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Che Paese strano, direbbe del nostro un brillante licenziato da un corso di studi all’École nationale d'administration francese (ENA) fucina di alta burocrazia con alto senso dello Stato tanto da annoverare tra i suoi licenziati diversi presidenti e ministri. Lo direbbe facendo la conta dei provvedimenti legislativi esistenti ma che non si applicano per assenza di decreti attuativi. Lo direbbe soprattutto di quelli che non si applicano senza bisogno che ci siano ulteriori provvedimenti da adottare, perché le Regioni tifano per l’evasione delle regole costituzionali. Ciò nel senso di non ottemperare a legiferare nel dettaglio ma anche ad eludere la ricaduta di una legge nazionale importante qual è quella annuale per il mercato e la concorrenza. E’ quanto sta accadendo da due anni con le modifiche, apportate dall’art. 15 della legge per il mercato e la concorrenza del 2021 alla disciplina di rilascio dell’accreditamento istituzionale da parte delle Regioni e alla stipulazione dei contratti tra gli accreditati e, prevalentemente, le aziende sanitarie. E dire che le leggi di concorrenza sono così fondamentali per il mercato e, dunque, per generare una UE realizzata, tanto da costituire una condizione essenziale per godere delle risorse del PNRR. Una importanza tale da fare richiamare il presidente Mattarella nel discorso di fine anno ad una maggiore puntualità ed esaustività delle leggi della concorrenza, pretendendo in esse ogni genere di incongruenza con il diritto dell’Unione Europea. Ritornando al tema delle leggi che ci sono ma che rimangono solo sulla carta, nonostante applicabili dal giorno dopo, è appena il caso di sottolineare la mancata applicazione delle modifiche introdotte dall’anzidetto art. 15 della legge 5 agosto 2022 n. 118. In buona sostanza, si è continuato gestire l’erogazione privata, da parte di tutte le Regioni, come se nulla fosse avvenuto. Anzi si è dato corsa “ai saldi”, affollati peggio di come avviene nelle svendite londinesi di Harrod. Si sono concessi accreditamenti “ad orecchio” senza lo “spartito” nel quale sviluppare alcuna analisi comparativa con l’offerta sociosanitaria esistente dalla quale estrarre il fabbisogno epidemiologico da soddisfare attraverso nuovi accreditati/contrattualizzati. Tanta folla alle porte dell’introdotta autorizzazione per l’assistenza domiciliare, che costituirà - da una parte - uno strumento assistenziale indispensabile e utilissimo agli impossibilitati a deambulare e - dall’altra - un grande business che vale ben oltre le lunghe fila di attesa, in questo periodo inesistenti perché funzionanti le corsie privilegiate. Questo è il risultato delle nuove regole introdotte dalla legge del mercato e della concorrenza 2021, non rese operative da alcuna Regione. Il tutto fa supporre non solo l’inutilità delle regole moralizzatrici che l’UE pretende per legittimare una corretta concorrenza, ma anche un sistema regionale, considerato nel suo insieme, che è funzionale non al rispetto delle leggi ma alla tutela del privato, molto dello “amico”. In una siffatta logica, prescindendo dall’assenza di un siffatto rispetto da parte del decisore regionale, inadempiente a perfezionare apposite leggi di dettaglio persino nelle fila delle minoranze, è da registrare al riguardo una sorta di complicità amministrativa nel non adempiere secondo regole statali da parte delle dirigenze destinate al rilascio dei rispettivi provvedimenti. Il gioco delle compiacenze è quel ”divertimento” che ci rende diversi negativamente dagli omologhi europei, più attenti all’applicazione delle leggi e più rigorosi nell’istruire e adottare gli atti amministrativi relativi. Quindi nonostante la presenza regolatoria in atto dal 2022 si continua a fare ciò che si è fatto sempre, spesso ad accontentare gli amici in lungo e in largo, con una burocrazia competente per funzioni (non si sa fino a che punto sulle conoscenze reali) che costituisce un elemento facilitatore dei desiderata della politica, quella che si dichiara europeista ma senza applicare le regole che l’UE pretende e che lo Stato sancisce. Senza fabbisogno non si fa sana programmazione Tutto questo nasce dalla grossolana sottovalutazione che si è assicurata alla rilevazione del fabbisogno epidemiologico il quale, anziché essere correttamente ritenuto il motore portante della programmazione sanitaria, da misurare sui territori regionali con la dovuta ragionevolezza e scienza, lo si è irragionevolmente desunto dai dati forniti con la solita obsolescenza dall’Istat piuttosto che da un sistema di rilevamento/rendicontazione generica basato sui flussi trasmessi dalle Regione desunti a casaccio per guadagnare il più possibile premialità spesso non altrimenti godibili. Il tutto con una Agenas che sul tema continua ad essere ininfluente e improduttiva, impegnata così com’è ad elaborare studi fini a se stessi. Così facendo, non si sono quindi formalizzati gli strumenti preparatori pretesi dal legislatore del 1978, consistenti nella mappa del fabbisogno di salute con la conseguente emersione della mappa dei rischi epidemici, direttamente connessi a quella che era la raccolta degli indici di deprivazioni