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Oggi, come si legge su questo giornale, sono ormai in tanti che insistono per fare una “riforma” della sanità e confesso che per ovvie ragioni la cosa non mi dispiace. A chi su questa questione “arriva tardi” cioè arriva a parlare di riforma per ultimo (la maggior parte) in genere il problema della riforma l’ha scoperto da poco. Molti, non si sa perché, l’hanno scoperto esattamente da quando c’è un governo di destra, anche se il problema “riforma” esiste da quando abbiamo iniziato nel 78 un viaggio che non solo è ancora in corso ma che più che mai oggi non si sa quando finirà e come finirà. Quando leggiamo che il SSN oggi “non può essere salvato da un Governo che non l’ha visto nascere” (QS 23 ottobre 2023) viene da sorridere perché in realtà è chi l’ha visto nascere che ha fatto le cose peggiori e oggi ci ha messo nelle condizioni di dover fare una riforma. Non si parte da zero Chi arriva per ultimo a parlare di riforma in genere: pensa che si parta da zero e che basti esclamare “riforma”, sia chiaro con il punto esclamativo, per fare una riforma quando non è così parla di riforma senza rendersi conto cosa voglia dire riformare avendo fatto per tutta la vita il problem solver, il razionalizzatore, e al massimo dell’estremismo il migliorista leggendo le tante proposte che sono venute fuori per “salvare la sanità” tutti vogliono riformare ma in realtà cambiando fondamentalmente poco, per esempio tutti parlano del rapporto pubblico privato, delle aziende che sono fallite, delle incapacità delle regioni e di tante altre cose ma tutti si tengono ben stretto quello che c’è incapaci di uscire dal solito tran-tran. Al massimo, come dice Gimbe, si tratta di “disciplinare” le contraddizioni che ci sono ma senza rimuoverle. Insomma, mi fa piacere che tutti siano diventati dei riformatori, ma siccome so a mie spese quanto sia difficile riformare per davvero, devo dire con sincerità e senza offendere nessuno che io di questi riformatori mi fido poco. Il che accresce le mie non piccole preoccupazioni per le sorti della sanità. Purtroppo Sono ormai molti anni che è stato posto soprattutto dopo le controriforme degli anni 90, il problema del “riformatore che non c’è”, che è stata proposta la “quarta riforma”, che ci si fa ridere dietro perché si propongono nuove idee e che ci si sfotte addirittura per le nuove parole usate. Purtroppo: per riformare davvero bisogna cambiare e per cambiare bisogna usare nuove idee e nuove parole, perché se si usano le solite parole anche se dici che sei un riformatore dici sempre le solite cose, Purtroppo: per fare una riforma si deve usare la logica costruttivista che non è la stessa del problem solving una riforma che non riforma non è una riforma le riforme servono proprio a rimuovere le contraddizioni chi le contraddizioni le vuole disciplinare allora non parli di riforma. Tra ingenuità e impudenza In questi giorni ho letto una interessante rappresentazione di ingenuità e nello stesso tempo una smaccata manifestazione di impudenza. Ingenuità è un problema di sprovvedutezza l’impudenza invece è mancanza di ritegno. Le riforme quelle vere non si fanno né con l’ingenuità ne con l’impudenza. La prima rappresentazione è quella di Asiquas (Qs 18 ottobre 2023) la seconda è quella della Dirindin (Salute internazionale Il lungo assedio del ssn 11 ottobre 2021) Nel primo caso la riforma è ridotta sostanzialmente a programmazione e a poche bagatelle nel secondo caso la necessità della riforma è negata, perché si nega la storia e quindi si negano tutti i problemi che nella storia sono venuti fuori, prima fra tutti le controriforme fatte, gli errori e le scelte politiche sbagliate. Riguardo l’articolo della Dirindin non ho alcuna voglia di perdere tempo confutandone l’assurdità e l’irragionevolezza, tuttavia, mi piacerebbe che questo articolo voi lo leggeste per farvi una ida. Con apologia di reato di riforme se ne fanno poche. Verità e giustizia Io penso che fare una riforma della sanità, oggi: sia una scelta politica non tecnica (la programmazione viene dopo) che per fare questa scelta si dovrebbero fare due operazioni redimenti: una riguarda la verità e una riguarda la giustizia. Dando per scontato che, se oggi dobbiamo fare una riforma, è perché le cose sono andate oggettivamente storte: la verità serve a dire cosa sia andato storto la giustizia serve a dire cosa sia giusto fare per rimediare a ciò che è andato storto Non ho citato a caso Asiquas e Dirindin. Sono due esempi nei quali in modo del tutto antinomico sulla base di ciò che si crede vero si decide ciò che si ritiene giusto. Cioè due cose esattamente opposte. Fare i pesci in barile Se vi leggete l’articolo della Dirindin per lei le cose non sarebbero andate storte, ma per colpa di un generico quanto malefico neoliberismo e di una serie di amministratori arruffoni, le cose sarebbero state fraintese, male interpretate per cui per la Dirindin è giusto rifinanziare le controriforme, confermare la dicotomia pubblico e privato, riconfermare le aziende, cioè riconfermare la seconda gamba Il che è palesemente in contraddizione con tutti coloro che dicono che bisogna fare una riforma. Non è possibile fare una riforma a invarianza di contraddizioni cioè senza toccare le mezze riforme e le controriforme Quello che vedo (esoneratemi dai dettagli), è che la maggior parte dei riformatori finisce con il fare il pesce in barile il che conoscendo i soggetti ci sta, cioè lo capisco, ma mi puzza un po'. Insisto senza