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Venerdì 20 DICEMBRE 2024
La riforma della professione: il buon inizio si vede dalla formazione funzionale alla medicina “professata” dai nostri giovani abilitati e formati   



Gentile Direttore,
una laurea professionalizzante per essere tale deve aprire alla professione professata, vista superata l’arcaica visione dell’inizio del secolo scorso fino al periodo post-bellico, che in specie vedeva nella professione agita un vulnus nella funzione valoriale dell’accademia, oggi chiamata ad una innovazione della prassi.

Un’affermazione secondo cui si ritiene improcrastinabile adire ad una riforma della professione, questa volta, sì, bypassando i veti incrociati che tutti conosciamo e come da tempo andiamo dicendo. Ciò, con la riapertura ai nostri giovani abilitati alla professione del cui possesso di titoli e di una formazione adeguata si è comunque certi. Infatti, se si ipotizzasse il contrario, dovremmo mettere in discussione l’intero sistema formativo accademico che sarebbe ingiustificato, fuori da particolari situazioni locali, dal fatto che i nostri giovani che accedono all’estero sono trattenuti con proposte di carriera ed economiche allettanti.

Ma che la formazione in ambito medico sanitario debba essere rivalutata è più che ovvio e sulla cui necessità vi è concordanza. Secondo una visione della formazione che sia funzionale alla medicina “professata” e che veda nei nostri giovani laureati e abilitati gli attori adeguatamente preparati a subentrare a tutti gli effetti nel turnover della medicina evoluta e al passo coi tempi. Trovando il giusto equilibrio tra la visione arcaica della medicina e del medico, al di fuori da ogni atteggiamento romantico e protettivo, a quello professionale puro, orientato all’essere autoreferenziale o addirittura narcisistico, quale espressione patologica dell’agire dis-etico, verso un modo di operare che sia capace di coniugare etica (ἦθος) e tecnologia (τέχνη) nella tecnetica con, alla base, la persona fragile, in quanto malata o comunque in stato di difficoltà di salute.

Questo per porre rimedio all’impostazione regionalistica della gestione della salute, deprivata da un coordinamento centrale su argomenti che devono essere centrali, in particolar modo laddove la legislazione regionale superi o modifichi quella nazionale. Situazione troppo spesso consentita per progetti sperimentali. Oppure sperimentazioni innovative progettate con protocolli di avanzamento professionale, dalla fantasia operosa e con successive, e conseguenti, decisioni border line, come da talune parti si sente dire, dal non specchiato valore costituzionale e che, proprio per le voci insistenti, sarebbero magari da valutare in adatti e competenti consessi.

In linea alla storiella del non sentire, non parlare e non vedere, delle “tre scimmiette” che sono alla base di discutibili leggi dall’apparenza innovative sul personale, per funzioni fondamentali di carriera e spesso ben remunerate nell’ottica del task shifting professionale del medico nel sistema. In cui ha ruolo, purtroppo più in generale, il risparmio su certe funzioni, spendendone in altre. In campo nazionale è sempre valso in vari decenni il mantra “a risorse invariate”, degna conclusione di troppe leggi, se non tutte, tranne i miseri e infrequenti contratti di lavoro. Un certo conforto viene dalla recente sentenza 195/24 della Corte costituzionale che riorienta sulle necessarie risorse dello Stato destinate al “bene salute”.

Facendo del finanziamento la prima colonna della stabilità del sistema sanitario insieme alle altre tre che sopportano le quattro travi portanti su cui poggia il tetto sicuro della casa del bene della salute. Rispettivamente, degli interventi collettivi, del personale medico sanitario e della tecnologia governata secondo una coerente programmazione e nel rispetto di ruoli e funzioni e, infine, degli interventi di salute nel senso vero del sé e della persona.

Come non vedere nella sentenza della Corte una risposta alla necessità, seppur tardiva, che riporta a valutare la salute come bene garantito dallo Stato sotto il profilo certamente degli interventi atti a mantenerla, se presente, e recuperarla se di essa privati, per certo verso riscrivendo necessariamente il significato dell’art.32 della Costituzione.

Soprattutto, il finanziamento adeguato si riverbera sul futuro dei nostri giovani, sul cui valore non si nutrono dubbi e che vanno incentivati e protetti, sia sul lavoro quotidiano, sia con l’istituzione di un coerente sistema di tutor cui far riferimento nel loro inizio di carriera; dando loro sostegno economico nonché di sicurezza professionale; ponendo certezza sulla procedura per colpa grave, oltre la sentenza Canzio n.8770/18 (1) e ponendo la punteggiatura corretta sulla Legge Gelli Bianco (L.24/17), anche da un punto di vista assicurativo, punto dolens, a tutela della professione e con calmieramento dei costi per i medici che svolgono un servizio “alto” e sono di garanzia sociale.