socioeconomici-culturali della popolazione di riferimento, sul quale insieme redigere l’intervento dei servizi sanitari regionali programmati per il prossimo triennio. Quindi, nessun rilievo e nessuna programmazione che fosse degna di chiamarsi tale, tanto da non consentire più alcuna redazione del programma sanitario nazionale dal 2006 in poi. Senza programmazione non c’è misura per l’accreditamento Di conseguenza, era naturale che accadesse l’ancora peggio, sul piano delle garanzie sulla sicurezza e idoneità dei luoghi di diagnosi e cura. A tutt’oggi, infatti, in diversissime aree del Paese non sono state rilevate neppure le strutture ospedaliere pubbliche degne - quantomeno sul piano strutturale (solo per non infierire sullo status quo di talune regioni, si trascura volutamente quello organizzativo e tecnologico, solo perché impediti dal divieto di assunzioni e dai discrimini di finanziamento in conto capitale) - di rilascio di accreditamento. Un gap che ha inficiato, per differenza, la determinazione del fabbisogno da coprire con il ricorso agli erogatori privati, individuati ovviamente per offerta specialistica ambulatoriale, per ospedaliera, ordinaria e diurna, afferente alla cura medica e chirurgica, per riabilitazione, per istituzionalizzazione per gli affetti da cronicità e per le persone in fase terminale. Tutto questo ha portato che in alcune Regioni persistessero a tutt’oggi presidi ospedalieri sprovvisti di accreditamento istituzionale, in quanto tali non abilitati al ricovero. Per altri versi è capitato di altro, come naturale conseguenza del primo, ovverosia si è proceduto, per decenni, al rilascio degli accreditamenti in favore dei privati a mano libera, senza limiti imposti dalla programmazione mirata assente, rappresentativa dell’offerta pubblica. Dunque, si è costituito a dismisura un esercito di accreditati privati non già misurati per differenza con le rispettive offerte assicurate dal sistema direttamente gestito dai servizi sanitari regionali, sino ad arrivare a pratiche di rinnovo che a ritenerle fuori legge non ci si sbaglia mica. La sopravvenuta lettera delle disposizioni riguardanti accreditamento e contratti Venendo nello specifico alla ripetuta legge sulla concorrenza n. 118/2022, è da precisare che essa costituiva l’occasione giusta per cambiare in meglio le leggi regionali di riferimento specifico e per ricercare soluzioni all’ambaradan determinato con una eccessiva offerta di accreditati privati, peraltro che si autogenera annualmente anche attraverso gli istituti di estensione delle attività così come con il ricorso inappropriato, per esempio, alla voltura del titolo giuridico. La legge 2021 per il mercato e la concorrenza ha cambiato tutto (sulla carta, però) in tema di criteri di rilascio dell’accreditamento istituzionale e di stipulazione dei contratti degli accreditati con le aziende sanitarie. Il titolo dell’art. 15 (Revisione e trasparenza dell’accreditamento e del convenzionamento delle strutture private nonché monitoraggio e valutazione degli erogatori privati convenzionati), che disciplina per l’appunto le modifiche ai rispettivi artt. 8 quater e quinques, la dice lunga sullo stato di confusione cui si faceva riferimento nell’attribuire un valore economico all’accreditamento. Cosa cambia con la legge annuale della concorrenza. A leggere bene il disposto, muta molto e in meglio la disciplina, sia a garanzia della qualità di prestazioni essenziali erogate all’utenza che di velocizzazione degli ammortamenti degli investimenti tecnologici degli imprenditori impegnati, che si vedrebbero facenti parte di una categoria forse numericamente più ristretta ma più tutelata in termini di raccolta della domanda. L’accreditamento avrebbe già dovuto essere concesso in relazione alla qualità e ai volumi da erogarsi per il soddisfacimento del fabbisogno e, quanto al rinnovo e alla sua estensione, sulla base dei risultati dell’attività svolta, da doversi quindi misurare annualmente anche in termini di qualità. I contratti sarebbero da stipularsi, da oltre un anno, con le aziende sulla base della programmazione sanitaria regionale, che quindi andrebbe fatta bene al fine di determinare il ricorso alla erogazione privata per tipologia di prestazione. Un valore non facile da ottenersi se non sulla base di attente verifiche periodiche e minuziosi monitoraggi dell’accaduto assistenziale. Dunque, con la nuova disciplina viene insediata una salutare procedura agonistica per selezionare il soggetto da contrattualizzare. Il tutto inteso a razionalizzare l’offerta salutare e renderla più competitiva nella sua composizione complessiva, distinta tra quella erogata dal pubblico e quella assicurata dal privato accreditato/contrattualizzato. Ettore Jorio
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Lunedì 08 GENNAIO 2024
Concorrenza, questa sconosciuta
E’ quanto sta accadendo da due anni con le modifiche, apportate dall’art. 15 della legge per il mercato e la concorrenza del 2021 alla disciplina di rilascio dell’accreditamento istituzionale da parte delle Regioni e alla stipulazione dei contratti tra gli accreditati e, prevalentemente, le aziende sanitarie
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