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Venerdì 31 MAGGIO 2024
Corte di Cassazione torna ad interessarsi sulla responsabilità medica in caso di lavoro in equipe

Sancito il principio per cui in presenza di situazioni ad alto rischio, il medico, anche in mancanza di specifici segnali di allarme, è tenuto ad adottare tutte le cautele del caso, come disporre un attento regime di monitoraggio del paziente, nonché l’effettuazione ad opera del personale qualificato di tutti i necessari controlli, onde evitare eventi lesivi.

La Corte di Cassazione torna ad interessarsi di responsabilità in caso di lavoro di equipe. In particolare, con questa recente sentenza, sancisce il principio per cui in presenza di situazioni ad alto rischio, il medico, anche in mancanza di specifici segnali di allarme, è tenuto ad adottare tutte le cautele del caso, come disporre un attento regime di monitoraggio del paziente, nonché l’effettuazione ad opera del personale qualificato di tutti i necessari controlli, onde evitare eventi lesivi.

Il caso riguarda una paziente, alla quinta gravidanza, sottoposta a taglio cesareo programmato. Il post-intervento nell’immediato, si mostra con decorso regolare salvo a distanza di poche ore invece scadere in un grave quadro di shock ipovolemico, con “dispnea, ipotensione, tachicardia, abbondanti perdite dai genitali esterni”. Dopo un infruttuoso tentativo di terapia farmacologica, viene praticata una laparotomia esplorativa e, poco dopo, una laparoisterectomia, con diagnosi di atonia uterina postcesareo. Nel corso dell’intervento, la donna ha un arresto cardiocircolatorio, viene rianimata e trasferita al reparto di rianimazione, dove decede una settimana dopo.

Nei primi due gradi di giudizio vengono condannati sia l’ostetrica che il primo operatore.

Le contestazioni addebitate ai sanitari riguardano non tanto la corretta esecuzione dell’intervento quanto piuttosto la gestione e il monitoraggio delle prime ore immediatamente successive al parto, che evidenziano gravi carenze. Cruciale è l’individuazione dei responsabili nell’avvicendamento dei ruoli di un garante con l’altro, del chirurgo che lascia le consegne a chi subentra nel monitoraggio della paziente.

La difesa dell’operatore richiamando il principio dell’affidamento afferma che “può rispondere dell’errore o dell’omissione solo colui che abbia in quel momento la direzione dell’intervento o che abbia commesso un errore riferibile alla sua specifica competenza medica, non potendosi trasformare l’onere di vigilanza in un obbligo generalizzato di costante raccomandazione al rispetto delle regole cautelari e di invasione negli spazi di competenza altrui”. La Corte di Cassazione nella sentenza oggetto di commento rigetta tali affermazioni: “Nel caso di specie, proprio perché al quinto parto cesareo, la paziente presentava un elevato rischio di atonia uterina ed era dunque notevolmente esposta al pericolo emorragia, e ciò anche in considerazione del fatto che il taglio cesareo era stato eseguito, per necessità, in una zona più alta dell’utero, maggiormente vascolarizzata e dunque con rischio di maggiore perdita ematica nell’immediato e di complicazione a lungo termine. La tempestività d’intervento era dunque essenziale per evitare esiti irreversibili, quali quelli verificatisi.

In questo contesto, il chirurgo primo operatore, nonché ginecologo di fiducia della paziente, era gravato – nella sua posizione di garanzia – di un dovere di diligenza particolarmente pregnante, che avrebbe dovuto tradursi nel dare, all’esito dell’intervento chirurgico, specifiche direttive per un monitoraggio post partum costante e scrupoloso, volte a garantire un intervento tempestivo in caso di necessità, adempimento che sarebbe mancato nel caso concreto.”

Per il Giudicante la posizione di garanzia del capo dell’equipe chirurgica non è limitata all’ambito strettamente operatorio, ma si estende al contesto postoperatorio…. giacché il momento immediatamente successivo all’atto chirurgico non è avulso dall’intervento operatorio.

Le esigenze di cura ed assistenza del paziente devono poi essere, con tutta evidenza, rapportate alle peculiarità del caso concreto.

“In conclusione, deve affermarsi il principio secondo cui, in presenza di situazioni ad alto rischio, il medico, pur in mancanza di specifici segnali di allarme, è tenuto ad adottare tutte le cautele del caso e, in particolare, a disporre un attento regime di monitoraggio della paziente, nonché l’effettuazione ad opera del personale qualificato di tutti i necessari controlli, onde evitare eventi lesivi.”

Per quanto concerne il ruolo rivestito dall’ostetrica, la Corte afferma trattarsi di “figura infermieristica molto professionalizzata e specifica cui, pertanto, spetta, anche in autonomia, procedere al monitoraggio dei parametri vitali della puerpera.” Alla luce di tale ricostruzione, le è stata addebitata una condotta negligente ed imperita per non aver monitorizzato il decorso della paziente, sia per essersi limitata, “nonostante le condizioni della (…) evolvessero in maniera critica, stanti il pallore e lo stato di agitazione”, a somministrarle una bustina di zucchero.; in conclusione “spettava proprio all’ostetrica (…) monitorare, anche in autonomia, la situazione, per poi avvisare il medico in caso di necessità che ella da sola non avrebbe potuto fronteggiare.”

Paola Frati
Professore Ordinario e Coordinatore Sezione Dipartimentale di Medicina Legale della Sapienza Università di Roma

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