenti terapeutici è vincolato da regole di comprovata efficacia terapeutica.
Con il decreto Balduzzi è come se la politica avesse scalzato la scienza autorizzando nel pubblico un trattamento scientificamente non provato per ragioni extrascientifiche. Basta questo a farci percepire dal mondo come un “far west” e hanno ragione coloro che dicono che stiamo correndo il rischio di essere estromessi dai circuiti internazionali della ricerca scientifica. Quindi il danno è grave e a questo il Senato anch’esso pieno di scienziati, deve porre rimedio. I compromessi da fare, tra il cristallo e il fumo, a parte accantonare lo specchio (infrangerlo porta male), sono due: l’affermazione del principio della libertà di cura sotto la responsabilità diretta dei cittadini informandoli sullo stato delle conoscenze, sui rischi possibili, ma soprattutto sul grado di implausibilità scientifica del trattamento e tutelandoli da frodi e speculazioni; l’umanità della scienza che di fronte alla disperazione umana deve essere tanto razionale che ragionevole quindi accettare l’idea che non può essere la disperazione a doversi adattare al suo proceduralismo ma il contrario senza per questo venire meno alla propria ortodossia scientifica. Umanità vuol dire che difronte a casi circoscritti si definiscono speciali concetti di “beneficio terapeutico relativo”, limitatamente alle gravità in questione, alle presumibili attese di vita, in luoghi delegati, cioè punti franchi, dove si attuano procedure ad hoc, cioè pensate per terapie scientificamente sottodeterminate e paraconsistenti, con tempi e modalità ben definite, il tutto in un assetto rigorosamente sperimentale.
La scienza in questi casi speciali deve semplicemente verificare delle plausibilità cioè occuparsi delle lacune epistemiche delle teorie terapeutiche, degli errori categoriali dei trattamenti, delle presupposizioni che mancano alle tesi in campo e imparare a dialogare con la società. Come fu per il caso Di Bella anche nel caso Stamina la scienza sembra contro-stante la società. Nel caso Di Bella l’oncologia perse una grande occasione di dialogo sociale, si arroccò nel suo scientismo, non riuscendo a sintonizzarsi con la disperazione umana, finendo con una sperimentazione sulla quale davvero dobbiamo stendere un velo pietoso. Nel caso Stamina oltre le ragioni dell’evidenzialismo scientifico, troppe sono quelle che tradiscono preoccupazioni per lese maestà, per i domini violati, per le prerogative da difendere…tutte cose comprensibili e giuste ma che dimenticano che la condizione di fondo della scienza è la sua fallibilità e umiltà e quindi che è possibile, anche se con margini infimi di probabilità, che dalle verità di fatto sia possibile dopo verifica accurata ricavarne delle verità di ragione.
Quel geniaccio di Feyrabend sosteneva che “qualsiasi cosa può andar bene” nel senso che un po’ di eterodossia aiuta a conseguire il progresso, cioè l’ortodossia scientifica. In medicina “qualsiasi cosa può andar bene” solo se dominata scientificamente ma questo va fatto con umanità, superando scientismi di altri tempi. L’umanità quindi è il vero compromesso tra il cristallo e il fumo.
Ivan Cavicchi
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