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Mercoledì 17 LUGLIO 2024
Demansionamento: riflessioni giuridiche, professionali e organizzative



Gentile Direttore,
il recente rinnovato interesse per il tema del demansionamento apre a una serie di riflessioni che, vanno ben oltre i confini del campo giuridico ma affrontano aspetti culturali, di identità professionale, di etica e organizzativi.

E’ vero, il codice civile, all’articolo 2103, si occupa delle “mansioni” del lavoratore e si preoccupa che siano quelle effettive per le quali il lavoratore ha deciso di prestare la propria attività lavorativa, affermando, dopo le modifiche apportate dal D.lgs. 81/2015, che “Il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti all'inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte”. L’articolo in questione va oltre e si occupa anche delle “mansioni inferiori”, alle quali il lavoratore, in casi eccezionali, può essere adibito, in presenza di modifiche degli assetti organizzativi aziendali che incidono sulla sua posizione.

Dobbiamo ricordare che per demansionamento si intende l’assegnazione illegittima a mansioni comprese in un inquadramento inferiore rispetto a quelle per le quali il lavoratore è stato assunto e contenute nel proprio contratto di lavoro.

Il prefisso privativo (de-) pretende l’individuazione di un concetto rispetto a cui formulare un giudizio di sottrazione (Cendon, 2011).

Nelle situazioni di carenza di personale o in altre circostanze, i professionisti sanitari possono essere chiamati a supplire deficit non occasionali che divengono poi attività prevalenti.

Il caso di scuola, in ambito infermieristico perlomeno, può essere quello affrontato recentemente dal Tribunale di Bari che ha avuto occasione di chiarire che “il lavoratore può essere adibito a mansioni inferiori qualora si tratti di impiego di breve durata e di carattere occasionale, qualora, in ogni caso, tale adibizione non pregiudichi la possibilità di espletare le mansioni proprie della qualifica di appartenenza in modo prevalente ed assorbente; dunque trattasi di demansionamento nell'ipotesi dell'infermiere che svolga mansioni inferiori, stante la cronica carenza di personale OSS, che ha dovuto svolgere mansioni igienico-alberghiere in maniera sistematica, con ripercussioni sulla possibilità di svolgere le mansioni invece tipiche del profilo professionale di appartenenza” (Tribunale Bari, Sez. lavoro, Sentenza, 06/02/2023, n. 331)

Ma il “demansionamento”, come spiega Silvestro Giannantonio nel suo recente articolo è altra cosa, o perlomeno, è anche altra cosa. E’ lesione della dignità morale, dell’immagine, della reputazione del lavoratore. Dal demansionamento, poi, può derivare anche un danno biologico, che richiederà un accertamento medico legale, o un danno da impoverimento e mancato accrescimento del proprio bagaglio di competenze professionali. Insomma, discutiamo di danni da lesione di diritti fondamentali della persona, costituzionalmente tutelati.

Può sembrare semplice discutere di demansionamento quando le prestazioni riguardano atti che non comprendono direttamente l’assistenza alla persona, atti che potrebbero essere eseguiti da altre figure e che distolgono il professionista dall’assistenza diretta. Diverso è quando l’atto coinvolge direttamente la persona dell’assistito, dove non è sempre chiaro cosa sia semplice e cosa sia complesso e se l’atto sia attinente alla professione (FNOPI, 2018). La differenza non è nell’atto in sé ma nello sguardo rivolto alla persona che si ha di fronte, persona che chiede una risposta della quale il professionista diventa responsabile e nella valutazione, intesa come il saper pesare l’esito dell’atto in argomento nei confronti dell’assistito.

Da una parte, allora, l’infermiere è responsabile dell’assistenza infermieristica (D.M: n. 739/1994, art. 1) e, dall’altra, “l’infermiere ai diversi livelli di responsabilità assistenziale, gestionale e formativa partecipa e contribuisce alle scelte dell’organizzazione, alla definizione dei modelli assistenziali, formativi e organizzativi, all’equa allocazione delle risorse e alla valorizzazione della funzione infermieristica e del ruolo professionale” (Codice deontologico delle professioni infermieristiche, art. 30).

Valorizzare il ruolo, significa essere consapevoli di chi l’infermiere e di che cos’è l’infermieristica. Il confine, fra ciò che è ciò che non è demansionamento, può, talvolta, essere sottile. Attività di assistenza che in letteratura vengono definite fundamentals of care, sono azioni che soddisfano i bisogni fondamentali e possono essere svolte dagli infermieri o dagli operatori di supporto. La differente attribuzione delle attività, in questo caso, non sarà da ricercare meramente nella tipologia di prestazione, ma nella situazione dell’assistito e nei modelli di erogazione delle cure.

Un altro aspetto importante è quello di definire “cosa toglie il demansionamento”.

Qui, si delineano tre riflessioni, far loro intrecciate. La prima è quella sopraesposta che riguarda la posizione, la dignità, l’identità del professionista. In questo caso, essere adibiti, in maniera strutturale ad attività non proprie, toglie qualcosa al professionista, come possibilità e competenze.

La seconda riguarda la persona assistita. Se l’infermiere è adibito ad altro, chi identificherà i problemi assistenziali e gli obiettivi? Chi pianificherà gli interventi? Chi valuterà il raggiungimento dei risultati? Pertanto, all’assistito verrà tolta la possibilità e il diritto di essere “visto” da un professionista competente in questo.

Infine, la terza, riguarda l’organizzazione. Se attribuiamo un certo tipo e livello di attività a un professionista di livello superiore, stiamo peccando di inefficienza, inefficacia e inappropriatezza. Non stiamo sfruttando il potenziale, ma, anzi, lo stiamo prosciugando, inseguendo apparentemente facili soluzioni.

E infine, una quarta e ultima considerazione: non si toglie solo qualcosa all’infermiere, alla persona assistita e all’organizzazione, ma anche all’intero sistema sanitario e alla reputazione dell’intera comunità professionale, che risulterà meno attrattiva, soprattutto da parte di chi, entra ora (o intende entrare) nella professione e intende esercitarla considerandone le potenzialità intellettuali e di crescita.

Annalisa Pennini
PhD in Scienze Infermieristiche - Sociologa

Giannantonio Barbieri
Avvocato esperto di Diritto Sanitario

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