quotidianosanità.it
La recente dichiarazione dello stato di emergenza in California per l'influenza aviaria nei bovini, accompagnata dal primo caso grave umano in Louisiana, non è solo una notizia di cronaca sanitaria. È un campanello d'allarme che ci invita a riflettere profondamente sul nostro rapporto con gli ecosistemi e sulla nostra preparazione alle sfide sanitarie del futuro. Le analisi genetiche descritte nell’ultimo studio di Francesco Branda e Massimo Ciccozzi (Università Campus Bio-Medico di Roma) e Fabio Scarpa (Università di Sassari), inviate alla rivista New Microbes and New Infections, suggeriscono che i casi umani sono eventi isolati, probabilmente dovuti a contatti diretti con animali infetti. I dati raccolti finora indicano che il virus è ancora strettamente legato agli uccelli selvatici, soprattutto nel Pacifico nord-occidentale. Anche se non ci sono segnali di una trasmissione sostenuta da uomo a uomo, gli esperti raccomandano di mantenere alta la vigilanza.
stampa | chiudi
Lunedì 23 DICEMBRE 2024
Aviaria. Dagli Usa una lezione sulla fragilità dei confini biologici
Non basta più monitorare separatamente la salute umana e quella animale: serve una visione integrata, un approccio "One Health" che riconosca l'interconnessione profonda tra tutti gli esseri viventi e il loro ambiente. Ogni barriera che pensiamo di costruire tra noi e il mondo naturale è porosa, temporanea, illusoria. La vera sicurezza non sta nell'isolamento, ma nella comprensione e nel rispetto di queste interconnessioni.
Quando un virus attraversa la barriera tra specie, come sta facendo l'H5N1 passando dagli uccelli ai bovini e occasionalmente agli umani, ci sta raccontando una storia più ampia. È la storia di come i confini che tracciamo tra animali selvatici, bestiame e esseri umani siano in realtà molto più sottili di quanto immaginiamo. Il cortile di casa in Louisiana dove è avvenuto il contagio umano diventa così un microcosmo che riflette la complessità delle interazioni tra specie diverse.
Un elemento interessante riguarda il caso dell’adolescente canadese. In questo paziente è stata identificata una mutazione significativa nel gene HA (emagglutinina) del virus, precisamente nel sito 226. Questa mutazione, che sostituisce la glutammina (Q) con la leucina (L), potrebbe facilitare la capacità del virus di legarsi ai recettori delle cellule umane. Normalmente, i virus aviari si legano ai recettori presenti nei tessuti degli uccelli, ma questa modifica genetica potrebbe potenzialmente favorire un salto di specie. Tuttavia, è importante sottolineare che, al momento, il virus non mostra ancora la capacità di trasmettersi efficacemente tra esseri umani.
Francesco Branda: “La dichiarazione dello stato di emergenza in California non è un segnale di panico, ma di maturità istituzionale. Rappresenta il riconoscimento che, in un mondo interconnesso, la prevenzione è sempre più efficace - e meno costosa - della reazione all'emergenza. È un invito a pensare in modo sistemico, a vedere le connessioni tra salute animale e umana, tra pratiche agricole e sicurezza sanitaria”.
“Monitorare i cambiamenti genetici del virus è fondamentale per essere pronti a reagire in caso di evoluzioni che possano aumentare i rischi per la salute umana - prosegue Branda -. Al momento, gli uccelli restano gli ospiti principali del virus, ma il monitoraggio continuo e l’analisi genomica sono essenziali per prevenire sorprese. Il fatto che il contagio sia avvenuto in un contesto domestico, e non in un grande allevamento industriale, porta con sé un messaggio fondamentale: la salute pubblica non è solo una questione di grandi numeri e statistiche. È qualcosa che si costruisce partendo dal basso, dalle pratiche quotidiane, dalla consapevolezza individuale. Ogni cortile, ogni piccolo allevamento, ogni interazione con gli animali diventa un punto potenziale di contatto tra mondi biologici diversi.”
La risposta delle autorità sanitarie americane, cauta ma vigile, ci insegna l'importanza di un equilibrio tra allarmismo e sottovalutazione. Questa situazione ci offre l'opportunità di ripensare il nostro approccio alla sorveglianza epidemiologica. Non basta più monitorare separatamente la salute umana e quella animale: serve una visione integrata, un approccio "One Health" che riconosca l'interconnessione profonda tra tutti gli esseri viventi e il loro ambiente.
La lezione più importante che emerge da questa vicenda è forse la più semplice: in natura non esistono compartimenti stagni. Ogni barriera che pensiamo di costruire tra noi e il mondo naturale è porosa, temporanea, illusoria. La vera sicurezza non sta nell'isolamento, ma nella comprensione e nel rispetto di queste interconnessioni.
© RIPRODUZIONE RISERVATA