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Lunedì 04 MARZO 2024
Ecco perché la questione medica non è più rinviabile



Gentile direttore,
la notizia di un pamphlet di Ivan Cavicchi e per di più sul tema malagevole, scottante, scivoloso della responsabilità medica quasi “dedicato” alla commissione D’Ippolito, che fra un paio di mesi concluderà i suoi lavori, non può che essere benvenuta.

Questo “giocare di anticipo” come spiega lo stesso Cavicchi nel suo articolo dell’altro giorno proponendo una discussione, (QS, 1° marzo 2024) oltre che mostrare da parte sua una condivisibile preoccupazione per la sorte della professione, suggerisce la necessità di evitare di perseverare su una linea di indirizzo di leggi protezionistiche che sarebbero male interpretate dai cittadini che potrebbero interpretarla come una sorta di impunità incomprensibile per i medici. Ben altro temo ci voglia per arginare il conflitto sociale in atto contro di noi.

A giudicare dal suo articolo dell’altro giorno, illuminante, temo che il suo nuovo pamphlet, che ho appena ordinato, sarà ragione di imbarazzo non solo per la commissione D’Ippolito ma anche per la Fnomceo, per il sindacato e per tutti coloro che ormai dalla Balduzzi in avanti chiedono tout court depenalizzazione dell’atto medico e che Cavicchi con un po’ di ironia li ritiene iscritti ad un partito di “downsizing”.

Un partito che sulla professione apparentemente ha rinunciato a portare a termine le discussioni iniziate, ma mai concluse, su quella che in passato abbiamo chiamato “Questione Medica” e sulla quale io stesso rinunciai a fare una lista per il Comitato Centrale, vedendo accolto il “documento manifesto” approntato con una decina di Ordini, che la poneva come questione centrale anche in quella che poi è risultata essere unica lista per la consigliatura in elezione. In effetti gli Stati Generali della professione vennero lanciati ma mai conclusi.

Così siamo rimasti senza strategia, senza un progetto, quasi senza futuro, e ora, spaventati dall’aggressione costante di cui siamo fatti oggetto, pare si giochi arroccati totalmente in difesa, con obiettivo principe ottenere scudi sociali, riduzione della complessità dei problemi con iscrizione dei conflitti sociali a “banali” in liti giudiziarie.

Downsizing, argomenta Cavicchi, perché si rimpiccioliscono le contraddizioni fino a banalizzarle, senza rendersi conto che rimpicciolire la crisi profonda della nostra professione significa rimpicciolire la professione stessa riducendola a quello che non dovrebbe essere mai cioè a una professione banale quindi tutt’altro che “impareggiabile” (il riferimento è al volume la “scienza impareggiabile” di 2 anni fa)

La medicina amministrata continua.

Nel leggere l’articolo di Cavicchi mi sono convinto che una sua idea chiave per capire i nostri guai come professione sia quella descritta nella “questione medica” del 2015 e definita con l’espressione “medicina amministrata” da lui stesso in questi anni richiamata molte volte. I guai della nostra professione iniziano quando si riaffermano doverosamente i diritti costituzionali per i cittadini ma allo stesso tempo esplodono nostro malgrado i problemi finanziari della sanità. Mentre i cittadini accrescono il loro potere a noi medici il potere viene tolto perché si pensa di contenere la spesa sanitaria pubblica amministrando la nostra professione intendendola solo come un fattore di costo. Non solo, ma anche da amministrare e che per essere amministrato si implica che si amministrino le nostre decisioni! Come se noi non si fosse né una scienza con le proprie regole né una professione pensante! Il colmo!

Credo di capire che il timore di Cavicchi di vedere il medico -in ragione di più cose- ridotto a server, concretizzi definitivamente l’amministrazione della nostra professione come cosa fatta nelle aziende e con la prospettiva di rotolare, sempre amministrati dalle aziende alle assicurazioni.

Se è vero, come teme Cavicchi, che i client che dovremmo servire come server saranno le assicurazioni è del tutto chiaro che la nostra professione perderà quel poco di autonomia che gli è rimasta e diventerà inevitabilmente una professione banale.

Principi o ranocchi.

Una decina di anni fa Cavicchi si chiedeva preoccupato se i medici alle prese con la loro crisi di identità avrebbero dovuto essere “principi” o “ranocchi” e si chiedeva che differenza vi fosse tra “essere medici” e “essere dei meccanici” e spiegava la differenza che esisteva tra “l’appropriatezza” perseguita ottusamente dalla aziende come limite imposto ai medici e la “propriety”, intesa invece come qualità professionale dei medici e alla fine ci spiegava la sua idea di medico “autore”. (I Cavicchi la questione medica e book 2015)

Ma non c’è dubbio che se, come pare, ad amministrare i medici in futuro saranno le assicurazioni i medici saranno ranocchi e non principi; non saranno più medici ma meccanici e saranno sempre più schiavi di una idea tirannica di appropriatezza e quindi non saranno mai gli “autori” che sogna Cavicchi ma saranno “server” di un sistema di interessi gigantesco.

La metafora dei rinoceronti. La cosa che Cavicchi sta provando a prefigurare, e che, secondo me, sbaglieremmo a non cogliere, è che, se le nostre disgrazie di medici sono iniziate con i problemi finanziari della sanità e oggi gli stessi problemi rischiano di aggravarsi in modo radicale con quelli di cui si occupa la commissione D’Ippolito. Cioè, a causa del contenzioso legale che contrappone i medici ai cittadini. Cioè, a causa dei “rinoceronti” come scrive Cavicchi con una straordinaria metafora, “lunga quattro metri e che pesa circa tre tonnellate e mezzo” che ci sono entrati in casa e che rischiano di far saltare tutta la cristalleria.

