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24 FEBBRAIO 2013
XI Conferenza Distrofia Duchenne. Medici, aziende, pazienti: "Fare squadra". 3ª giornata
Giornata conclusiva per la manifestazione di Parent Project. La collaborazione tra tutti gli attori interessati ha fatto della ricerca su questa malattia un modello da seguire. Con una visione a 360° che può derivare solo dal coinvolgimento delle associazioni. Ne parliamo con Eugenio Maccari del Gemelli di Roma. VAI ALLA DIRETTA VIDEO DEI LAVORI.
La cooperazione sia a livello nazionale che internazionale, la multidisciplinarietà, la collaborazione tra ricercatori, medici, istituzioni, aziende biotech e associazioni di malati: questo è quello che nel tempo ha fatto della ricerca sulla distrofia muscolare di Duchenne e Becker il modello da seguire nell’ambito delle malattie genetiche rare. Questa è anche la sottotrama, il fil rouge che ha attraversato tutte le giornate di questa XI Conferenza Internazionale sulla distrofia muscolare di Duchenne e Becker, organizzata da Parent Project (segui qui la diretta web), che si conclude oggi a Roma.
Abbiamo chiesto a Eugenio Mercuri, del dipartimento di Neuropsichiatria del Policlinico Agostino Gemelli, come la collaborazione, soprattutto con le associazioni di pazienti e delle famiglie, abbia fatto la differenza sia nella presa in carico del paziente, che nella ricerca scientifica vera e propria. “Ad oggi alla base del trattamento di un paziente affetto da distrofia di Duchenne c’è una collaborazione multidisciplinare: la diagnosi avviene non dopo i 4-5 anni, e subito i pazienti vengono presi in carico da un neuropsichiatra o da un neurologo, a capo di un’équipe multidisciplinare formata da fisioterapisti, pneumologi, cardiologi. Ma se alla base dei passi in avanti fatti negli ultimi anni c’è anche la creazione di un network di professionisti e di attori interessati, molto di questo si deve alla presenza e all’azione delle associazioni dei pazienti”, ci ha detto. “Proprio grazie a questo sforzo congiunto abbiamo compreso meglio le difficoltà che i bambini stessi affetti da distrofia di Duchenne incontravano durante la crescita e quindi quello di cui avevano bisogno: così la qualità della vita e l'aspettativa sono migliorate, e siamo riusciti a ‘prevenire’ alcuni sintomi, ovvero a non farli presentare affatto, o almeno a ritardarli. Abbiamo capito meglio come riconoscere i problemi articolari, respiratori o cardiologici, e la cura è diventata più omogenea: se prima tutto ciò avveniva solo in pochi centri, nel tempo le associazioni hanno cercato di creare un network e pubblicizzare ovunque l'implementazione degli standard di cura e una corretta informazione ai genitori, sia sulla malattia che sulle complicanze”.
Ma non solo. “Sempre grazie alla collaborazione tra istituzioni, professionisti e associazioni, in particolare Parent Project stessa con l’aiuto di Cittadinanzattiva, si è riusciti a promuovere un percorso di censimento delle reali capacità dei centri, un loro monitoraggio. Quello che si chiama un percorso di audit pubblico”, ha continuato. “Il tutto, chiaramente è stato effettuato con spirito propositivo: lo scopo non era fare una classifica di chi fa meglio e di chi fa peggio, ma era quello di comprendere le criticità che ancora esistono nella cura e nella presa in carico del paziente, identificare come e dove si può fare meglio, mappare i centri per indirizzare meglio i pazienti a livello locale. Uno strumento nato dalla collaborazione di più attori e che torna utile a più attori: i medici, i ricercatori, le famiglie, la società tutta”.
E che aiuta anche a ‘uniformare’ la cura, anche grazie alla mappatura. “Laddove si tendeva ad agire in maniera esodata – ha spiegato Mercuri – ora si agisce in rete, con standard di cura e di controllo uguali. Ciò aiuta anche nella ricerca: quando le malattie sono rare come la distrofia di Duchenne, usare gli stessi strumenti può facilitare la cura”.
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