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Venerdì 18 OTTOBRE 2024
Disagio psicologico e sociale. Colpisce il 37% delle donne che si rivolgono a un ambulatorio di ginecologia

Una su tre dichiara anche di aver subito una qualche forma di violenza. Sono alcuni dei dati che emergono da una ricerca condotta da esperti dell’Università Cattolica e Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, presso il Campus di Roma, promossa dalle ACLI (Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani) di Roma

Il disagio psicologico e sociale colpisce il 37% (oltre una su tre) delle donne che si rivolgono a un ambulatorio di ginecologia, disagio che ha un impatto significativo legato anche a patologie ginecologiche, in particolare oncologiche. Inoltre sempre una su tre di queste donne (il 33%) ha riferito di aver subito una qualche forma di violenza, fisica (22,1%), psicologica (55,1%) o verbale (42,6%) e sessuale (8,1%). Mentre il 14% del campione vive in condizioni di insicurezza alimentare. Sono alcuni dei dati che emergono da una ricerca promossa dalle ACLI (Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani) di Roma, con principal investigator la Professoressa Antonia Carla Testa, Associata di Ginecologia e Ostetricia presso l'Università Cattolica, campus di Roma e Responsabile della Unità Operativa Semplice Dipartimentale Ambulatori ginecologici presso il Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS.

Presentati nei giorni scorsi presso la Hall del Gemelli i risultati finali di uno studio che sta per essere pubblicato su una rivista scientifica di settore, alla presenza del Direttore Scientifico della Fondazione Gemelli, Professor Giovanni Scambia, dell’Assistente Ecclesiastico Generale dell’Università Cattolica, Monsignor Claudio Giuliodori, del Presidente Nazionale ACLI, Emiliano Manfredonia e della Presidente delle ACLI di Roma, Lidia Borzì.

La ricerca si è proposta di analizzare la prevalenza del disagio psicologico e sociale nelle pazienti afferenti agli ambulatori di ginecologia della Fondazione Policlinico A. Gemelli IRCCS e identificare i possibili fattori di rischio associati al disagio percepito. Lo studio, di natura trasversale e prospettica, ha raccolto dati attraverso un questionario validato mediante metodologia Delfi. Nel pull di esperti che lo hanno disegnato la Professoressa Maria Luisa Di Pietro, del Dipartimento Scienze della Vita e Sanità Pubblica, Sezione di Igiene - Centro Ricerca e Studi sulla Salute Procreativa di Università Cattolica, campus di Roma. Il questionario anonimo con domande su stato di salute, storia clinica, stile di vita, situazione familiare, sociodemografica, sociale e psicologica è stato somministrato da volontari ACLI di Roma con almeno un anno di esperienza in progetti sociali e ha coinvolto oltre 400 donne di età media 43 anni, di cui il 19% si era recata presso gli ambulatori per un controllo, il 45% per una patologia ginecologica benigna e il 36% per una patologia di tipo oncologico.

La ricerca ha evidenziato che il disagio sociale o psicologico è strettamente legato alla presenza di una malattia, sia di natura ginecologica/oncologica, che cronica. Il 50% circa delle donne ha dichiarato che la malattia ha cambiato la propria vita, sia come percezione di sé, sia come cambiamento delle proprie relazioni con il prossimo. Il cambiamento delle proprie priorità ha riguardato il 71,1% delle pazienti. Altri aspetti emersi sono stati l’insoddisfazione per il proprio corpo (27.4%)), il non sentirsi compresi e vicini (40,4% e 23,4%), la perdita delle certezze e l’inadeguatezza all’attuale condizione di vita (20,9% e 20,4%).

Dall’indagine è emerso un forte impatto sociale della malattia, infatti il 35% del campione di donne ha riferito cambiamenti nelle relazioni a causa di essa; molte si sono sentite trattate con compassione o isolate e molte hanno provato sintomi di ansia riguardo al giudizio e preoccupazioni legate alla malattia cronica o oncologica.

L’Ingegnere Tina Pasciuto del Dipartimento Scienze della Vita e Sanità Pubblica, Sezione di Igiene dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e Research core facility Data Colection GSTeP Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS, che ha curato l’analisi dei dati, ha evidenziato che “tra i fattori di rischio del disagio psicologico e sociale vi sono senz’altro il soffrire di una patologia oncologica e cronica, l’avere difficoltà economiche e l’aver subito violenza. In particolare il rischio di disagio per le pazienti oncologiche è quasi 4 volte maggiore rispetto alle pazienti sane”.

Mentre per quanto riguarda la violenza subita dal 33% delle donne intervistate, soffrire di patologia ginecologica benigna, avere difficoltà economiche, essere in una situazione di insicurezza alimentare, ovvero non aver avuto i soldi per l’acquisto di cibo e/o di cibo nutrizionalmente bilanciato almeno una volta negli ultimi 12 mesi, sono stati identificati come fattori di rischio principali per la violenza. Anche fare uso di alcol rappresenta un fattore fortemente impattante, ma in questo caso c’è da chiedersi se l’uso di alcol sia una causa o effetto dell’aver subito violenza.

In generale, l'indagine ha evidenziato che tra tutti, la difficoltà economica aumenta il rischio sia di avere sia disagio psicologico e sociale (quasi 4 volte maggiore), sia di subire violenza (più del 70% maggiore) nonché di soffrire di insicurezza alimentare (6 volte maggiore), ma ha anche messo in luce la stretta correlazione tra patologie ginecologiche, disagio psicologico e sociale e violenza, sottolineando l'importanza di fornire un sostegno psicologico e sociale alle donne affette da tali condizioni.

Questi risultati, dichiara la dottoressa Drieda Zaçe, ricercatrice presso il Dipartimento Scienze della Vita e Sanità Pubblica, Sezione di Igiene - Centro Ricerca e Studi sulla Salute Procreativa di Università Cattolica, campus di Roma, “possono costituire un importante passo avanti verso cure più informate e personalizzate, migliorando l'accesso ai servizi sanitari e ottimizzando la pratica clinica per le donne affette da patologie ginecologiche”.

Conclude la dottoressa Lidia Borzì, Presidente ACLI di Roma, sottolineando “l’importanza di questi dati, anche per favorire l’integrazione socio-sanitaria attraverso misure di welfare sartoriali capaci di coinvolgere tutti gli stakeholders della comunità per offrire risposte in grado di curare la persona con un approccio olistico”.

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