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Venerdì 28 DICEMBRE 2012
Standard ospedalieri. Il "pezzo" forte della riforma Balduzzi
Va dato atto al ministro Balduzzi di aver imposto un cambio di rotta deciso alle politiche sanitarie dando avvio a un processo complessivo di riforma del Ssn. E tra le novità introdotte l'attenzione maggiore la meritano i nuovi indirizzi programmatori per il riordino della rete ospedaliera
Al termine della esperienza del governo dei professori del Governo Monti è giusto tentare un primo bilancio di quanto messo in campo dal dicastero della salute. Il dato che emerge con chiarezza è una inversione di 180 gradi rispetto al governo precedente. Il Ministro Balduzzi, infatti, all’opposto del suo predecessore e in continuità con quanto invano tentato da Livia Turco con la bozza di D.L. di ammodernamento del SSN, ha dato avvio a un processo di riforma complessiva del servizio sanitario con due linee direzionali: riforma dei modelli organizzativi delle cure primarie (legge 263/2012) e definizione degli standard quali-quantitativi delle strutture ospedaliere ( trasmesso alla Conferenza Stato regioni).
Per quanto attiene il primo punto è mia opinione, che la proposta abbia aggiunto poco o nulla a quanto le regioni potevano fare a legislazione pre-vigente e ancora meno abbia modificato l’organizzazione del lavoro che, a dispetto del ruolo unico, lascerà per lungo tempo inalterate le funzioni dei generalisti, dei guardisti e dei medici di emergenza territoriale.
Più articolato è il giudizio sul secondo punto la cui bozza di decreto, rivista a seguito delle osservazioni delle regioni, è stata nuovamente trasmessa alla Conferenza Permanente ai fini del concerto. A fronte di una riduzione complessiva dei PL (- 7389 in totale) per adeguarli al nuovo standard del 3,7 per mille previsto dalla spending review il documento introduce delle importanti novità:
* Riclassifica gli ospedali in presidi di base, Dea di I livello, DEA di II livello e strutture accreditate (minimo 60 letti) ne delinea gli standard quali- quantitativi, e adotta come modello di riferimento quello dell’ospedale per intensità di cura;
* Definisce i bacini di utenza (espressi in milioni di abitante) per singola disciplina (per una UOC di Grandi ustionati il bacino è tra 6 e 4 milioni, per una UOC di medicina generale varia tra 150.000 e 80.000 etc) (parametrando i PL della Unità operativa complessa sui 17,5 letti);
* Definisce i volumi minimi delle prestazioni che ogni UOC dovrà erogare pena la disattivazione (250 procedure di angioplastica/anno; 100 colecistctomia per via laparotomia/ annuo etc) in attesa di calcolare gli esiti (di salute) per ciascuna UOC e poi per ciascun operatore;
* Definisce per le strutture ospedaliere una serie di standard di qualità vincolanti (gestione del rischio, EBM, Health technology assessment, documentazione sanitaria, valutazione e miglioramento continuo, formazione permanente);
* Definisce gli standard e le procedure assistenziali per le reti di alta specialità (rete infarto, ictus, traumatologia, neonatologia e punti nascita, medicine specialistiche, oncologica e pediatrica) adottando il modello Hub e Spoke tra strutture a diversa complessità;
* Ridefinisce la rete di emergenza sia nella fase della risposta territoriale che in quella ospedaliera;
* Definisce (appendice 2) gli standard per la chirurgia ambulatoriale
* Affronta il tema della continuità ospedale–territorio adottando come struttura intermedia l’ospedale di comunità e dando indicazioni per la organizzazione dei flussi di uscita dall’ospedale;
* Dà mandato alle regioni di avviare programmi di telemedicina per la gestione integrata ospedale territorio di patologie croniche come scompenso cardiaco, Broncopneumopatie cronico-ostruttive, diabete etc.
Il documento inoltre rimanda a linee guida concernenti i due criteri di accesso in ospedale: severità della condizione clinica e intensità/ complessità dell’assistenza necessaria e dà mandato alle regioni di emanare un atto di indirizzo rivolto alle strutture ospedaliere pubbliche e private accreditate al fine di promuovere l’uso corretto dell’ospedale e contrastare i ricoveri impropri dal punto di vista del setting assistenziale.
