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Venerdì 28 GIUGNO 2024
Progetto BPCO Bridge: ottimizzazione di cure e riduzione di liste di attesa

Dall’idea della necessità di un approccio pragmatico e concreto per risolvere i problemi esistenti sulla gestione del paziente con BPCO, è nato il progetto BPCO Bridge che si è posto l’obiettivo di identificare le criticità e di avanzare proposte operative per migliorare la gestione della patologia in Italia.

Il progetto BPCO Bridge è nato con l’obiettivo di formulare proposte concrete e pragmatiche, messe a punto dagli esperti, al fine di risolvere le sfide riguardanti la diagnosi, la gestione e il trattamento dei pazienti, nonché il miglioramento della collaborazione fra MMG e specialista e la rimozione delle barriere all’accesso alle cure anche attraverso una revisione della attuale Nota 99. Nonostante i molti tentativi fatti negli anni per migliorare la presa in carico dei pazienti con BPCO, in Italia permangono molte criticità nella gestione di questa patologia, spesso sottovalutata. La bassa aderenza alla terapia e le frequenti riacutizzazioni determinano tutt’ora scarsi esiti di salute e impatti rilevanti sui costi SSN.

La BPCO è una patologia che colpisce un numero sempre maggiore di pazienti, e la sua gravità non è ben conosciuta e spesso risulta ancora oggi sottovalutata e sotto-diagnosticata. Nonostante i tentativi già fatti, c’è ancora molto lavoro da portare avanti per garantire una diagnosi precoce, un trattamento appropriato, un miglioramento dell’aderenza terapeutica e la gestione delle comorbidità, molto comuni in questi soggetti.

Proprio dall’idea della necessità di un approccio pragmatico e concreto per risolvere i problemi esistenti su questi punti, è nato il progetto BPCO Bridge che si è posto l’obiettivo di identificare le criticità e di avanzare proposte operative per migliorare la gestione della patologia in Italia. Il progetto è stato condotto da Dephaforum con la partnership di Card (Confederazione associazioni regionali di distretto), il patrocinio dell’Associazione italiana pneumologi ospedalieri (Aipo), della Società italiana di pneumologia (Sip), dell’Associazione pazienti BPCO onlus, della Società italiana di Medicina Generale SIMG e con il contributo incondizionato di AstraZeneca. Il progetto si è sviluppato in due fasi, la prima è stata la costituzione della Cabina di Regia nazionale che ha identificato le tematiche prioritarie connesse all’attuale gestione del paziente con BPCO e la seconda è stata la costituzione di gruppi di lavoro Macroregionali per le tre aree Nord, Centro e Sud. Questi gruppi hanno rivalutato le proposte della Cabina di Regia nazionale e ne hanno vagliato l’applicabilità e l’importanza a livello locale.

Incontri nazionali e macroregionali del BPCO Bridge

Nell’ambito del BPCO Bridge si sono svolti due incontri nazionali multidisciplinari (Cabina di Regia, CdR) tra esperti fra i quali: pneumologi, Medici di Medicina Generale (MMG), economisti sanitari, associazioni di pazienti e responsabili dei distretti, che hanno analizzato le criticità nella gestione della patologia e proposto delle possibili soluzioni e aree di intervento. A questi sono seguiti tre incontri macroregionali in cui le realtà del Nord, del Centro e del Sud Italia hanno valutato l’applicabilità, ai diversi contesti del Paese, delle proposte avanzate. Quanto emerso dai tre incontri macroregionali è stato infine analizzato e rielaborato in un ulteriore incontro della CdR.

I principali temi trattati sono stati: la necessità di una collaborazione tra MMG e specialisti per la gestione della malattia; la creazione di percorsi specifici per i pazienti che vengono dimessi dopo una riacutizzazione; la necessità di una diagnosi precoce e tempestiva; l’importanza di formare e informare il paziente sull’uso dei dispositivi e sull’importanza della terapia e le criticità della Nota 99 per quanto riguarda in particolare l’esclusione del MMG dalla possibilità di prescrizione della terapia triplice in unico inalatore.

Collaborazione tra specialista e MMG

Le persone affette da BPCO in Italia sono circa 2 milioni, con una prevalenza del 3,1% e un trend crescente dal 2010 al 2019 (rispettivamente 2,9% vs 3,1%).1 La patologia colpisce prevalentemente individui dai 40 anni in su, che in un Paese che invecchia sono sempre più numerosi e presentano molte comorbidità. Nel corso degli incontri è emerso che i centri specialistici non dispongono delle risorse necessarie per farsi carico della gestione di tutti i pazienti in modo appropriato e continuativo. Gli esperti della CdR propongono quindi una precisa suddivisione dei compiti tra i MMG, il primo punto di riferimento clinico del paziente, e gli specialisti.