A noi medici non è venuto in mente, almeno fino ad ora, di fare un’alleanza e un accordo con i rinoceronti ma da subito li abbiamo considerati dei nemici e degli avversari per questo abbiamo chiesto alla commissione D’Ippolito la depenalizzazione dell’atto medico, il no fault, cioè la monetizzazione dei nostri errori, la lite temeraria e altre cose giuridiche. Ma non paghi, come spiega Cavicchi nl suo articolo, affondando il coltello nella piaga, abbiamo chiesto per non avere responsabilità ex delitto di uscire dal contratto sociale, cioè di modificare la responsabilità civile cioè quella responsabilità professionale che sorge in conseguenza del compimento di un fatto illecito, doloso o colposo, che cagioni ad altri un ingiusto danno (art. 2043 del c.c.). Quindi abbiamo chiesto di poter rompere il rapporto con la fiducia sociale dei cittadini.

Saranno le assicurazioni i nostri nuovi padroni?

Queste richieste potrebbero portarci tutte verso un ruolo sempre più preminente delle assicurazioni e quindi ci portano come medici sempre più a diventare dei “ranocchi” scordandoci di essere stati una volta dei “principi”. E una volta sotto le assicurazioni ci dobbiamo togliere dalla testa il discorso della ‘autonomia professionale’ con la quale stiamo andando avanti da anni nei nostri congressi.

Mi ricordo che qualche anno, fa sempre Cavicchi in un articolo -come al solito profetico-, si chiedeva se i medici fossero ancora liberi (QS 8 dicembre 2013). Credo che sia chiaro che oggi se i medici una volta erano liberi con il contenzioso legale sul collo, con le assicurazioni lo saranno sicuramente molto meno. Ma non possiamo farne colpa alle assicurazioni stesse: non possiamo chiedere loro ciò che a loro non compete. Debbono rispondere ad una logica di mercato e giusto profitto e con i medici ed i rischi che si corrono ad assicurarli questo non può essere garantito.

Essere indenni dai rischi professionali. Proprio su questo giornale pochi giorni fa (QS 26 febbraio 2024) leggevo che è stato approvato il decreto che definisce i requisiti delle polizze assicurative per strutture ed esercenti e le importanti perplessità della Fondazione Italia in Salute (un ente del terzo settore). Non sono un esperto della materia per cui mi riservo di approfondire cosa voglia dire questo decreto ma una cosa mi è chiara, ed è che chi assicura sia le strutture che gli esercenti professionali si deve “impegnare”a tenere indenne la struttura dai rischi derivanti dalla sua attività” e “risarcire danni eventuali” mi resta da capire meglio “come” faranno le assicurazioni ad impegnarsi e chi paga i risarcimenti cioè vorrei capire se i costi per le coperture assicurative toglieranno soldi ai servizi e alle retribuzioni dei medici. Perché, se così fosse davvero saremmo in bel guaio.

Depenalizzare l’impareggiabilità della medicina e della professione. Insomma, io non vedo l’ora di leggere il pamphlet di Cavicchi che sono sicuro ci darà come è suo solito una mano a capire i “casini” in cui ci troviamo ma anche a trovare (spero) delle soluzioni!

La sua idea accennata nel suo articolo di una depenalizzazione dell’impareggiabilità della medicina quindi della complessità della professione, è semplicemente affascinante perché ha ragione Cavicchi quando ci ricorda che la complessità della medicina non è colpa dei medici e non può essere a loro addebitata, per cui una idea del genere ci aiuterebbe a non rompere il contratto sociale con i cittadini e a rilanciare i rapporti fiduciari. Ma come dice Cavicchi per fare una cosa del genere ci vuole intanto una ridefinizione giuridica del medico, del suo ruolo.

Vorrei ricordare (come già accennato) che alla presentazione di un mio ordine del giorno sottoscritto da molti colleghi e presentato e approvato nel 2018 al Consiglio Nazionale della Fnomceo, la Federazione per mezzo del suo nuovo presidente (il collega Anelli) si era impegnata a definire un “cambio di passo” quindi una “nuova magna carta del medico” con la quale definire un nuovo ruolo della professione medica.

Questa “magna carta “della professione non è mai stata fatta e meno che mai si è provveduto a ridefinire giuridicamente il ruolo del medico. Temo che questa ridefinizione al fine proprio di depenalizzare la professione dalle complessità di cui non è responsabile oggi per come si stanno mettendo le cose sia ormai non più rinviabile. Anzi sono sempre più convinto che per scongiurare il peggio questa ridefinizione sia diventata ormai obbligatoria.

Un ringraziamento.

Ma vorrei chiudere, rendendo pubblica una notizia che ignoravo e che ho saputo da alcuni colleghi dell’Anaao e che vorrei segnalare a tutti: il premio 2023 dato dalla Redazione di AN@AOnline, a Cavicchi, per il miglior personaggio dell’anno. La notizia del premio mi ha colpito perché io che conosco Cavicchi da vicino e da molti anni, so che egli in realtà è il personaggio meno premiato della sanità, il più scomodo per tutti e che nessuna commissione, compresa ovviamente la commissione D’Ippolito, si sognerebbe di audire. Per cui complimenti all’Anaao dell’Emilia-Romagna che ha voluto premiare quella che è stata definita nella motivazione ufficiale “la visione post moderna della sanità”. E naturalmente complimenti anche a Cavicchi che per me resta un vero maitre a pensér che, in realtà dopo quelli storici che abbiamo avuto al tempo della 833, è l’ultimo che ci è rimasto, e al quale e a nome della mia tormentata professione (quella che per ovvie ragioni non può che essere amica dei rinoceronti”) dico semplicemente grazie.

Giancarlo Pizza
Vicepresidente OMCeO Bologna

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