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Venerdì 14 GIUGNO 2024
Cirrosi epatica, i pazienti chiedono meno burocrazia e maggior accesso al teleconsulto 

Nella nuova puntata di The Patient Voice, Ivan Gardini (EpaC Ets), Ilenia Malavasi (Affari Sociali) e Francesca Ponziani (Pol. Gemelli)

Nel nostro paese ci sono dai 138mila alle 150mila persone con diagnosi di cirrosi epatica, a cui va aggiunto un “sommerso” di circa 100mila persone che ignorano di avere questa patologia. Questi sono alcuni dei numeri presentati da Ivan Gardini, presidente dell’Associazione EpaC Ets, nella nuova puntata di The Patient’s Voice, il format di Sics dedicato all’ascolto delle esigenze dei pazienti e al confronto con le istituzioni e i clinici. “Le nostre richieste sono comuni a quelle di molti altri pazienti affetti da malattie croniche e cioè meno burocrazia e un maggior accesso al teleconsulto”, sottolinea Gardini. Ospiti della puntata realizzata con il contributo incondizionato di AlfaSigma anche Ilenia Malavasi, Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati e Francesca Ponziani, Epatologa del Policlinico Gemelli di Roma.

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Le conseguenze della cirrosi epatica possono essere mitigate da trattamenti precoci
La cirrosi epatica è una patologia cronica del fegato, che limita la funzionalità di questo organo e che se non curata in tempo può essere fatale. È irreversibile, ma le sue conseguenze possono essere mitigate da trattamenti precoci. In particolare, la cirrosi consiste nella formazione di cicatrici fibrose che rendono più difficoltoso il flusso del sangue all’interno del fegato provocando un’ipertensione polmonare che può causare a sua volta a gonfiori addominali e delle gambe o emorragie. La presenza di cirrosi rende anche l’organismo più debole ed esposto a infezioni e a situazioni di malnutrizione.

Le cause più frequenti sono legate a infezioni virali e nel futuro a stili di vita
Contrariamente a quanto si pensi l’abuso di alcol è la causa di solo il 7% dei casi di cirrosi epatica. “Le cause più frequenti della cirrosi epatica sono i virus (dell’epatite, ndr)”, spiega Francesca Ponziani, specialista in Medicina Interna ed epatologa presso il Centro per le Malattie dell’Apparato Digerente (CEMAD) della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCSS. “Siamo però dinanzi a un cambiamento epocale perché, ad oggi, ci sono dei farmaci molto efficaci per curare definitivamente l’Epatite C, per tenere sotto controllo l’Epatite B e anche l’Epatite Delta. Nel futuro quindi – continua – assisteremo sempre più a un minor numero di casi di cirrosi associate ad infezioni virali. Tuttavia, ci aspettiamo che la cirrosi epatica sia largamente prevalente fra le persone che hanno delle condizioni metaboliche importanti. Questa è la problematica emergente dei nostri tempi. Sappiamo tutti che insomma la diffusione di uno stile di vita poco corretto può portare al fegato grasso e, in una parte dei casi, casi si può arrivare a sviluppare la cirrosi epatica”. Un capitolo a parte sono le malattie rare. “Che poi così rare effettivamente non lo sono – precisa Ponziani – e molte di queste coinvolgono anche i giovani: ad esempio le patologie autoimmuni del fegato, le steatosi e altri problemi come il morbo Wilson, ecc.”.

Diagnosi tardive aumentano il rischio di tumori
“Attualmente le informazioni su quanti siano esattamente le persone con cirrosi epatica sono molto scarse”, sottolinea Gardini. Questo rende la survey di EpaC molto preziosi. “In un’altra survey che abbiamo fatto su pazienti con tumore epatico abbiamo chiesto in quale stadio di gravità si trovasse la cirrosi: per il 67% intermedia e per l’11% finale. Questa survey – continua Gardini – è stata fatta nel periodo finale della pandemia e quindi abbiamo chiesto se il paziente aveva avuto difficoltà a fare i controlli e in effetti quasi il 50% le ha avute principalmente per le visite specialistiche, l’ecografia e la gastroscopia. Sono esami che sono fondamentali per un paziente cirrotico. Perché se si vuole fotografare l’andamento della malattia e l’insorgenza di un tumore, ogni 6 mesi come minimo devi fare un’ecografia o altro che stabilisce lo specialista. Qui insomma parliamo di ritardi 3-6 mesi o addirittura di un anno. Quando cominciamo ad avere questi ritardi nelle diagnosi fioccano poi tumori. Noi abbiamo ricevuto molte telefonate e di persone che si sono trovate nel giro di sei mesi anche metastasi. Le difficoltà dei pazienti si sono quindi acuite in pandemia”.