“La BPCO è una delle più importanti malattie croniche con cui i MMG hanno a che fare”, spiega in un’intervista Ovidio Brignoli, MMG e Presidente della Fondazione SIMG per la Ricerca, che ha preso parte alla CdR. “Il compito del MMG è di evitare un ritardo diagnostico, utilizzando tutti gli strumenti di cui dispone: l’anamnesi del paziente, la sua storia clinica integrata e la spirometria”.
Purtroppo, in Italia, ancora troppi pazienti ricevono una diagnosi solo dopo il primo evento acuto: spesso, nonostante i segni e sintomi e magari anche una storia decennale di tabagismo, non cercano la consulenza del medico e/o non vengono intercettati dal sistema. Eppure, in questa patologia, una diagnosi precoce è fondamentale per poter impostare tempestivamente una terapia efficace. Come sottolinea Brignoli, in caso di sospetto elevato di BPCO, il MMG può impostare una terapia, basandosi sulle linee guida e tenendo conto delle caratteristiche del paziente.


Il monitoraggio dell’aderenza

Un ulteriore problema identificato dalla CdR nella gestione dei pazienti è il monitoraggio dell’aderenza terapeutica. Gli esperti notano che le politiche del farmaco si concentrano su obiettivi di riduzione della spesa e mancano gli obiettivi qualitativi di miglioramento dell’aderenza che impatta, specialmente in questa patologia, in modo determinante sull’efficacia del trattamento e sugli esiti di salute.

“Le malattie respiratorie sono caratterizzate da riacutizzazioni e da periodi di relativo benessere tra una riacutizzazione e l’altra. Questo può essere uno dei motivi per cui l’aderenza alle terapie è inferiore al 50%”, nota Claudio Micheletto, Direttore UOC di Pneumologia Azienda Ospedaliera Universitaria integrata di Verona, “Credo che, per migliorare l’aderenza al trattamento, si debba puntare sull’educazione dei pazienti da parte degli pneumologi, dei centri che prescrivono i farmaci e del MMG. È importante che tutti diano lo stesso messaggio: il trattamento deve essere continuativo e regolare anche quando ci sono pochi sintomi”

Un altro motivo per cui, secondo Brignoli, l’aderenza alle terapie per la BPCO è bassa, consiste nelle difficoltà, riscontrate dai pazienti, nell’uso dei device attraverso cui vengono assunti i farmaci. “I medici di base che prescrivono le terapie e i farmacisti che le distribuiscono al paziente, devono assicurarsi che i pazienti siano istruiti sul corretto uso dei device, che molto spesso sono più di uno”.

Prescrizione della terapia triplice in un unico inalatore

Il numero dei dispositivi inalatori prescritti è stato un altro tema trattato dalla CdR. La Nota 99 non permette attualmente al MMG di prescrivere triplici terapie in un unico inalatore. Gli esperti della CdR hanno evidenziato la necessità di abolire la limitazione della prescrizione della terapia triplice in unico inalatore allo specialista , esprimendo quindi un sostanziale consenso alla prescrizione da parte del MMG.

“Il fatto che il MMG non possa prescrivere la terapia triplice in unico inalatore, ma che possa prescrivere i farmaci separatamente, sta determinando una situazione negativa per i pazienti affetti da BPCO che necessitano della triplice terapia, in termini di aderenza e di costi”, precisa Brignoli.
In effetti, gli esperti della CdR segnalano l’esistenza di evidenze a livello sia italiano che internazionale, degli effetti positivi della terapia triplice in unico inalatore dal punto di vista economico (spesa farmaceutica) e degli esiti di salute.

Gli esperti hanno anche segnalato il passaggio obbligatorio, previsto dalla Nota 99 di AIFA, attraverso la duplice terapia per accedere alla triplice terapia, che non è contemplato dalle versioni più recenti delle raccomandazioni GOLD. Pertanto, è stata evidenziata la necessità di un aggiornamento della Nota 99 alla più recente versione delle Linee Guida sul trattamento della BPCO.

Nel corso dell’intervista il dott. Micheletto offre delle precisazioni su questo punto. “La gestione della BPCO da qualche anno è regolamentata dalla Nota 99 “. In questi ultimi anni il documento internazionale di riferimento, le raccomandazioni GOLD, ha subito delle modifiche per quanto riguarda il trattamento farmacologico. In particolare, il trattamento con broncodilatatori e steroidi inalatori non è più raccomandato e si invita a una massimizzazione della terapia, quindi all’uso del doppio broncodilatatore in caso di paziente dispnoico e della triplice terapia per il paziente con riacutizzazioni”.

Micheletto sottolinea che “le riacutizzazioni svolgono un ruolo fondamentale nella storia naturale della malattia, sia in termini di mortalità che di impatto sulla qualità di vita, ma soprattutto sulla riduzione della funzionalità respiratoria. Quindi questo aggiornamento, dal punto di vista terapeutico, è assolutamente necessario”.

