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Venerdì 12 APRILE 2013
Trapianti. Sempre più tecnologia ma sempre meno donatori. Le conclusioni del congresso Sisqt
Telemedicina e telecare sempre più utili per monitoraggi a distanza e per scambiare informazioni. E anche per sostenere psicologicamente i pazienti. Ma sulle donazioni note dolenti: negli ultimi anni si registra un progressivo calo. E chi dona è sempre più vecchio.
Una volta effettuato un trapianto, la sopravvivenza è strettamente legata al lavoro che viene effettuato dal team trapiantologico all’indomani dell’intervento. E la parola chiave per il successo è “aderenza”: alle terapie immunosoppressive innanzitutto, che proteggono dal rigetto del trapianto, e ad uno stile di vita adeguato. Nel contesto attuale bisogna inoltre tener conto della situazione di crisi economica che rischia di condizionare la sicurezza e la qualità nel campo dei trapianti. Altro fattore che desta preoccupazione in Italia è la mancanza di donatori di cuore. Tutti temi di stringente attualità che sono stati discussi nel corso del congresso congiunto della Società italiana per la sicurezza e la qualità nei trapianti (Sisqt) e dell’International Transplant Nurses Society (Itns), conclusosi oggi a Firenze (vedi altro articolo sull'apertura dei lavori).
“I pazienti – ha sottolineato Fabienne Dobbels, psicologa presso il Centre for Health Services and Nursing Research dell’Università Cattolica di Lovanio (Belgio) e membro del gruppo di ricerca internazionale Leuven-Basel Adherence Research Group – dal momento del trapianto, sono obbligati a prendere una complessa terapia a base di farmaci anti-rigetto a vita e a seguire uno stile di vita salutare. Che è poi quello che tutti dovremmo fare: seguire una dieta sana, fare esercizio fisico, non fumare, assumere alcol con moderazione o addirittura evitarlo”. Non è facile però seguire alla lettera tutte queste prescrizioni e alcuni pazienti hanno dei momenti di scoraggiamento e di stanchezza, che li portano ad abbandonare farmaci e buon senso. L’identikit del paziente a rischio di non aderenza è complesso, multidimensionale e particolare al tempo stesso. Possono entrare in ballo fattori di tipo culturale, socio-economico o altri che riguardano la famiglia, il team trapiantologico, la città o il Paese nel quale vive il paziente.
“Bisogna anche considerare – ha proseguito Dobbels - che i pazienti vedono il team trapiantologico per un’ora alla settimana o al mese, mentre il vero sforzo è quello che viene richiesto loro, nel seguire le prescrizioni 24 ore al giorno, 7 giorni la settimana. Completamente in balia della loro buona volontà, senza la presenza di medici, infermieri o psicologi. In più, come tutti sanno, c’è carenza di staff e sovraffollamento negli ospedali; è dunque sempre troppo poco il tempo che si può dedicare a questi pazienti. Tutto viene affidato all’autogestione – ha aggiunto la Dobbles – e questa può essere insegnata e implementata nella pratica quotidiana. In questo possono essere di grande aiuto le health technologies”. Per e-health, si intendono le ICT (tecnologie per l’informazione e la comunicazione) applicate alla salute. Si va dalla telemedicina, alla tele-care (cioè al monitoraggio di una persona anziana che vive da sola in casa), alla tele-health, definita come uno scambio interattivo di informazioni tra un paziente e un medico a distanza.
“Quest’ultima – ha spiegato la Dobbels – non solo viene usata per monitorare a distanza e scambiare informazioni ma anche per fornire feedback, sostenere psicologicamente i pazienti e supportare i loro comportamenti salutari. “Ci sono diverse opzioni strumentali: dagli SMS (tutti abbiamo ormai un telefono cellulare) a Internet. E’ possibile ad esempio mandare un SMS per ricordare al paziente (si fa soprattutto con i giovani trapiantati) che è ora di prendere le medicine; il paziente è tenuto a rispondere con un SMS in codice e se non risponde al messaggio, viene mandato un altro SMS; se non risponde neppure a questo, un membro del team trapiantologico o il medico stesso cercherà di contattarlo al telefono. Con gli SMS si possono ricordare ai pazienti i loro appuntamenti, o anche mandare messaggi ‘motivazionali’ tipo: ‘è meglio che non fumi’, ‘c’è il sole fuori, perché non esci a fare una passeggiata’, ecc. Ci sono anche programmi su Internet che non servono tanto ad educare il paziente, quanto a sfruttare la componente di interattività, come forum, chat rooms, videogame per teenager, gruppi di discussione; altri programmi infine – ha concluso - consentono di avere accesso al proprio medico per ricevere un consiglio personalizzato”.