verità e senza giustizia non si può fare nessuna riforma. Diritto fondamentale alla salute o no? Ma come si decide sulla base delle verità condivise se quello che dovremmo riformare sia giusto o no? Una sanità giusta in cosa consiste? Per rispondere faccio un solo esempio: se la verità è il diritto fondamentale alla salute la riforma sarà giusta in un certo modo ma se la verità è quella della Dindin cioè è il diritto potestativo allora la riforma sarà giusta in un altro modo. E per la Dirindin sarà giusta solo se conferma le sue verità. Ma se conferma le sue verità essendo le sue verità fallaci la riforma sarà ingiusta cioè non sarà una riforma ma apologia di reato. Tutti o quasi tutti i riformatori partono, e io sono d’accordo con loro, dall’ art 32 ma l’affermazione dell’art 32 implica il superamento di tutto quanto l’ha ridotto a diritto potestativo per cui se io dovessi fare una riforma che ribadisca la verità dell’art 32 sono dispiaciuto per la Dirindin troverei giusto cancellare tutte le controriforme neoliberiste che ci hanno portato fuori strada. Ma chi dei riformatori sono disposti a sostenere la necessità di supere le aziende e la seconda gamba? Chiedo scusa ma come si fa ad affermare l’art 32 e nello stesso tempo a mantenere la 502 e la 229? Ma come faccio? Ma facciamo finta di aver deciso l’art 32 come verità e di aver deciso di conseguenza la sanità più giusta e più adeguata, cioè facciamo finta di voler riformare le controriforme neoliberiste che oggi ci pongono inediti problemi di sostenibilità costringendoci a fare una riforma, come faccio? Permettetemi di rispondere citando l’esempio della “quarta riforma” che ancora oggi fino a prova contraria resta l’unica proposta di riforma avanzata sino ad ora, cioè citando la mia esperienza personale. L’idea principale che ci ha portato fuori strada, mettendoci nei guai, è stata quella di “compatibilità” cioè pensare che il diritto alla salute dovesse essere compatibile con le risorse decise dai governi. Il diritto compatibile è la stessa cosa del diritto potestativo. Per fare la “quarta riforma” sono stato costretto quindi a trovare una idea alternativa alla “compatibilità”, cioè a inventarmi un rapporto nuovo tra economia sanità e salute, senza il quale non può esserci riforma. L’idea nuova, ve lo ricordo solo di sfuggita, è “compossibilità” e attraverso questa idea ho potuto avanzare una nuova idea di sostenibilità. La proposta di “quarta riforma” è sostanzialmente una riforma dell’idea di compatibilità e di sostenibilità da cui discende tutta una serie di idee che riguardano la governance i servizi gli operatori i contratti gli utenti ecc ecc . Attenzione. Mi limito solo a far notare, di striscio, che queste due questioni sono le due principali criticità del nostro sistema sanitario, quelle che, come dicono i riformatori dell’ultima, ora stanno facendo affogare la sanità pubblica. Se tali questioni fossero ignorate allora la riforma sarebbe finta. Cioè levatevi dalla testa che si possa fare una riforma confermando la compatibilità tra diritti e risorse. Se confermate questa idea la riforma sarebbe finta. Più civili Ma se davvero volessimo fare una riforma a parte “verità” e “giustizia” si dovrebbero inventare soluzioni più avanzate più convenienti più intelligenti quindi più adeguate ai bisogni della economia e della gente ai bisogni dei servizi e del lavoro. Cioè per fare una riforma o ci vuole anche una bella dose di cultura, quindi, bisogna essere più avanzati del solito. In questo caso non parlerei di competenze. Ma di cultura. Senza un sur plus di cultura non può esserci riforma. Faccio solo un esempio: la sanità è complessa ma noi non sappiamo cosa voglia dire complessità. Evito di fare esempi. Solo un sur plus di cultura può assicurare un surplus di civiltà. Noi facciamo una riforma non per salvare la sanità ma perché se salviamo la sanità siamo più civili non meno. Se perdiamo la sanità perdiamo un grado o più gradi di civiltà. Se non cambia niente restiamo quelli che eravamo prima. Cioè relativamente ingiusti, relativamente diseguali, relativamente poco solidali, relativamente cinici, relativamente ignoranti e relativamente incivili. Conclusione Per riformare per davvero, infine, si dovrebbe avere una idea alternativa di sanità ma oggi, in tutta onestà, non credo che questa idea esista. Quella che intravedo nelle proposte in circolazione alla fine resta una vecchia sanità solo un po’ riaggiustata. Questa idea di sanità “altra” non ce l’ha ne la destra ma neanche la sinistra. Entrambi oggi per motivi diversi ma con grosse difficoltà culturali comuni, non hanno alcun interesse e nessuna voglia di fare una riforma E per quanto mi sforzi dietro all’antinomia destra sinistra non riesco a vedere un sur plus di civiltà. La riforma senz’altro servirebbe come il pane, ma, almeno per il momento, a parte le chiacchiere davvero tante, non ci sono le condizioni ne politiche e ne culturali per farla. Né a destra e ne a sinistra. Estenuato, ormai vicino allo stremo, il cavallo quindi deve aspettare che l’erba cresca. Buona fortuna. Ivan Cavicchi
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Mercoledì 25 OTTOBRE 2023
Serve una sanità riformata, non solo riaggiustata
Per riformare per davvero si dovrebbe avere una idea alternativa di sanità ma oggi, in tutta onestà, non credo che questa idea esista. Quella che intravedo nelle proposte in circolazione alla fine resta una vecchia sanità solo un po’ riaggiustata.
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