La spirometria: un esame necessario per diagnosi e follow-up

La Cabina di Regia (CdR) ribadisce il ruolo sostanziale della spirometria, non solo per confermare la diagnosi, ma anche per effettuare i controlli di follow-up dei pazienti. Occorre quindi ampliare l’offerta di effettuare test spirometrici di qualità. In questo i MMG possono offrire un supporto fondamentale.

“Nel percorso assistenziale dei pazienti con BPCO la spirometria, che è un esame semplice, non invasivo e a basso costo, svolge un ruolo centrale”, conferma il Prof. Fabiano Di Marco, Direttore UOC Pneumologia ASST Ospedale Papa Giovanni XXIII, Bergamo. “Un modello organizzativo adeguato deve prevedere la possibilità per i pazienti di fruire della spirometria”. Di Marco nota come la riorganizzazione territoriale, con le Case della Comunità, potrà essere d’aiuto in questo senso. “Prima di questo, però – aggiunge – è necessaria una sensibilizzazione dal punto di vista culturale: sia i pazienti sia gli operatori sanitari devono essere consapevoli della centralità di questo esame in pazienti con sospetta patologia respiratoria o con una patologia confermata che deve essere seguita nel tempo”. L’esperto sottolinea come questo esame permetta di capire se un paziente è stabile (e quindi la terapia e i cambiamenti nello stile di vita hanno effetto) o se la malattia peggiora.

Il follow-up sul territorio

A questo proposito Micheletto osserva che la gestione della patologia può essere migliorata con una collaborazione con il territorio. “Bisogna incrementare il numero di controlli di funzionalità respiratoria, in particolare nel follow-up. I pazienti vanno monitorati – per la maggior parte dei casi è sufficiente una spirometria una volta all’anno – e questo può essere fatto in un setting territoriale, anche per non intasare le liste di attesa in ambulatorio”. La Cabina di Regia ha proposto che in ogni territorio, distretto, ASL, esista un PDTA specifico e che, in questo contesto, il telemonitoraggio e la telemedicina vengano sfruttati, in particolare per la gestione dei pazienti critici.

Stratificare i pazienti per garantire una gestione ottimale

La spirometria rappresenta uno degli strumenti usati per effettuare una stratificazione dei pazienti per classi di rischio e permette di capire quali di essi possono essere gestiti dal MMG, quali dallo specialista e quali necessitano dell’intervento di un team multidisciplinare.
La Nota 99 e le raccomandazioni GOLD indicano il FEV1 (un parametro della spirometria) come primo parametro per la stratificazione dei pazienti. Secondo gli esperti della CdR questo indicatore in effetti può essere un primo step di valutazione, ma dovrebbe anche essere associato ad altri parametri per ottenere una classificazione efficace e funzionale dei pazienti. Tra questi parametri vengono citati in particolare la frequenza delle riacutizzazioni e l’ossigenoterapia, anche solo da sforzo. “Vanno valutate la storia del paziente e le riacutizzazioni”, conferma Di Marco. “Se il paziente è andato incontro a tante riacutizzazioni e soprattutto se una di queste lo ha portato al ricovero ospedaliero, occorre il coinvolgimento di uno specialista che possa ottimizzare il percorso terapeutico e poi riaffidare il paziente al territorio”.

Il percorso del paziente post-riacutizzazione

Il Gruppo di lavoro converge sulla necessità di stratificare il paziente alla dimissione post riacutizzazione in base alla gravità in modo da definire la terapia più appropriata. “Dopo una riacutizzazione è necessario prevedere un percorso”, sottolinea Di Marco. “Le riacutizzazioni possono essere lievi, quindi richiedere solo, eventualmente, una piccola modifica della terapia inalatoria; moderate, quindi richiedere un trattamento sistemico a base di steroidi; e gravi, con l’accesso in pronto soccorso o il ricovero ospedaliero”. In particolare, dopo un ricovero ospedaliero, dice l’esperto, i pazienti non solo devono seguire un percorso stabilito, ma devono anche essere seguiti con visite di controllo da uno specialista. “Si tratta di pazienti con una prognosi molto negativa, con una mortalità a 30 giorni che supera il 12%, e spesso presentano comorbidità, che richiedono la creazione di un percorso con il coinvolgimento di altri specialisti”.

La CdR fa notare però che spesso i pazienti vengono ospedalizzati presso i reparti di Geriatria e di Medicina Interna e quindi non ricevono necessariamente un indirizzo al corretto percorso e alla terapia appropriata e non vengono indirizzati dagli specialisti per il follow-up.
In molte realtà questo, prima che essere un problema organizzativo, è un problema di disponibilità presso gli ambulatori che non sono in grado di garantire un efficace follow-up a tutti i pazienti in tempo utile.

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