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Gentile Direttore, La legittima richiesta si scontra con l’attuale modello organizzativo, troppo frammentato, nonostante la presenza delle Cooperative di MMG e con l’impianto contrattuale attuale, troppo ancorato a modelli di remunerazione capitaria, che ne rendono difficile la sua concreta applicazione. Anche in questo caso quindi bisogna a mio avviso cambiare paradigma, sia dal punto di vista organizzativo sia dal punto di vista contrattuale per passare dalle affermazioni ai fatti. Dal punto di vista organizzativo ricordo quando nella prima riforma lombarda, la L.R. 23/2015, abbiamo provato a coinvolgere i MMG nella predisposizione dei famosi PAI (piani assistenziali individuali) per le patologie croniche: è stato faticoso. Ma è la strada necessaria per garantire accesso alle cure equo ed appropriato per i cronici e gestire l’appropriatezza prescrittiva. Devo dire che ci si è fermati e dai dati contenuti nel Piano Socio Sanitario di Regione Lombardia recentemente pubblicato si evince che solo il 10% dei 3 milioni di pazienti cronici lombardi risulta preso in carico. Questi pazienti sono quelli che generano poi il 70% delle prestazioni in termini di spesa di ricovero, farmaceutica ed ambulatoriale. Quindi Bisogna concentrarsi su questi se vogliamo garantire equità e sostenibilità delle cure. Bisogna però altresì imparare dagli errori e capire che le rivoluzioni di approccio devono comportare percorsi bottom up condivisi e nuove modalità di interazione. Per esperienza personale ho trovato flessibilità e volontà in diversi casi a lavorare su nuovi paradigmi organizzativi da parte di diversi MMG. Sono infatti convinto che aldilà degli aiuti tecnologici derivanti da piattaforme informatiche interoperabili (ovvero che consentano a medici di evitare doppi o tripli accessi alle posizioni dei pazienti per generare piani e/o prescrizioni) o dall’adozione delle piattaforme di telemedicina, fondamentale sarà definire prima ruoli e responsabilità dei processi di pressa in carico. Insomma bisogna ripartite dal chi fa che cosa/quando valorizzando l’esperienza fatta ed anche facendo tesoro degli errori commessi. Per abbandonare la sterile polemica delle case della salute che rappresentano solo operazioni immobiliare o al meglio di restyling di strutture esistenti vanno valorizzati e misurati i processi interni multidisciplinari che si sviluppano all’interno delle strutture territoriali fra operatori della salute e socio sanitari. L’ingaggio con i medici di medicina generale deve essere rivisto per una aderenza ai percorsi che passi da una dimensione sperimentale ad una dimensione industriale e massiva. Come noto per gestire in maniera efficace le patologie croniche vanno definiti i percorsi di presa in carico riadattati alla logica della dimensione del DM 77 che prevede l’interazione con gli infermieri di famiglia e di comunità e con gli assistenti sociali. Inoltre delle 64 patologie croniche definite all’interno dalla Banca Dati Assistiti della Regione Lombardia oltre il 70% della numerosità per soggetto e per spesa è concentrata all’interno di 5-6 patologie croniche maggiormente ricorrenti. Quindi si tratta di pochi PDTA che vanno riverificati in queste direzioni: Questa strada riduce drasticamente le prestazioni inappropriate della classe P, la’ dove si annidano con maggiore frequenza ed anche quantità’ (le P rappresentano il 60-70% delle prime visite) – e consente di tramutarle da “Programmate a Presa in carico” con un approccio più efficace rispetto a quello sbagliato di aumento dell’offerta per ridurre le liste di attesa, effettuata attraverso aperture ambulatoriali fuori orario o festive, che genera, come sappiamo, ulteriore richiesta inappropriata, Infine è solo attraverso l’applicazione del PDTA che riusciremo a determinare il vero fabbisogno di personale all’interno delle Case delle Comunità. Non ha infatti molto senso, a mio modo di vedere, definire uno standard fisso di risorse da assegnare come ipotizza il dm 77. Va invece determinata, una stima basata sul carico di lavoro in base ai pdta sulla popolazione prevalente da gestire. Questi approcci di presa in carico sulle patologie croniche poi vanno applicati per remunerare i Medici di Medicina Generale in ottica diversa da quella capitaria. La remunerazione dei MMG può infatti in parte essere agganciata agli esiti di salute sui percorsi di presa in carico dei pazienti cronici. Anche in tal senso esistono modelli e sperimentazioni già applicati. Si tratta di applicarli. È infatti dimostrabile che l’aderenza ai PDTA crea per il sistema nel complesso una minore spesa complessiva che in parte può essere anche restituita ai medici di medicina generale che la applicano virtuosamente con i propri pazienti con un doppio vantaggio, per il paziente e per il sistema. Necessario poi andare a misurare quale sia il ritorno, ecco il tema del value based management, in termini di riduzione dei fenomeni di accesso inappropriato nei PS, riduzione delle prestazioni inappropriate ai fini del governo dei tempi di attesa e di riduzione dei fenomeni di riacutizzazione delle patologie croniche con minor ricorso al ricovero. Tutto questo genera esito per i pazienti in termini di salute accesso equo ed appropriato e sostenibilità. Strada faticosa ma necessaria. Mario Alparone
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Mercoledì 03 APRILE 2024
Medicina del Territorio: è necessario cambiare il paradigma organizzativo
leggo che il Ministro Schillaci ha ribadito in un suo recente intervento quanto sia importante il ruolo dei MMG anche in relazione alla attivazione delle Case della Comunità. Concordo pienamente. Ora si tratta di campire come.
L’approccio è sempre lo stesso:
- definire le patologie prevalenti in base all’analisi epidemiologica del territorio;
- identificare i PDTA prevalenti;
- in base alle prestazioni dei PDTA definire nr e qualità di prestazioni da erogare come visite e prestazioni strumentali;
- associare gli FTE (full time equivalent) necessari come clinica, assistenza infermieristica e supporto amministrativo per l’erogazione.
Già Direttore Generale in diverse aziende sanitarie
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