Il 63% dei pazienti costretto a migrare in più strutture
“Per arrivare a una struttura in grado di fare una diagnosi di tumore il 63% dei pazienti ha dovuto migrare in più strutture”, dice Gardini. “In un lavoro scientifico che ho intercettato proprio durante l’ultimo congresso della Congresso europeo per le malattie del fegato che si è svolto settimana scorsa, si spiega che se un paziente con Epatite C è guarito e oggi ce ne sono moltissimi, quasi 300.000 ormai, se c’è una cirrosi o una malattia avanzata comunque nel 3,6% dei casi c’è un’insorgenza di tumore. Quindi il paziente con cirrosi non deve abbandonare la struttura specialistica e deve fare i controlli come lo specialista raccomanda. Questo è fondamentale altrimenti appunto insorgono queste complicanze”. La survey di EPAC ha anche fatto luce su altri bisogni del paziente con cirrosi, che spesso ha bisogno di fare esami e visite. Quello che è emerso dall’indagine è un bisogno di “sburocratizzazione”. “Inoltre, i pazienti vogliono essere informati sulle sperimentazioni e vorrebbero avere interazioni online di controllo. Piace l’idea di fare una televisita, così come piace poter ricevere i farmaci a casa”.

C’è bisogno di accudire i pazienti nel proprio domicilio
Una richiesta di sburocratizzazione arriva anche dai clinici. “Ad esempio, anche durante la pandemia, un paziente con l’Epatite C – riferisce Ponziani – dovevamo farlo venire presso la nostra struttura più volte per ritirare semplicemente una confezione di farmaci. Questa è burocrazia che, in certi casi, sapendo che quella è la patologia e la terapia, che dura ad esempio 2 o 3 mesi, si potrebbe consegnare tutto all’inizio. Sarebbe una semplificazione anche per noi ridurre i flussi nell’ospedale e permetterebbe appunto di curare molti più pazienti perché riduce gli accessi di coloro che già sono comunque in trattamento e stabili. Chiaramente tutti sentiamo anche il bisogno di accudire i pazienti al domicilio per evitare che i pazienti, spesso anche appesantiti, debbano essere trasportati dai familiari. Ecco questi sono cose anche banali da risolvere ma su cui effettivamente c’è necessità di porre attenzione probabilmente per trovare una soluzione”.

Far diventare la casa il luogo di cura del paziente
“Le richieste che vengono dai pazienti sono di buonsenso”, commenta Ilenia Malavasi, deputata del Pd nella Commissione Affari sociali della Camera e nell’Intergruppo parlamentare “Epatiti virali e malattie del fegato”. “Soprattutto quelle di tipo organizzativo. Il lavoro che stiamo facendo e la riflessione anche molto accesa che c’è oggi nell’attuare una nuova medicina del territorio ci deve portare proprio a migliorare la presa in carico del paziente anche a domicilio. Sappiamo bene – prosegue – come l’obiettivo del PNRR è quello di far diventare la casa soprattutto per le cronicità il principale luogo di cura del paziente, che significa portare i farmaci a domicilio ma anche attivare la telemedicina e il telecontrollo per facilitare la vita del paziente e del nucleo familiare che spesso paga le stesse conseguenze nel dover supportare comunque le cronicità e le criticità. Dobbiamo passare da una sanità che è sempre stata centrata sull’ospedale e a una sanità che deve ruotare invece intorno al paziente”. Si tratta di un cambio di passo e di prospettiva che, secondo Malavasi, è anche realizzabile.

E’ grave che i cittadini debbano migrare per una presa in carico adeguata
“Per prendere atto delle richieste urgenti e pungenti che vengono dalla quotidianità dobbiamo sempre ricordarci che fuori dalle stanze dove ci troviamo a discutere ci sono pazienti che hanno urgenze quotidiane, che non si possono permettere di aspettare perché viene compromessa la qualità della loro vita e la vita stessa in certi casi”, sottolinea Malavasi. “Quindi abbiamo bisogno di essere più efficaci e sentire che ancora oggi ci sono pazienti che devono migrare in tanti centri e che a volte devono cambiare anche Regione per trovare magari un centro specialistico che fa una presa in carico appropriata, è un dato grave. E’ la priorità – conclude – se vogliamo far funzionare o rimettere in cammino un sistema sanitario che io penso sia prezioso, che ha degli ottimi professionisti ma che alcuni elementi di criticità su cui dobbiamo assolutamente lavorare”.

Valentina Arcovio

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