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Martedì 03 DICEMBRE 2024
Aborto, troppi pochi dati e non solo
Gentile Direttore,
i sostenitori del diritto di aborto lamentano spesso l’inaccessibilità del servizio di interruzione di gravidanza e delle informazioni necessarie alle donne per rivendicarlo. In altre occasioni gridano allo scandalo perché il Ministero della Salute non ha ancora pubblicato la sua Relazione annuale al Parlamento sull’applicazione della legge 194/78.
La prima questione è del tutto infondata: a quanto ci risulta mai, in 46 anni, c’è stata una donna che ha agito davanti all’autorità giudiziaria contestando l’impossibilità di esercitare il diritto che le concede la l.194. Se qualche disservizio si verifica esso rientra nelle ormai normali - purtroppo - difficoltà che incontra ogni cittadino che ha a che fare con il SSN: i malati oncologici, per esempio, troppo spesso devono affrontare veri e propri viaggi per fare esami diagnostici in tempi decenti.
Le lamentele riguardo alla pubblicazione della Relazione al Parlamento sono invece, almeno in parte, condivisibili. Le Relazioni annuali al Parlamento da almeno dieci anni a questa parte vengono presentate con un enorme ritardo. Non solo: sono spesso lacunose, imprecise e contraddittorie.
L’Osservatorio Permanente sull’Aborto lo denuncia fin dal suo Primo Rapporto (https://osservatorioaborto.it/rapporto-sui-costi-della-legge-sullaborto-in-italia-1978-2018/), pubblicato nel 2021. Però, con un po’ di pazienza, si può accedere ai dati sugli aborti pubblicati da Istat sul suo sito web e a quelli delle Schede di Dimissione Ospedaliera (SDO), anche se le Regioni sono talvolta restie a fornire i dati, anche in forma aggregata. Nel suo Secondo Rapporto (https://osservatorioaborto.it/i-costi-della-legge-sullaborto-e-gli-effetti-sulla-salute-delle-donne/ ), l’OPA ha potuto constatare che il numero di aborti registrato in Umbria dalla Relazione ministeriale di quell’anno era inferiore al dato indicato da Istat, che - a sua volta - era inferiore rispetto a quello che risultava dalle SDO.
Un’evidenza che segnalava l’esistenza di un problema nella rilevazione dei dati, nel momento in cui le strutture ospedaliere devono compilare in modo completo e corretto le schede dell’indagine Istat sulle interruzioni volontarie della gravidanza congiuntamente alle cartelle cliniche. Un sistema di rilevazione non adeguato comporta il rischio di incompleta rilevazione, rilevante soprattutto per quanto riguarda le complicazioni post aborto. Eppure si tratta di informazioni a cui le donne hanno diritto per formulare un consenso davvero informato al momento della decisione di abortire.
Per quanto riguarda la presunta inaccessibilità del servizio di interruzione di gravidanza, i conti fatti dall’OPA - usando dati ufficiali ed anche elaborazioni pubblicate dalla CGIL - dimostrano la falsità della narrazione propalata dalla propaganda abortista. Nel Terzo Rapporto OPA (https://osservatorioaborto.it/dati-aborto-1978-2022-tra-clandestinita-e-indifferenza/ ) viene analizzato in profondità il caso delle Marche, ripetutamente al centro di polemiche per l’elevata percentuale di medici e operatori sanitari che, ai sensi della legge, esercitano il loro diritto di obiezione di coscienza: i dati, inclusi alcune elaborazioni di CGIL Marche, dimostrano che anche in questa regione gli aborti vengono praticati regolarmente. Che in Italia non esista un problema di accesso all’aborto legale motivato dal sovraccarico di lavoro dei medici non obiettori, del resto, lo ha certificato Istat in un suo recente studio sul fenomeno aborto (https://www.istat.it/wp-content/uploads/2024/08/interruzione-volontaria-gravidanza-Ebook.pdf).
L’Osservatorio nasce proprio per sottoporre al vaglio tutta l’informazione disponibile sull’aborto volontario in Italia, per proporre analisi accurate e indipendenti su un fenomeno che, a 46 anni dall’approvazione della legge, è ancora ampiamente diffuso. Da questo punto di vista, sia pure da una posizione critica verso la legge 194, non può che concordare con i sostenitori dell’aborto legale nel lamentare la mancanza dei dati.
Non è mai stato pubblicato ad esempio un dato ufficiale sugli oneri della legge sulla finanza pubblica, un tema politicamente rilevante in un contesto di progressiva contrazione delle risorse destinate al SSN. A tutt’oggi quelle di OPA sono le uniche stime disponibili di questo dato. È inoltre impossibile reperire dati completi sul vero numero di aborti volontari che avvengono in Italia: nelle statistiche riportate al Parlamento dalle Relazioni ministeriali non vengono calcolati gli aborti precoci causati da sistemi contraccettivi come la spirale; né vengono calcolati quelli causati dalle pillole post-coitali del giorno dopo o dei 5 giorni dopo (di cui vengono vendute oltre 700.000 confezioni ogni anno), nonostante esista una robusta letteratura scientifica che ne conferma il potenziale effetto antinidatorio.
Non esistono studi ufficiali sugli aborti fai-da-te, di cui ha parlato ripetutamente la stampa e sempre più diffusi, promossi anche da gruppi pro-choice come l’Associazione Luca Coscioni , che in un articolo pubblicato sul suo bollettino qualche anno fa (Viale S. 2007. Cytotec: legittima difesa, Agenda Coscioni, n.12, p.8, https://www.associazionelucacoscioni.it/wp-content/uploads/2007/12/agenda-coscioni-16.pdf scaricato il 10/09/2024) spiegava dettagliatamente come usare il farmaco Cytotec (un gastro-protettore) per procurarsi in modo “sicuro” un aborto precoce, da fare registrare al pronto soccorso come aborto spontaneo.
Questa spinta verso una progressiva privatizzazione dell’aborto, da realizzare mediante l’assunzione di una pillola in solitudine tra le mura domestiche, da parte di coloro che invocano una maggiore trasparenza dell’informazione ufficiale sulla legge 194, è contraddittoria. Più il fenomeno si ritirerà nel privato e nel fai-da-te, meno saranno i dati che si potranno raccogliere per un’analisi approfondita delle sue conseguenze mediche e sociali.
È vero, quindi, mancano i dati: a nostro giudizio non vengono raccolti né pubblicati dati accurati e completi utili per calcolare gli effetti collaterali e avversi dell’aborto. Un problema rilevante per quanto riguarda l’aborto farmacologico mediante RU486, oggi promosso dal SSN. Ma senza un’informazione completa come possono le donne esercitare consapevolmente una scelta? Nessuno modulo per il consenso informato dice loro, ad esempio, che ci sono altissime probabilità di vivere nel rimpianto, dopo un aborto volontario. E l’evidenza scientifica sulla sindrome post abortiva ormai è disponibile, per lo meno dal 2011 in poi (cioè da quando è stata pubblicata la prima metanalisi della Priscilla Coleman ma viene sistematicamente ignorata.
Del resto, alle donne che chiedono l’aborto viene negato il primo dato fondamentale, la prima informazione essenziale: non si spiega loro che cosa è l’aborto. Perché chi sostiene l’aborto legale nega ostinatamente e ciecamente l’umanità del concepito. Non si può più dire che nella pancia della mamma c’è un bambino.
Benedetto Rocchi
Presidente dell’Osservatorio Permanente sull’Aborto (OPA)
Francesca Romana Poleggi
Comitato direttivo OPA
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