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Lunedì 02 DICEMBRE 2024
Hiv. Ogni giorno 7 persone scoprono di essere positive, 4 sono già in fase avanzata di malattia 

Ci sono inoltre circa 10mila persone inconsapevoli di essere infette che possono progredire nella malattia e soprattutto trasmettere l’infezione. I dati illustrati nel corso dell’evento dal titolo “Vecchie e nuove malattie infettive una vera emergenza?” organizzato nel corso della 19esima edizione del Forum Risk Management ad Arezzo.

Una pandemia che dura da 40 anni, l’HIV dall’1981 ad oggi ha consegnato 88milioni di infetti e 42milioni di morti nel mondo. Ma tanto è stato fatto in questi anni: grazie alle terapie antiretrovirali e alle strategie di prevenzione e profilassi pre-esposizione, l’HIV non spaventa più.

Guai però ad abbassare la guardia. In Italia, infatti, dopo tanti anni di trend in discesa, la diffusione dell’HIV dopo il Covid 19 è tornata a crescere con un incremento in costante aumento. Nel 2023, sono state segnalate 2.349 nuove diagnosi di infezione da HIV pari a un’incidenza di 4 nuove diagnosi ogni 100mila residenti.

Attualmente vivono in Italia circa 142mila persone con HIV. E ogni giorno 7 persone scoprono di essere HIV positive e quattro sono già in fase avanzata di malattia. Sono invece circa 10mila quelle inconsapevoli di essere infette, persone che non solo possono progredire nella malattia in quanto non trattate con le terapie anti retrovirali (efficaci soprattutto se vengono iniziate precocemente), ma che possono trasmettere l’infezione ai propri partner.

Soprattutto la popolazione colpita ha cambiato connotati: l’HIV infetta gli under25 e non è più una infezione di appannaggio dei tossicodipendenti ma dilaga tra gli eterosessuali in particolare tra i 30-49enni. Tant’è che la trasmissione per via sessuale è ormai il veicolo più importante: nel 2023 l’86,3% delle infezioni è trasmesso attraverso rapporti sessuali non protetti. Di questi circa il 40% sono MSM e circa il 49% sono etero sessuali maschi (26,6%) e femmine (21%).

Questo lo scenario emerso dall’evento dal titolo “Vecchie e nuove malattie infettive una vera emergenza?” organizzato nell’ambito della 19esima edizione del Forum Risk Management ad Arezzo.

A puntare i riflettori sugli scenari internazionali e italiani Barbara Suligoi del Dipartimento Malattie Infettive, Istituto Superiore di Sanità e Andrea Antinori, Infettivologo, Direttore Malattie Infettive dell’Irccs INMI Lazzaro Spallanzani di Roma.

“L’età media di scoperta della positività è passata dai 37 anni ai 42 anni – ha detto Suligoi illustrando i nuovi dati del Centro Operativo Aids (Coa) –. aumenta la curva degli over 50 infetti: dal 18% del 2012 siamo passati al 30% di diagnosi in questa fascia di età. E un terzo delle nuove diagnosi è tra gli ultra 50enni. Fortunatamente la sopravvivenza è aumentata grazie alle terapie antiretrovirali, ma 25mila persone non sono in soppressione virale”.

Le persone inconsapevoli sono quelle che provocano la maggior parte delle infezioni, ha aggiunto l’esperta: “Solo il 19% delle persone ha fatto il test dopo comportamenti a rischio e il 3% lo ha fatto in quando erano già presenti i sintomi”.

A livello geografico le Regioni più colpite sono quelle del Centro Nord. Nell’ultimo anno quelle con l’incidenza superiore alla media nazionale sono: Valle d’Aosta, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio, Umbria, Campania, Molise e Sicilia. La Toscana, ad esempio, ha ricordato Marco Falcone, Professore Ordinario di Malattie Infettive della Aou Pisana “è una regione che si distingue per un alto numero di diagnosi, con un trend in crescita anche se limitato, per questo stiamo portando avanti iniziative di comunicazione e sensibilizzazione nelle scuole. La diagnosi precoce è fondamentale”.

Roma e Milano sono invece da sempre tra le città le più colpite, seguite da Bologna. “Ma anche a Napoli – ha evidenziato Suligoi – dopo la pausa Covid i casi sono aumentati superando i numeri del 2019”.

Gli scenari mondiali ed europei L’HIV è un grande denominatore che affligge soprattutto l’Africa e i paesi con meno risorse, ma continua ad essere in tutti i sensi una questione globale, ha spiegato Andrea Antinori.

