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Lunedì 13 MAGGIO 2024
Ortopedia. Al Policlinico Abano impiantata una protesi in titanio “su misura” stampata in 3D per sostituire l’astragalo

Il paziente, 61 anni, affetto da necrosi avascolare idiopatica associata ad artrosi, condizione che porta l’osso interessato, in questo caso parte dell’articolazione della caviglia, a collassare. La procedura, grazie all’elaborazione tridimensionale delle immagini della tac, consente di accoppiare la protesi standard della tibia a una “custom made” dell’astragalo in titanio, realizzata con stampante 3D, e di eseguire un allineamento osseo con precisione millimetrica

Al Policlinico Abano è stata impiantata per la prima volta una protesi per sostituire l’astragalo, un osso che è parte dell’articolazione della caviglia. L’intervento, eseguito con una tecnica che prevede un approccio “personalizzato” e in 3D, è stato effettuato su un paziente di 61 anni, operato venerdì scorso e dimesso stamattina, affetto da una grave necrosi avascolare idiopatica (AVN) associata ad artrosi, una condizione patologica che porta l’osso interessato a collassare.

Lo specialista Andrea Valcarenghi, responsabile dell’unità funzionale di Chirurgia del Piede e della Caviglia del reparto di Ortopedia e Traumatologia, in collaborazione con il professor Antonio Volpe, senior consultant, e i colleghi Marco Zamperetti, Fulvio Ferraresi e Luca Di Lenarda, ha utilizzato una metodica che, grazie all’elaborazione tridimensionale delle immagini della tac prima dell’intervento, consente di accoppiare la protesi standard della tibia a una “custom made” dell’intero astragalo e di eseguire un allineamento osseo con precisione millimetrica.

E’ una soluzione chirurgica, impiegata solo in casi selezionati e molto rari, che si può utilizzare quando viene riscontrata questa grave forma di necrosi, che causa molto dolore e limita in maniera significativa la deambulazione, con conseguente zoppia, e lo svolgimento delle attività quotidiane. Se l’astragalo si sbriciola, perché non è alimentato da un sufficiente afflusso di sangue, non si può procedere alla protesica tradizionale con componenti che si appoggiano alla superficie dell’osso, ma bisogna ricorrere a una ricostruzione completa della parte danneggiata grazie allo studio della tac 3D eseguita su entrambe le caviglie.

“La caviglia – spiega il professor Antonio Volpe - è un’articolazione dalla biomeccanica particolare. Ha una superficie molto piccola, che subisce sollecitazioni importanti legate al carico che ciascuno di noi produce a ogni passo. Inoltre, a differenza delle articolazioni di ginocchio e anca che sono isolate, la caviglia è inserita in un contesto di collegamento tra gamba e piede, messi a loro volta in contatto dall’articolazione tibio-tarsica. Ecco perché programmare un intervento di protesi di caviglia non è così semplice e occorre mettere in conto una serie di fattori secondari all’assetto del piede o all’allineamento delle estremità di tibia e perone”.

In questo settore la struttura veneta ha già al suo attivo una consolidata casistica nella protesica di caviglia tra le più ampie d’Italia.

Dopo la valutazione clinica del paziente, si procede all’acquisizione di una tac tridimensionale delle caviglie, che permette una rilevazione precisa della forma e delle dimensioni dell’osso da ricostruire da parte di un laboratorio di un’azienda italiana. “Una volta studiato accuratamente il caso – spiega il dottor Andrea Valcarenghi -, gli ingegneri del laboratorio progettano le guide che serviranno per il posizionamento della componente tibiale e ricostruiscono l’intero osso astragalico in titanio che, durante l’intervento, verrà accoppiato con la protesi attraverso un menisco in polietilene. Solo a seguito dell'approvazione da parte del chirurgo ortopedico verrà avviata la produzione dei componenti”.

In sala operatoria, infine, si procede all’intervento grazie all’utilizzo di un sistema di centraggio radiologico che permette un corretto posizionamento delle guide e delle protesi così come è previsto dal modello virtuale.

“E’ importante offrire ai pazienti con una necrosi totale dell’astragalo questa metodica chirurgica. In alternativa, dovrebbero sottoporsi a un’artrodesi, ovvero a una fusione articolare con evidenti svantaggi dal punto di vista bio-meccanico, soprattutto nella deambulazione, perché questa tecnica crea una rigidità nel movimento della caviglia”, aggiunge il professor Antonio Volpe.

Questo tipo di impianto, inoltre, è più accurato rispetto alla tecnica di impianto “manuale”, che non prevede una vera personalizzazione della procedura e dei componenti. “Con questo intervento – spiega il dottor Andrea Valcarenghi – il chirurgo può offrire una soluzione per un trattamento personalizzato. Si riducono, inoltre, i tempi di esecuzione dell’intervento e di recupero post-operatorio e saranno più brevi il ricovero e la ripresa della mobilità. Inoltre, la minore esposizione tessutale consente un miglior controllo del dolore dopo l’operazione”.

Di fronte a una patologia così invalidante, questa è una soluzione che raggiunge gli stessi risultati ottenuti dalla moderna ortopedia a livello delle altre articolazioni maggiori portanti. “Il paziente – conclude Valcarenghi - può ottenere una buona funzionalità della tibio-tarsica, eliminare o ridurre il dolore in maniera significativa e avere risultati duraturi nel tempo”.

La degenza standard è di due o tre giorni con inizio della riabilitazione fisioterapica, in collaborazione con il reparto di Riabilitazione Funzionale, a tre-quattro settimane dopo l'intervento. In questo periodo il paziente deve indossare un tutore di immobilizzazione, che può essere rimosso per le medicazioni e per eseguire esercizi di mobilizzazione della caviglia da iniziare già dopo una settimana dall’operazione.

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