Un’altra questione nodale, sviscerata con attenzione nel corso del convegno, riguarda la mancanza di donatori di cuore. Da almeno tre anni a questa parte, la forbice tra i pazienti in attesa di trapianto per scompenso cardiaco avanzato e gli organi disponibili si è molto divaricata. I donatori, anche in una Regione per tradizione generosa come la Toscana, ci sono ma sono troppo anziani. E intanto lo scompenso cardiaco si conferma sempre più come uno più grandi dei big killer al mondo, causa di oltre 100 mila decessi l’anno in Europa e altrettanti negli Stati Uniti e con oltre 2 milioni di nuove diagnosi ogni anno. “Gold standard del trattamento è il trapianto cardiaco – ha ricordato Massimo Maccherini, direttore del Centro Trapianti di cuore della Regione Toscana (Azienda Ospedaliera Senese) - che però assomma tra Europa e Stati Uniti non più di 5.000 trapianti l’anno”.
“La Toscana – ha sottolineato il professor Franco Filipponi, presidente della Sisqt – rappresenta un’eccellenza nelle donazioni (è la Regione con il più alto tasso di donazioni di tutta Italia, con 30 donatori per milioni di abitanti), anche grazie al fatto di aver adottato già dal 1998 il modello spagnolo messo a punto da Rafael Matesanz, direttore dell’Organizzazione Nazionale Trapianti Spagnoli. Questo modello è sia un hub telematico (il ‘cuore ‘ del sistema, al Careggi di Firenze, riceve continuamente input da tutte le Rianimazioni della Regione, relativamente alla presenza di possibili donatori), che di formazione. Grazie a questo sistema, nel corso di pochi anni, ci siamo avvicinati agli eccellenti risultati conseguiti ormai da anni dalla Spagna, che è il Paese con più donatori d’organo al mondo”.
“In Italia – ha osservato Maccherini – ci siamo attestati per molti anni intorno ai 350 trapianti di cuore l’anno; ma negli ultimi 3 anni abbiamo avuto un progressivo calo delle donazioni utili, perché, come accade in Toscana, è molto elevata l’età dei donatori, in media circa 70 anni”. Per far fronte al problema, la Regione Toscana, insieme a quella Emilia Romagna, ha sviluppato un protocollo di valutazione dei cuori cosiddetti ‘marginali’, cioè con dei problemi teorici, che potrebbe essere anche solo quello dell’età, o veri e propri problemi di contrattilità, che non si possiamo conoscere prima. Si chiama Adhoners (Aged donor heart rescue by stress echo) ed è un test ecocardiografico di facile esecuzione (è un eco-stress alla dobutamina e dipiridamolo, che si fa sul candidato donatore in morte cerebrale), che ha permesso di recuperare un 10% dei donatori che una volta non sarebbero stati considerati per il trapianto di cuore. “Il test per ora è stato utilizzato solo in Toscana e in Emilia – spiega il dottor Maccherini – ma da quest’anno il Centro Nazionale Trapianti l’ha recepito a livello nazionale, per cui verrà utilizzato in tutta l’Italia”. Messo a punto dai ricercatori del CNR di Pisa e del Sant’Orsola Malpighi di Bologna, Adhoners è un test che non ha eguali al mondo. Questo sistema non solo permette di avere un maggior numero di cuori a disposizione per il trapianto ma, cosa ancora più importante per la sicurezza del paziente, certifica che si tratti di cuori in buono stato e non di cuori di ‘seconda scelta’, anche se prelevati da donatori ‘marginali’.
Finora la scelta del donatore si è basata sui dati dell’International Society for Heart and Lung Transplantation, relativi alle curve di sopravvivenza del paziente trapiantato in base all’età del donatore. La sopravvivenza a 15 anni di un paziente trapiantato con il cuore di un trentenne è pari al 65%; con un donatore 60enne, la sopravvivenza a 15 anni è del 35%. L’idea del test Adhoners è proprio quella di identificare, anche tra i donatori più anziani, quelli con un cuore valido e senza problemi, per poterlo utilizzare con sicurezza per un trapianto. Ma la soluzione alla scarsità delle donazioni di cuore non viene solo dai donatori ‘marginali’, ma anche dalle soluzioni tecnologiche più avanzate.
