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Lunedì 13 SETTEMBRE 2010
Osteoporosi: fratture costano al Ssn 7 milioni al giorno
In attesa della Giornata Mondiale contro l’osteoporosi, che si celebrerà il 20 ottobre, O.N.D.A. diffonde i risultati dell’indagine condotta tra le donne che hanno subito una frattura di femore.
Novantamila casi ogni anno in Italia dopo i 60 anni. Le fratture da fragilità ossea nelle donne, causate principalmente dall’osteoporosi, colpiscono duro, con forti ripercussioni sulla qualità di vita fisica e psicologica della donna e di coloro che le devono prestare assistenza: i cosiddetti ‘caregiver’, soprattutto figli e famigliari (donne per 2/3 e lavoratrici nel 50 per cento dei casi). Senza contare le conseguenze economiche, per lo Stato e per le famiglie. Si calcola infatti che ogni anno siano ben 26 i miliardi di euro destinati a questa problematica. Sette milioni di euro ogni giorno. Eppure una donna su due non sa, al momento della frattura, di avere l’osteoporosi perché non ha mai eseguito un controllo o una visita specialistica, mentre tra quelle consapevoli della loro condizione una su tre non assumeva alcuna cura.
Sono questi i principali risultati della ricerca condotta da Elma Research per l’Osservatorio Nazionale sulla salute della Donna (O.N.Da) su un campione di donne che hanno subito una frattura di femore. La ricerca è stata presentata oggi a Milano da Francesca Merzagora (Presidente di O.N.Da) ed Elena Ripamonti (Elma Research). Intervenuti, tra gli altri, Maria Luisa Brandi (Dipartimento di Medicina Interna dell’Università di Firenze e Presidente FIRMO), Marco D’Imporzano (Direttore III Divisione di Ortopedia e Traumatologia dell’Istituto Ortopedico Gaetano Pini), Raffaella Michieli (Segretario Nazionale SIMG), Giampaolo Landi di Chiavenna (Assessore alla Salute del Comune di Milano).
Dai dati emerge che la frattura al femore è per lo più un evento inatteso che ha cambiato radicalmente la loro vita: in due su tre l’autonomia è stata compromessa per sempre; i disagi fisici e cognitivi (soprattutto depressione) hanno toccato il 40%; per molte (7%) l’evento è stato causa di decesso. Anche per le famiglie che si trovano a gestire l’anziana fratturata al femore, l’organizzazione familiare viene completamente stravolta: il 70% non prestava assistenza quotidiana prima della frattura, ma dopo si trova a doverle dedicare in media 5 ore al giorno, tutti i giorni e molte ricorrono alla badante. Uomo o donna, uno su due deve rinunciare al proprio tempo libero, chiedere permessi al lavoro, con importanti sacrifici economici.
“Ad un mese dalla Giornata Mondiale sull’osteoporosi del 20 ottobre, dove circa 70 ospedali premiati nel 2010 con i nostri ‘Bollini Rosa’ offriranno servizi di prevenzione gratuiti (info su www.ondaosservatorio.it) – spiega Francesca Merzagora – questa indagine è particolarmente interessante perché inquadra il problema delle fratture da fragilità indagando un target specifico di donne (pazienti che hanno subito un intervento chirurgico, questo spiega il numero più limitato di interviste) e parallelamente dei loro caregiver. Abbiamo quindi finalmente la fotografia di una realtà che spesso resta chiusa in quattro mura di solitudine, ma soprattutto abbiamo nuovi dati che le Istituzioni potranno fare propri non solo per migliorare i servizi, ma anche per migliorare gli interventi e le cure, ridurre costi medici e sociali, oggi troppo elevati, programmare utili campagne di prevenzione, soprattutto sulle giovani generazioni”.
“Pur in presenza di uno stato di salute abbastanza buono del campione (discreto 26%, buono 30%, molto buono 25%) – continua Maria Luisa Brandi – è incredibile come il 48% non sapesse di avere l’osteoporosi e solo il 12% assumesse farmaci. E come poche avessero parlato con il medico delle conseguenze della malattia. Addirittura il 51% ha sostenuto di non aver avuto informazioni sull’aumento del rischio di fratture ed oltre un terzo delle donne prima della frattura non assumesse alcuna terapia o l’avesse interrotta. Inoltre – e questo è un punto fondamentale – risulta che una donna su 10 aveva già avuto un’altra frattura. Su questo punto è bene precisare che in media solo il 10% delle pazienti viene correttamente curato contro la rifratturazione, un evento ancora troppo frequente per le conseguenze ancora più gravi che comporta, e che potrebbe essere evitato con un po’ di attenzione e cure appropriate”.
