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Martedì 15 OTTOBRE 2024
Salute mentale, tante diciarazioni di intenti e pochi fatti 



Gentile Direttore,
sono sempre ammirato dalla irriducibile coerenza con cui la psichiatria italiana, a fronte della crescente e drammatica crisi dei servizi, ripropone con costanza il proprio modello e le proprie richieste.

A volte non so sottrarmi tuttavia alla sensazione che una parte di questa coerenza si trasformi alla fine in una difficoltà a prendere atto della realtà che è sotto gli occhi di tutti, ed a pensare che occorra cambiare, se non gli obiettivi, almeno la strategia che fino ad ora è consistita in proclami ed appelli.

Prendiamo la questione della riserva del 5% della spesa del FSN, che risale ad un impegno dei Presidenti di Regione ancora nel 2001. Non è mai stato attuato in questi 24 anni, se non in pochissime realtà, passate tuttavia anche loro progressivamente ad una importante contrazione delle risorse, in un appiattimento verso la media nazionale che nel 2015 era il 3,5 % e nel 2022 il 2,9 %. Nel frattempo anche la spesa sanitaria non è migliorata ed il suo rapporto al PIL che nel 2015 era il 6,6 nel 2022, dopo gli incrementi del 2020 e 2021 era tornata al 6,8 nel 2022 (6,2 nel 2023), non lasciando quindi immaginare floridi orizzonti. Attualmente si discute del possibile incremento di 3 miliardi per stipendi e personale per tutta la sanità, sempre che si riescano a trovare. Su che base sensata si ipotizza che, ammessa la volontà politica di farlo, sia possibile reperire i circa 2,4 miliardi che servirebbero, solo per la salute mentale, per raggiungere il mitico 5%?

I dati non fanno ipotizzare in nessuna maniera un possibile incremento importante della spesa sanitaria, e non è certo immaginabile che la psichiatria riesca a recuperare risorse da una loro ridistribuzione interna alla sanità, che veda pesanti contrazione di altre aree a favore della salute mentale.
Penso che sarebbe ora prendere atto che la richiesta del 5% è semplicemente irrealistica, di sicuro nel breve e medio termine, e bisogna smettere di rigirarsi in questa richiesta che trova il vuoto ma finisce per congelare ogni possibilità di cambiamento. Capisco che certe battaglie vanno fatte, ma ha senso investirvi energie sapendo che sono perse in partenza?

Il paragone impietoso con la spesa degli altri paesi europei, oltre che suscitare indignazione, mi ha sempre fra l’altro portato il dubbio se sia stata proprio la riforma psichiatrica in Italia a comportare la fantasia di una organizzazione dove l’appoggiarsi alle risorse della comunità e del territorio, peraltro ormai un nostalgico ricordo, permette di non spendere. Una psichiatria diluita nel sociale crea facilmente la fantasia (e l’alibi) che non necessita e non deve chiedere risorse sanitarie, e l’invarianza della spesa che concludeva la legge 180/78 con la illusione anzi di risparmiare dalla chiusura dei manicomi, ha creato una logica capestro da cui non è facile uscire.

Non conviene, rispetto a richieste giuste e complesse che non possono tuttavia essere accolte, cominciare a vedere a cosa si può porre mano con gradualità, sapendo che nessun investimento anche indiretto verrà fatto?

Intanto gli ambiti su cui muoversi potrebbero essere diversi.

Il primo è di costruire un modello omogeneo, a fronte di una ventina di macromodelli diversi (quelli delle regione) e di decine di ulteriori modelli legati alle singole ASL, sapendo finalmente per cosa si chiedono risorse? E’ ancora accettabile che in alcune Regioni vi siano Dipartimenti che comprendono al loro interno la Neuropsichiatria infantile e le Dipendenze ed altre dove sono servizi distinti? Non sarebbe ora di fare un bilancio del vantaggio e dello svantaggio di questi modelli e decidere qualcosa di uniforme, muovendosi sui dati e non su vaghe metafisiche ideologiche? E’così impossibile definire degli standard omogenei di personale che, senza garantire a nessuno la ricchezza, almeno proteggano molte realtà dalla povertà più estrema? Che fine hanno fatto gli standard del DM 77/2022 che, pure insoddisfacenti per tanti versi, almeno rappresentavano una base su cui ragionare? Quale è il bilancio della legge 81/2014 di chiusura degli OPG a dieci anni da quando è stata promulgata? Oltre che alleggerire il peso sulle carceri ed evitare procedure di infrazione all’Italia, ha portato effettivi vantaggi alle persone? E quanto sono costati questi ai servizi ed alla comunità in tema di assorbimento di risorse con riduzione di altri servizi?

Alla fine si potrebbe offrire al SISM finalmente la opportunità di dare un effettivo contributo che non si risolva nella pubblicazione del rapporto annuale, ma apra un ragionamento sulla effettiva realtà della situazione e dove si deve e si può mettere mano per modifiche. So bene quanto è difficile in salute mentale tracciare i bilanci di processi ed esiti ma penso che non sia possibile continuare a muoversi (o non muoversi) per scelte ideologiche senza verificare cosa effettivamente queste hanno comportato per il benessere dei cittadini.

In questo senso è certo vero che le risorse economiche della salute mentale sono poche, ma non sarebbe il caso di cominciare a ragionare sul loro uso ampiamente diverso che avviene nelle diverse realtà? Sto pensando ad esempio al quadro variegato che il SISM fornisce rispetto alla entità e all’uso delle strutture semiresidenziali e residenziali, strutture che assorbono comunque a livello nazionale il 53% della spesa complessiva, e dove bisognerebbe cominciare a tracciare effettivi bilanci su necessità ed efficacia. E questo soprattutto tenendo conto del fatto sul fatto che, a fronte della riduzione complessiva delle risorse, la spesa per la residenzialità che nel 2015 assorbiva il 38,6 delle risorse complessive, nel 2022 assorbiva il 41,7. Che senso ha, all’interno del continuo riferimento a Basaglia, una psichiatria che spende per i CSM solo il 41% delle risorse, mentre il resto viene speso fra reparti ospedalieri e strutture semiresidenziali e residenziali, a forte rischio di consolidare cronicità e lungodegenze?

Ed ancora: non sarebbe ora di cominciare a mettere ordine negli interventi attuati dai servizi, in particolare nelle pratiche riabilitative? Penso che sia possibile smettere di considerare il caos esistente una ricchezza concettuale, quando rappresenta molto spesso semplicemente uno spreco, con pratiche puramente autoreferenziali e tradizionali senza alcuna dimostrazione di efficacia, che assorbono tuttavia una quantità enorme di risorse. Non sarebbe questo un compito per le società scientifiche e gli innumerevoli tavoli tecnici che popolano il panorama della salute mentale?

Un’ultima domanda: non sarebbe il caso che Società Scientifiche e Coordinamenti vari prendessero atto che lettere, proclami e suppliche non hanno prodotto nulla di concreto, se non dichiarazioni di solidarietà e DDL con tante fragilità e, oltre ad indicare problemi e richieste, cominciassero a pensare a quali altre possibili strategie possono essere messe in campo?

Andrea Angelozzi
Psichiatra

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