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Gentile Direttore, IL POLITICO. Conciliare le esigenze sanitarie con quelle economiche e sociali ravviva tensioni, paure ed egoismi, in una società caratterizzata dall’aumento dei vecchi e dalla riduzione dei giovani. Il finanziamento del SSN è naturalmente fondamentale ma è solo parzialmente l’elemento chiave. Molti costi sono dovuti alle prestazioni in assenza di decisioni. Il sistema è diventato un “prestazionificio”. Prestazioni sanitarie, tecniche, burocratiche, amministrative, deliberative, autorizzative e così via. Le prestazioni, si sa, sono come le ciliegie: una tira l’altra. Alimentano il mercato e il PIL ma non necessariamente la salute. Non sono direttamente proporzionali e in casi particolari addirittura inversamente proporzionali al miglioramento della salute. Se si inseguono le prestazioni, il finanziamento non sarà mai sufficiente perché esse sono alimentate per motivi, interessi e convenienze di parte da tutti e 4 gli attori considerati. Compito del politico dovrebbe essere quello di definire il costo sostenibile del SSN, ma soprattutto pretendere la fedeltà fiscale dei cittadini, la correttezza amministrativa dei dirigenti e la buona burocrazia dell’organizzazione per non alimentare ulteriormente un debito già poco sostenibile. Non si può rubare sulla salute, perché la conseguenza della infedeltà fiscale, della corruzione e della cattiva burocrazia è la condanna certa del bombo a diventare scarafaggio. IL MEDICO. In un SSN non si può decidere che in base alla evidenza scientifica se si vuole agire con equità, efficienza, efficacia ed economicità. Finita la medicina paternalistica il medico deve condividere le scelte con il paziente secondo il processo decisionale condiviso. Il successo o il fallimento di una terapia deve essere merito e responsabilità di entrambi. Il medico, insieme allo scienziato e al politico, deve assumersi la responsabilità dei mezzi, il paziente quella di partecipare al finanziamento e alla decisione. Bisogna decidere il rischio accettabile e il livello di sicurezza desiderato secondo i principi di probabilità e casualità, distinguendo chiaramente l’errore dall’insuccesso. Bisogna evitare, come si dice a Perugia che, se va bene viva Michele, ma se va male abbasso Pasquale. Una cultura più avanzata del sospetto diagnostico e del rischio in prevenzione può migliorare gli esiti clinici ma può anche portare più facilmente alla overdiagnosis e al conseguente overtreatment con danni al paziente e sprechi di risorse. L’incertezza ha bisogno della condivisione del “Che fare?” e del “Chi paga?”. LO SCIENZIATO. La ricerca è fondamentale e va adeguatamente finanziata. Una cura per avere un reale valore terapeutico aggiunto deve essere comparata con una già di dimostrata efficacia rispetto al placebo e questo per dimostrare il suo effetto illusorio deve essere comparato con il decorso naturale della malattia. Senza sperimentazione è inevitabile operare con incertezza, affidandosi alla intuizione. Questa è la realtà di cui il paziente dovrebbe essere consapevole. Il compito dello scienziato non è quello di arroccarsi nella inviolabile, criptica e talvolta capziosa torre conoscitiva ma di aiutare paziente e medico fornendo loro alcuni dati fondamentali per la decisione condivisa: rischio basale nel paziente “medio”, riduzione rischio assoluto, numero di pazienti da trattare per evitare l’evento, numero di pazienti da trattare per avere un danno, rischio residuo, prolungamento dell’aspettativa e della qualità di vita, costo del provvedimento in termini finanziari ed organizzativi. IL PAZIENTE. È facile proporre ed approvare scelte compassionevoli. Suscitano emozione e ammirata approvazione. Pongono però problemi politici ed etici. Far pagare la collettività è il solito modo per avere consenso o privilegi con i soldi degli altri. Bisogna decidere chi paga l’appropriatezza e l’inappropriatezza e quale è il livello sostenibile. Il problema è certamente divisivo ma bisogna trovare una soluzione condivisa. Per ridurre la domanda bisogna sostituire l’irrefrenabile bulimia diagnostica e terapeutica con un sobrio regime di attenta prevenzione e un saggio governo del rischio accettabile, della sicurezza possibile e della rassegnazione inevitabile. Non si può pretendere dal Servizio l’inappropriatezza che si può chiedere al Mercato. Il 50% delle malattie ce le infliggiamo da soli anche se ci è difficile ammetterlo. Continuare a perseguire stili di vita incongrui e pretendere di ridurre il rischio con le “prestazioni” diagnostiche e terapeutiche significa continuare ad essere “bombo”, rinunciare a diventare “ape” e rischiare di diventare “scarafaggio” che ha le ali ma non sa volare. Franco Cosmi
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Mercoledì 10 LUGLIO 2024
“Whatever it takes” per il Servizio sanitario nazionale: il bombo diventerà ape o scarafaggio?
il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) è un bene troppo prezioso per rischiare di perderlo. Bisogna fare tutto ciò che è necessario per mantenerlo e migliorarlo. “Whatever it takes” diceva Mario Draghi con una frase diventata famosa quando doveva salvare l’euro dalla speculazione. Draghi paragonò l’euro al bombo che, a vederlo non dovrebbe essere in grado di volare, mentre ci riesce. Era però tempo che il bombo diventasse una vera ape. Anche il nostro SSN da bombo dovrebbe diventare ape? Ce la può fare? Come? Le ricette sono molteplici. Per far diventare ape il bombo SSN è importante il contributo sinergico, non rimpallabile, di almeno 4 figure fondamentali: il politico, il medico, lo scienziato, il paziente, in ordine casuale e non di importanza.
Medico Cardiologo
Perugia
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