“Vista la scarsità di organi – ha spiegato Maccherini – tutti i centri trapianti, in particolare qui in Toscana, si sono spostati, soprattutto nei pazienti con problemi seri e in lista da tempo, sull’approccio tecnologico, cioè sul supporto meccanico cardiaco che può essere ‘bridging’, cioè a ponte verso la soluzione del trapianto, o ‘destination therapy’, cioè definitivo, come vera e propria alternativa al trapianto. Ed è questa seconda soluzione in particolare che sta dando risultati molto interessanti. Il supporto meccanico definitivo (il ‘ventricolo artificiale sinistro’ o Vad, Ventricular Assist Device, oppure un vero e proprio cuore artificiale) è la scelta obbligata per i pazienti che non hanno indicazione al trapianto (ad esempio quelli che non trovano un donatore compatibile o quelli che non possono assumere gli immunosoppressori). I costi di questi sistemi sono naturalmente elevati (il solo device costa dai 75.000 ai 95.000 euro) ma, nel caso della ‘destination therapy’ - ha concluso - sono praticamente sovrapponibili a quelli di un trapianto cardiaco tradizionale".
Altro aspetto nodale riguarda la crisi in epoca di spending review, che presenta due facce della medaglia, una negativa e una positiva. “L’aspetto negativo – ha evidenziato Tommaso Bellandi, responsabile della qualità e sicurezza dell’Organizzazione Toscana Trapianti – è quello legato al fatto che, riducendosi le risorse a disposizione del SSN, può diventare più difficile anche arrivare alla donazione stessa. Nel momento in cui vengono approntati dei tagli che comportano anche notevoli difficoltà nel sistema dell’emergenza-urgenza, è chiaro che questo si ripercuote nel settore dei trapianti, con il rischio di non poter disporre della donazione, neppure da parte di quei pazienti che avevano dichiarato in vita la propria intenzione a donare”.
Per poter disporre di un organo, è necessario che funzioni tutto un complesso sistema che va dal ricovero in rianimazione di un paziente con lesioni cerebrali acute e che la terapia intensiva sia in grado di segnalarlo come potenziale donatore, nel momento in cui non sia possibile fare più nulla per salvarlo. Da questo momento in poi, dovrebbero essere disponibili tutti i servizi di diagnostica, per fare gli approfondimenti in merito al rischio infettivologico e neoplastico, per attestare l’idoneità del donatore. Poi il potenziale donatore, se dichiarato idoneo viene portato in sala operatoria per il prelievo, dove giunge una o più équipe di prelevatori che può arrivare anche da un altro ospedale e addirittura da un’altra Regione e questo naturalmente può comportare dei costi molto elevati. Fatto il prelievo gli organi vanno portati ai centri trapianto e qui va fatta un’ulteriore valutazione. Nel frattempo il centro trapianti deve chiamare il ricevente in lista d’attesa. Tutto ciò naturalmente richiede un’organizzazione estremamente tempestiva, preparata ed efficace a gestire tutte le fasi che vanno dalla donazione, al trapianto, al follow up del trapiantato. E attualmente, non esiste una codifica, cioè un DRG relativo al costo di una donazione.
“Con i tagli che sono già stati operati, in particolare nelle Regioni sottoposte ai piani di rientro, ma anche nelle altre – ha denunciato il professor Bellandi – purtroppo questa operatività in alcuni casi non è più garantita. Non ci sono ancora numeri ufficiali, ma cominciano ad esserci diversi casi, in cui non si è arrivati ad una donazione perché la terapia intensiva non poteva farsi carico di un potenziale donatore, per mancanza di posti letto o di personale a disposizione per gestirli; o ancora a trapianti che non sono stati fatti, pur in presenza del donatore, perché non c’era a disposizione personale per andare a prelevare gli organi e poi trapiantarli. E qui è il caso di ricordare che anche in questo settore così delicato, abbiamo ancora tanto personale a contratto, precario, quindi tutto questo comporta delle notevoli difficoltà”.
Un altro argomento scottante riguarda il dibattito sulla necessità di ridurre o meno i centri trapianti. “In epoca dispending review una revisione del sistema andrebbe fatta, visto che non ci possiamo più permettere gli sprechi e le duplicazioni. L’importante è che sia fatta mettendo sempre i pazienti al centro, cioè cercando di garantire una distribuzione dei centri trapianti sul nostro territorio nazionale, in modo tale da evitare viaggi della speranza, visto che anche questi stanno diventando difficoltosi, perché alcuni pazienti non hanno più nemmeno la possibilità di permettersi il viaggio e la permanenza di un familiare in un’altra città. Bisogna pensare anche a questo, qualora si dovesse decidere di riorganizzare la rete dei centri trapianti. Tutto dovrebbe essere fatto nell’ottica di favorire al massimo la collaborazione e semmai anche l’interscambiabilità del personale tra le strutture, proprio per garantire al tempo stesso un’adeguata capacità operativa dei centri, sia dal punto di vista dei volumi, che dell’accreditamento dei processi, che degli strumenti operativi. E anche un facile accesso – ha concluso - ai cittadini-pazienti su tutto il territorio nazionale.
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