Fondi a tutela della salute anche per l’imprescindibile formazione del post-laurea e per l’ingresso e la specializzazione nel SSN, la formazione della medicina generale e nelle convenzioni per la medicina territoriale di famiglia e specialistica. Quest’ultimo vero punto nevralgico per un’ottimale risposta alle prime e meno gravi urgenze per cui oggi il cittadino ricorre all’Ospedale, vicariando quanto si dovrebbe garantire con la specialistica ambulatoriale, davvero depauperata.

Con una politica più illuminata occorre “riportare in alto il valore della sanità pubblica” in una collaborazione e integrazione con quella privata “virtuosa”, in cui abbia ruolo e funzione rinata il medico. Quello definito “Medilulfo” parafrasando Calvino (2), col suo Cavaliere inesistente, che materializzi nella sua “armatura del fare” forte del suo essere e dei suoi principi uscendo dalla dimensione in cui è stato posto di cavaliere. A cui dover dare ascolto, comunque, nel proseguire, in compagnia, sulla strada maestra del lavoro responsabile in un mondo, oggi però, disordinato.

Fuori dall’allegoria e dai reconditi aspetti di novelli, tanti, troppi Medilulfo, a corollario di tali scelte proprie del Decreto Flussi, ci saremmo aspettati interventi anche delle nostre istituzioni per una immissione “controllata e guidata” dei nostri giovani medici nel SSN “già abilitati e certificati alla professione”. Ponendo mano alle specializzazioni, nella strutturazione dei ruoli e funzioni e corresponsione economica.

Ma anche intervenendo sulla stortura dei gettonisti e dei novelli cottimisti dell’urgenza -emergenza, dando dignità a professioni primarie e prioritarie anche sul paino dell’effettività e responsabilità, da riconsiderare normativamente ed economicamente, per il nostro essere fra i peggio remunerati fra i medici delle nazioni più evolute. Cosa non dire, dei pensionati, che pur avendo versato negli anni aliquote da “contribuzione ante” litteram purtroppo misconosciuta, vengono privati di quanto appare essere dovuto, e vessati per una tassazione irragionevole, rispetto al fenomeno dell’evasione et qui subtrahit tributa.

Col dimostrare ancora una volta come la politica si adoperi “sempre poco” rispetto a quanto dovrebbe compensare, non solo per equità e per lo sviluppo della nazione in cui la salvaguardia del bene fondamentale della salute sia davvero quel bene primario su cui investire. E non certo come una voce di spesa, cui le varie finanziarie hanno fatto ricorso.

Pur chiamati come siamo ad agire sugli sprechi in settori, il politico è chiamato ad ascoltare la professione sui grandi temi non solo economici, come quelli della rivalsa giudiziaria e assicurativa e, oggi, della violenza nel mondo medico e sanitario.

Anche questo è progresso e segno di cultura, invitando attraverso una formazione/educazione civica, purtroppo ripresa solo “a sprazzi”, si investa sui valori oggi troppo frettolosamente dimenticati, dimostrando coi fatti che si crede, investendo, sul bene comune di cui la salute rappresenta la fetta, forse, di maggiore importanza collettiva.

Pierantonio Muzzetto
Presidente Omceo di Parma, Presidente Coordinatore e della Consulta Nazionale Deontologica della Fnomceo

NOTE
(1) Rif. Depositate le motivazioni delle Sezioni Unite sulla Legge Gelli Bianco. Cass. Pen. Sezioni Unite, 22 febbraio 2018 (ud. 21 dicembre 2017), n. 8770. Presidente Canzio, Relatore Vessicchelli, P.G. Baldi, Ricorrente Mariotti
(2) Rif. Italo Calvino “Il cavaliere inesistente”. Carlomagno che passa davanti agli eserciti schierati sotto le mura di Parigi vede un cavaliere “lindo” fra gli altri sporchi per aver pugnato, dall’armatura tutta bianca con una righina nera che correva intorno ai bordi , con un elmo cangiante calato e non sollevato e Scudo con uno stemma contenete un ampio manto drappeggiato al cui interno di vi erano scudi, uno dentro l’altro, sempre più minuti con manti drappeggianti sempre più piccoli (…) alla domanda del su chi fosse rispose essere Agilulfo Emo Bertrandino dei Guildiverni e degli Altri di Corbentraz e Sura cavaliere di Selimpia Citeriore e Fez; alla domanda del perché non mostrasse il volto, la voce metallica rispose : perché non esisto, Sire! Alla successiva domanda di Carlomagno il cavaliere, Agilulfo, sollevò la celata e Il Re stupito chiese “E com’è che fate a prestar servizio, se non ci siete”. Agilulfo pur esitante rispose: “Con la forza di volontà e la fede è la nostra santa causa!”

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