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Martedì 19 MARZO 2013
Gli Ordini in Parlamento. Un vulnus che va risolto
L’elezione al Senato dei presidenti degli Ordini dei medici, degli infermieri e dei farmacisti pone un problema serio di “incompatibilità”. Ridurre la funzione rappresentativa degli eletti in Parlamento al ruolo di secondo e terzo lavoro è un vulnus a qualsiasi progetto coerente di riforma della politica
Gentile direttore,
quando invitai su questo giornale i Senatori Bianco, Silvestro e Mandelli a rinunciare al loro incarico presso i rispettivi Ordini e Federazioni Nazionali, mi rivolsi direttamente al Segretario del Partito democratico Pierluigi Bersani (omettendo per puro errore di estendere la richiesta all’On. Alfano segretario del PDL). Davo per scontato la risposta che sarebbe venuta dagli organi di rappresentanza delle rispettive categorie. “Non esiste incompatibilità alcuna perché tra i compiti degli Ordini e Collegi c’è la tutela del cittadino e quindi nostri rappresentati eletti in Parlamento continueranno a svolgere al meglio tale funzione anche in sede legislativa, dove il loro contributo potrà essere ancora maggiore”.
Una tale argomentazione, purtroppo fatta sua da Amedeo Bianco nella sua relazione al Comitato Centrale della Fnomceo, è talmente poco credibile da commentarsi da sola. Per il principio di non contraddizione infatti , (risalente come noto al maestro di color che sanno, Aristotele) non può essere lo stesso soggetto (l’ordine professionale) a tutelare al contempo il medico e il cittadino se questi è una rappresentanza di un solo componente della contraddizione (i medici portatori dei loro specifici se pur legittimi interessi). La sintesi in altre parole dovrebbe essere fatta da un organo terzo, come ci insegnano i principi di tutti gli ordinamenti democratici, e assolutamente mai da chi nella asimmetria informativa e di potere insita nel rapporto medico-paziente occupa la posizione senza dubbio prevalente. Gli ordini e i Collegi, del resto, sono delle “Istituzioni” che al pari dei Partiti e dei Sindacati sono inevitabilmente soggetti a quella “legge ferrea dell’oligarchia” che Robert Michels intravide fin dal 1911 nel partito Socialdemocratico Tedesco. E in base alla quale l’organizzazione, indispensabile per la crescita del partito, da mezzo era diventata scopo e successivamente scopo assoluto e in cui un numero limitato di funzionari controllava e guidava iscritti male informati e manipolati al solo scopo di mantenere il proprio ruolo oligarchico.
E’ in genere questo il destino di tutte le elites, e sarebbe assurdo pensare che i collegi e gli ordini possano rappresentare delle eccezioni alla regola. Il paradosso semmai è che anche coloro che giudicano tali organizzazioni del tutto inutili, siano costretti obbligatoriamente a mantenerne in vita l’esistenza, contribuendo loro malgrado ad inverare ancora oggi a distanza di cento anni il doloroso principio di Micehels. Se dunque scontata era la levata di scudi degli ordini e collegi a difesa di loro illustri esponenti che potranno rappresentare in Parlamento le istanze delle categorie di rispettiva provenienza ( medici, infermieri e farmacisti) inconcepibile è il silenzio dei dirigenti dei Partiti nelle cui file sono stati eletti. E questo è ancora più inspiegabile nel caso del Partito Democratico che sta giocando la sua partita più difficile: la formazione del Governo rimodulando e riempiendo di contenuti un programma elettorale da tutti giudicato talmente generico da non lasciare traccia nella stragrande maggioranza degli elettori. Uno sforzo importante per rompere le ambiguità della campagna elettorale e che inevitabilmente ha nel conflitto di interessi e nel taglio dei costi della politica due asset indispensabili per affrontare il tema ben più importante della crescita della economia.
Ora è chiaro che ridurre la funzione rappresentativa degli eletti in Parlamento al ruolo di secondo e terzo lavoro (anche se primus inter pares) è un vulnus a qualsiasi progetto coerente di riforma della politica. Come può essere credibile un partito che vuole disciplinare una volta per tutti il conflitto di interessi se permette a due suoi parlamentari di mantenere un doppio incarico che a qualsiasi soggetto senziente e privo di interessi personali non può non apparire incompatibile di fatto? E basta pensare alla disciplina della libera professione che inevitabilmente vede e vedrà i medici e i cittadini essere portatori di interessi (in molta sostanza) diametralmente opposti. Come anche la responsabilità professionale, la definizione delle prerogative dei dirigenti medici ed infermieristici e più in generale l’inevitabile conflitto tra le esigenze della pubblica amministrazione e le istanze corporative che per statuto portano avanti gli organi professionali di rappresentanza. Ancora più forte il conflitto di interessi nel settore della farmaceutica dove le incrostazioni feudali sull’accesso al mercato del lavoro sono ancora più evidenti e dove più aspro è il conflitto tra vecchie e nuove generazioni. Non pretendo certo che i Segretari dei due più importanti partiti perdano il loro tempo a rispondermi. Sarebbe già sufficiente che essi fossero informati dei fatti o che la risposta fosse fornita da coloro che in quei partiti hanno la responsabilità della sanità e delle professioni. Al mio appello iniziale avevano fatto seguito alcune prese di posizione e forse altre si sarebbero dovute aggiungere. Confido oggi che parlino anche gli altri che finora non si sono espressi.
Roberto Polillo
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