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Gentile Direttore, Tuttavia l’obiezione, almeno nei termini riferita dalla stampa, che gli studi effettuati abbiano portato a risultati “rassicuranti” o addirittura a escludere le patologie tumorali, come afferma il commissario Agicom Antonello Giacomelli (Il Foglio, 25 9), non sarebbe (uso il condizionale) di per sé dirimente dall’effettuare ulteriori approfondimenti. Si tratta infatti di un tema complesso, di una tecnologia che si sta diffondendo, come dimostra il fatto che le stazioni radiobase in Toscana (non tutte di 5G) erano, nel 2010, 5.784 e attualmente sono 19.540. A proposito degli effetti sulla salute un’autorevole revisione: “Health Impact of 5G” del Panel for the Future of Science and Technology” del Parlamento Europeo (Luglio 2021) concludeva: “La revisione mostra: 2) Frequenze più alte del 5G (24,25-27,5 GHz): la revisione sistematica non ha trovato studi adeguati né sull’uomo né sugli animali da esperimento”. La mia perplessità in merito all’iniziativa della Regione Toscana si basa fondamentalmente su di un altro aspetto che non mi pare sia emerso nelle osservazioni e critiche che sono state espresse: la procedura con cui si ipotizza, si pianifica, si propone e si finanzia una ricerca, in particolare su un tema così complesso. Si tratta infatti di valutare la relazione fra un fattore puntuale che si degrada in relazione alla distanza e una popolazione esposta della quale sarebbe necessario conoscere molteplici variabili fra cui la durata di esposizione, gli altri determinanti delle patologie oggetto di rilevazione nonché – non escluderei – l’intensità d’uso del cellulare. In sintesi si tratta di uno studio di aggregazioni spaziali per evidenziare eventuali cluster territoriali/temporali di alcune patologie. Mi attenderei che una attività con queste caratteristiche venga eventualmente proposta dopo aver pubblicato, su una autorevole rivista, una revisione della letteratura evidenziando eventuali limiti o aspetti da approfondire. Conseguentemente sarebbe necessario definire una ipotesi di ricerca, valutando gli end point, i criteri di identificazione delle patologie, la numerosità del campione in riferimento a diverse significatività statistiche. Individuare infine le competenze necessarie, cioè ricercatori con capacità assai avanzate in ambito epidemiologico e statistico. Tutto ciò configurerebbe eventualmente una ipotesi di ricerca multicentrica, da sottoporre a una valutazione “esterna” e coinvolgendo istituzioni nazionali (CNR) o internazionali (IARC). Questa breve descrizione non è una proposta, ma solo una sintetica esemplificazione di come dovrebbe essere pianificata tale attività, non essendo assolutamente certo che il problema meriti ulteriori indagini e rappresenti tantomeno una priorità. Intendo solo evidenziare una rilevante criticità, là dove un finanziamento appare deciso (o elargito) prima di aver definito il razionale della ricerca (perché si intende intraprenderla), documentato cosa si intende evidenziare, come si propone di realizzarla e quali competenze siano indispensabili. Se invece il finanziamento della Regione fosse stato finalizzato a implementare l’attività di monitoraggio dell’incidenza dei tumori (Registro Tumori) e le attività di rilevazione di incidenza, mortalità, ospedalizzazione, da pare della ARS, in cui vi sono tutte le competenze necessarie, rafforzandone la mission affinché possa approfondire molteplici aspetti rispetto al territorio, alle strutture di ricovero ecc., si configurerebbe una iniziativa meritevole. Marco Geddes da Filicaia
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Venerdì 27 SETTEMBRE 2024
5G e le perplessità sullo studio commissionato dalla Toscana
il finanziamento della Regione Toscana (dove sono residente) per attuare una ricerca sugli effetti sulla salute della diffusione dei 5G ha suscitato, come ampiamente riportato dai quotidiani, comprensibili e condivisibili perplessità e critiche da autorevoli colleghi, fra cui Roberto Burioni e Giuseppe Remuzzi.
1) frequenze più basse del 5G (700 e 3 600 MHz): a) prove limitate di cancerogenicità in studi epidemiologici; b) prove sufficienti di cancerogenicità nei test biologici sperimentali; c) sufficiente evidenza di effetti avversi sulla riproduzione/sviluppo negli esseri umani; d) prove sufficienti di riproduttività/effetti avversi sullo sviluppo negli animali da esperimento;
Ma non si tratta di questo, con il rischio che emerga una visione autarchico-autonomista anche dell’attività di ricerca.
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