“Ancora oggi l’HIV colpisce quasi 40mln di persone nel mondo con 1 milione e 300mila di persone che ogni anno scoprono di essere Hiv positive. Sono oltre 600mila persone decedute ogni anno di Aids. Dal 2000 al 2023 – ha aggiunto – il numero di nuove infezioni è diminuito: da 3mln di persone positive a 1,3 mln, ma il potenziale bacino di persone viventi infette è aumentato da 27 a quasi 40 milioni. Questo grazie alle nuove diagnosi e alla aumentata sopravvivenza. La cifra che più di altre è migliorata è quella relativa al numero di persone che accedono alle terapie retrovirale, da appena mezzo milione siamo passati a quasi 31mln, pari 77% del target raggiungibile”.

Strategie terapeutiche che hanno cambiato il corso delle pandemia, ma che devono essere potenziate per raggiungere un preoccupante sommerso. “In Italia ci sono circa 10mila persone inconsapevoli di essere infette, persone che possono progredire nella malattia e soprattutto trasmettere l’infezione. Persone che ignorano di poter essere trattate con successo e di non trasmettere più l’infezione”.

Attualmente a fronte di 132 mila persone con diagnosi, 123mila sono in trattamento pari al 93% della popolazione italiana infetta e circa 113mila sono in soppressione virale. “Siamo quindi vicini al target auspicato del 95% di persone in trattamento a dimostrazione di come si stia facendo un ottimo lavoro tra le istituzioni, i centri clinici e le community” ha precisato l’esperto.

Ma a pesare in questo scenario è la grande criticità della diagnosi tardive: “I dati della Ecdc 2022, mostrano che circa il 51% delle nuove diagnosi sono tardive e riguardano in particolare uomini e donne eterosessuali in fasce di età più avanzata, a differenza degli MsM, popolazione maggiormente controllata e più sensibili alle politiche di prevenzione e quindi in grado di anticipare diagnosi e inizio del trattamento” ha ricordato Antinori.

Un fenomeno che colpisce anche il nostro Paese e con effetti negativi. “Il 60% delle persone con diagnosi tardiva – ha spiegato Barbara Suligoi – presenta un grave deficit e una compromissione del sistema immunitario. Il 41% sono già in Aids. Quindi il 25% delle persone che hanno scoperto nel 2023 di essere sieropositive sono in Aids. La percentuale più alta di diagnosi tardive si registra tra gli eterosessuali maschi (il 67%). Su 3 eterosessuali maschi che scoprono di essere HIV positivi 2 sono già in diagnosi tardiva”.

E i dati che emergono del gruppo di lavoro dello Spallanzani, ha aggiunto Antinori, indicano che la diagnosi tardiva è ancora legata ad un importante e rilevante rischio di morte: “La diagnosi precoce è quindi un driver fondamentale non solo in termini critici, ma anche di sanità pubblica”.

Altra grande emergenza è poi quella delle persone che pur avendo iniziato la terapia progrediscono nella malattia perché non riescono a rimanere “agganciati”: “Su questa popolazione – chiarisce l’infettivologo – pesano fattori sociali e comportamentali, determinanti che costituiscono un punto di grande vulnerabilità. Nonostante le tecnologie straordinarie, le terapie efficaci e farmaci avanzati le persone si ‘perdono’ nel proprio percorso”. Complice anche lo stigma, fattore negativo che continua ad allontanare i pazienti dalle cure.

Diventa quindi urgente continuare a lavorare sul fronte della prevenzione oggi affidata alla profilassi pre esposizione (PrEP) “grande arma per la sanità pubblica”. I dati di UnAids mostrano un importante gap tra chi usa e chi invece non ha accesso alla profilassi. Oggi nel mondo 3 mln mezzo di persone sono in PrEP ma almeno circa 20 milioni dovrebbero utilizzarla per arrivare a 10 milioni di persone user- PrEP stabile. In Italia sono circa 9mila gli utenti in PrEP stabile. “Grazie alla rimborsabilità il suo utilizzo è raddoppiato – ha detto Antinori – tuttavia siamo ancora lontani da un ipotetico target ottimale sulla cui definizione stiamo lavorando. Oggi la PrEP è utilizzata soprattutto dai MSM, ma poco dagli altri: non la utilizzano le donne, gli immigrati e le lavoratrici del sesso. È quindi indispensabile passare da una richiesta autonoma della PrEP ad una offerta fuori dagli ospedali”.

Sono ancora tante le carte da calare per frenare l’avanzata dell’infezione. In particolare, ha suggerito Barbara Suligoi “occorre aumentare le informazione sull’HIV e sulle infezioni sessualmente trasmesse e de-stigmatizzare l’uso del profilattico”. Bisogna poi favorire il test HIV ed educare i Mmg ed altri specialisti a offrire il test dove opportuno, ossia in presenza di sintomi o altri fattori di rischio”. Infine, occorre promuovere la strategia opt out testing nei servizi ad alta prevalenza HIV e implementare test HIV in setting extra sanitari (checkpoint, test rapidi, test in piazza, ecc)

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