Quali sono i punti di caduta della proposta? Essi possono essere valutati da una duplice prospettiva.
1) Da un punto di vista delle professioni il più marcato è la riduzione delle UOC e dei relativi posti di direzione, particolarmente pesante nelle regioni sottoposte ai piani di rientro dove gli eccessi sono particolarmente vistosi specie in campo chirurgico (eccedenza del 25% rispetto alla media nazionale del 10%). Questo tuttavia non deve essere necessariamente letto in termini di contrazione del livello qualità complessiva del servizio; anzi per le alte specialità la concentrazione in poche strutture è l’unico modo per coniugare qualità professionale come richiamato dal punto 4.2 del decreto sul rapporto “volumi di attività e migliore esito delle cure” e uso appropriato delle risorse La realizzazione di economie di scala per linee di produzione ad altissimo costo con ampliamento alle 24 ore della reale operatività delle strutture è un elemento fondamentale in un processo di rafforzamento del nostro servizio sanitario e questo processo di vero ammodernamento dovrebbe essere sostenuto senza incertezze se si ha a cuore il destino del nostro sistema sanitario.
2) Dal punto di vista della qualità dei servizi i punti deboli sono invece i seguenti:
a) una ulteriore riduzione di PL deve accompagnarsi a una forte riduzione della degenza media (max 5 giorni) onde non determinare una pericolosa contrazione dell’offerta ospedaliera. Per fare questo tuttavia i servizi clinico- diagnostici ospedalieri dovrebbero lavorare esclusivamente o quasi per i pazienti ricoverati, mentre i pazienti in condizioni cliniche non richiedenti il ricovero dovrebbe potere essere trattati adeguatamente nei presidi territoriali o al proprio domicilio, oggi possibile attraverso i numerosi strumenti offerti dalla telemedicina. Un obbiettivo allo stato attuale difficilmente raggiungibile causa la povertà e la disorganizzazione delle cure primarie in parti molto significative del paese;
b) per le strutture intermedie non è previsto uno standard quali- quantitativo di riferimento e non risultano ancora definite le procedure e i percorsi assistenziali per i pazienti in via di dimissione; fatto questo che impedisce un reale collegamento tra ospedale e territorio e che limita fortemente la possibilità di una dimissione celere ed assistita.
Per trasferire competenze dall’ospedale al territorio i servizi territoriali ( UCP, Case della salute) dovrebbero subire una profonda riorganizzazione sviluppando le seguenti linee di attività:
* adottare i principi e la prassi del chronic care model e delle medicina di iniziativa per la prevenzione secondaria e terziaria delle patologie croniche oggi assolutamente prevalenti;
* definire i registri di patologie e istituire la figura del case manager per i pazienti complessi.
* potenziare fortemente una assistenza domiciliare modulare per diverso livello di intensità di cure
* sviluppare le attività self-care di family learning e di promozione della salute.
In conclusione va dato atto al Ministro Balduzzi di avere posto nell’agenda politica del governo quella azione di ammodernamento del SSN che l’ex ministro Turco aveva tentato senza riuscirci. I provvedimenti assunti presentano luci ed ombre e, per quanto riguarda le cure primarie, risentono in parte di una eccessiva cedevolezza verso istanze corporative. Tuttavia una riorganizzazione del nostro Servizio Sanitario Nazionale, oggi come ieri sotto attacco da parte dei suoi detrattori “a prescindere”, appare come assolutamente necessaria e non più rimandabile per la scarsa qualità del sistema complessivo con più intensi punti di caduta nelle regioni centro meridionali e perché profondamente mutate sono le condizioni epidemiologiche e demografiche della nostra società sempre più vecchia, denatalizzata e a corto di risorse.
Serve dunque una grande rivoluzione culturale, un nuovo Patto per la salute che deve coinvolgere non solo lo Stato e le regioni ma anche le forze sociali e i cittadini. Un vero e proprio consensus da cui ripartire per ridefinire le competenze delle cure primarie e della assistenza ospedaliera e delineare così un efficace modello di integrazione tra ospedale e territorio tra promozione della salute (sempre trascurata) prevenzione , cura e riabilitazione. Un percorso lungo ed accidentato ma reso più facile se si guarda alle esperienze già adottate con successo da altri paesi (Kaiser permanete in primis).
Roberto Polillo
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