Un dato che sorprende riguarda i tempi che trascorrono dalla diagnosi di frattura all’intervento. “Se in linea di massima è corretto procedere immediatamente con l’intervento chirurgico – spiega Marco D’Imporzano – è anche fondamentale verificare prima lo stato di salute generale del paziente fratturato, che spesso, data l’età, non è in condizioni ottimali. Dunque prima di qualsiasi intervento il paziente deve essere stabilizzato ed essere messo in condizioni di sopportare un intervento comunque importante. Dal punto di vista chirurgico è necessaria una corretta osteosintesi (riduzione ed armatura della frattura) o una protesizzazione totale che consenta al paziente di avere una mobilità sufficiente già il giorno successivo all’intervento. Un’ultima variabile, anch’essa molto importante, riguarda il decorso post-operatorio, che deve avvenire con personale specializzato all’interno di una Unità Operativa in grado di gestire il malato a 360 gradi, sia dal punto di vista fisico che psicologico. Al Gaetano Pini è stata sperimentata per alcuni anni una Unità Operativa di Chirurgia Ortopedica dell’anziano. Questa esperienza è stata poi trasferita a tutta la struttura ospedaliera”.
“A monte di tutto resta comunque la prevenzione – spiega Raffaella Michieli – di cui si deve occupare soprattutto il medico di famiglia. Prevenzione che, in teoria, andrebbe promossa già nella “pancia” della mamma. L’alimentazione della donna in gravidanza è infatti molto importante per la bambina che deve nascere. Anche l’eccessiva magrezza di molte, troppe adolescenti aumenta il rischio di osteoporosi. Fino a 25 anni, infatti, la massa ossea cresce fino a determinare il suo picco: questo ‘salvadanaio di calcio’, però, tende a consumarsi con il passare degli anni. A questa età, dunque, alimentazione, peso proporzionato all’altezza, attività fisica, sole, regolarità ormonale sono fondamentali. Ma il punto di svolta è il momento della formazione della famiglia e del lavoro: a questo punto, e in genere siamo oltre i 35 anni, le donne cessano in maggioranza di svolgere attività fisica perché impegnate nel lavoro, nella cura dei figli, del marito, della casa, dei genitori anziani che spesso restano sulle loro spalle. Ecco un esempio di cosa significhi ‘differenza di genere’: infatti questi obblighi sono molto spesso delegati alle donne cui non resta che rinunciare alle attività ‘superflue’ tra cui l’attività fisica. Così, arrivate ai 50 anni, il rischio di fragilità ossea, a causa anche della perdita dell’ombrello ormonale, continua a crescere e diventa ancora più importante identificare i fattori di rischio sui quali valutare la possibilità di prescrivere esami come la densitometria, utili ad individuare le persone a rischio di frattura. Col passare degli anni si comincia quindi a prendere in considerazione la necessità di una terapia farmacologia che possa prevenire la frattura da fragilità. Fondamentale in questo senso però è sicuramente la prevenzione delle cadute. È fondamentale eliminare fattori di rischio che sono presenti soprattutto in casa: togliere i tappeti, avere una buona illuminazione, prevedere appoggi in bagno, impedire l’uso della doccia, non passare la cera e fare attenzione ai giochi dei nipotini che accidentalmente possono farci cadere”.
“Un altro dato molto importante – continua la Prof. Brandi – è che prima della frattura (secondo la scala IADL) vi era una autonomia totale nel 76% (IADL 6, 7, 8), dopo l’autonomia totale scende al 15%, mentre quella parziale vola al 70%, ma con un 44% di parziale vicino alla non autonomia (IADL 3). Infatti a 3 mesi dall’intervento si cammina solo con l’ausilio di una stampella (66%) e comunque non bene come prima (15%). Il 13% non cammina. Dunque vengono a mancare quelle attività quotidiane fondamentali per il benessere di una donna di questa fascia d’età, come fare un passeggiata, la spesa, prendersi cura di se stessa e della propria casa, vedere i nipotini. Nonostante questo il 95% pensa che la propria condizione migliorerà con il passare del tempo”.
“A prendersi cura del famigliare in questi lunghi, se non infiniti periodi di convalescenza e riabilitazione – conclude Francesca Merzagora – sono soprattutto figli, marito, badanti, parenti, vicini di casa. La figlia femmina raggiunge la percentuale più elevata, 39% al Nord, 67% al Centro Sud. Questo è un dato che mette in luce una vera ‘differenza di genere’ che mette sempre la donna nelle condizioni di caregiver con tutte le conseguenze del caso”.
“Oggi – spiega Giampaolo Landi di Chiavenna, Assessore alla Salute del Comune di Milano – l’obiettivo primario è il miglioramento della qualità della vita attraverso un’attività di prevenzione che intervenga sui fattori di rischio “modificabili” dell’osteoporosi per limitare conseguenze gravissime per la donna come le fratture di femore. A questo servono le nostre “Piazze della Salute”, inaugurate proprio in questi giorni. Adottando stili di vita corretti, cominciando dalle abitudini alimentari, si possono ottenere importanti risultati. L’alimentazione, nella società moderna, deve essere innanzitutto un terreno privilegiato di prevenzione di malattie come l’osteoporosi e di controllo della propria salute. Credo poi che il binomio alimentazione e attività motoria debbano diventare uno snodo fondamentale. Sapersi alimentare è altrettanto importante del sapersi muovere. E quando si parla di osteoporosi, tale binomio è particolarmente vero”.
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