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Gentile direttore, Certo un primo sforzo ma le case di comunità richiedono, per essere strutture effettivamente accoglienti e aperte ad una salute di comunità, un funzionamento prolungato nell ‘arco della giornata e nell’arco della settimana. E soprattutto non basta un medico a tempo parziale isolato e senza supporto da parte di un team multiprofessionale. Le case della comunità infatti sono strutture del territorio pensate per una presa in carico complessiva e per orientare correttamente le richieste e le esigenze di salute e di malattia dei cittadini, pertanto in essa debbono operare a pieno regime un nucleo di operatori socio- sanitari addestrati e appositamente formati. Una equipe multifunzionale capace di intercettare i primi bisogni o la prima domanda di salute che gli individui di un dato territorio pongono. Ciò presuppone la presenza di professionisti del sociale e del sanitario a partire da medici capaci di fronteggiare le prime necessità e in grado di fare una prima diagnostica di base. Questo significa che oltre al medico di medicina generale devono essere presenti anche medici con competenze specifiche in relazione alle caratteristiche epidemiologiche di un dato territorio. Serve anche un sistema di telemedicina avanzato per la conferma diagnostica e la validazione a-remoto degli accertamenti strumentali eseguiti, spesso di non facile lettura a partire da ECG Quadro dunque specifico per ogni territorio che può essere definito e circoscritto anche con la presenza di sociologi della salute o epidemiologi. Una struttura di prossimità come appunto le case di comunità richiedono competenze e capacità puntuali e non semplicemente generiche. Serve dunque una reale ricertificazione delle competenze a partire dalla capacità di stabilizzare un paziente in attesa dell’arrivo del mezzo avanzato di soccorso, ad esempio. Appare evidente che non bastano medici di famiglia che pur bravi e competenti spesso non hanno le conoscenze adeguate per un primo intervento a causa del particolare percorso formativo, come anche recentemente è stato sottolineato da Geddes de Filicaia. Le case di comunità non sono strutture di serie B, bensì presidi con alta capacità di presa in carico di un bisogno complesso perché non ancora identificato nelle sue specificità e caratteristiche in quanto primo bisogno o prima domanda. Solo un equipe pluriproffesionale e competente può costituire un gatekipper utile e fondamentale per un SSN rinnovato e adeguato al nuovo quadro nosologico. Le funzioni da svolgere infatti sono molteplici e diversificate spaziando dall' assistenza diretta e presa in carico del paziente all' educazione sanitaria, alla promozione della salute e alla medicina di iniziativa. L’educazione del paziente e della famiglia all' autocura sono momenti fondamentali per una corretta gestione delle cronicità che sono una caratteristica del nostro quadro epidemiologico fortemente connotato dall' invecchiamento della popolazione. Per questo servono infermieri di famiglia e di territorio, riabilitatori, assistenti sociali e specialisti ambulatoriali delle principali discipline. Un modello operativo con la stessa professionalità che caratterizza l’intensività ospedaliera ma con una vocazione alla presa un carico e alla gestione complessiva dei pazienti che non necessitano del ricovero. Una struttura organizzativa che in dialogo con il territorio sia un punto di riferimento è una garanzia per i cittadini. Compiti e ruoli complessi e competenti che richiedono però un impegno adeguato di ore di lavoro e di capacità come molti dei professionisti del nostro servizio sanitario posseggono ma che richiedono un adeguamento è un continuo aggiornamento in riferimento ai compiti e ai bisogni di e per quel dato territorio. Roberto Polillo
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Lunedì 23 DICEMBRE 2024
Case di comunità e orario parziale: come non fare medicina di prossimità
il Ministro Schillaci ci ha informato che una presenza di 16/18 ore del medico di medicina generale è una necessità per rendere le case di comunità delle strutture vive e non delle cattedrali nel deserto.
Mara Tognetti
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