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Venerdì 29 SETTEMBRE 2023
Medicina generale, liberi e no
Gentile Direttore,
stiamo alimentando un equivoco pernicioso in tema di assistenza sanitaria sul territorio. Sembra che la questione debba esaurirsi nella dicotomia di posizione tra quelli che vogliono la dipendenza dal SSN e coloro che non ammettono altra via che la classica convenzione da liberi professionisti. Messa così la cosa, sembra che la bontà del servizio, con tutti i corollari che ne discendono, dipenda dal tipo di contratto stipulato con l’azienda. Ma la realtà non si esaurisce in questa dicotomia né sarebbe onesto crederlo.
C’è una parte di verità in tutte le posizioni. Ma non tutta. E se vogliamo continuare ad essere figli di Ippocrate, almeno nell’eticità del suo pensiero, bisogna mantenere la barra del timone per la direzione che deve avere la cura e non verso il libero arbitrio sindacale.
I sostenitori della convenzione uber alles, sostengono che è l’unico contratto a favore del rapporto fiduciario tra medico e paziente e, in buona fede, avrebbero anche ragione perché la scelta di rimanere con un medico si costruisce con anni di frequentazione e solo così, perché, inizialmente quando si va al distretto sanitario per scegliere un medico, molto spesso non lo si conosce. La relazione e la fiducia, arrivano dopo. Anche quando si cambia medico, lo si fa più per contrasti con il precedente medico che non per fiducia con il nuovo scelto che, anche in questo caso, è sconosciuto al paziente.
Se i sostenitori della convenzione mostrano questa ferrea convinzione del rapporto di fiducia come condizione fondamentale per le cure alle persone, senza voler per questo sostenere il potentato dei soliti mammasantissima del sistema in malafede, hanno in parte ragione. Ma solo in parte, perché la prestazione medica con la dovuta dedizione e attenzione per la persona non dipende e, non deve dipendere, dal contratto con cui lavora il medico. E’ un dovere deontologico che fa parte della professione e dei valori etici del medico che non lavora ad un tanto al chilo.
Altrettanto rispettabile e, degna di attenzione, è la posizione di coloro che vorrebbero la dipendenza pubblica dal SSN. E non a torto: significa avere quelle basilari garanzie dovute ad ogni lavoro, ferie, malattia, carriera, formazione continua e accademica. Significa anche sottrarsi dal ricatto della clientela malaticcia: se non mi fai il certificato o l’impegnativa, cambio medico. Diventare dipendenti pubblici del SSN significa essere riconosciuti per il ruolo che si svolge per lo stato: i medici di base, nella loro attività lavorano per nome e per conto dello Stato, allora perché solo gli oneri ma senza onori? Siamo figli di un Dio minore? Dai numeri delle prestazioni della medicina del territorio, direi proprio di no.
Allora, tiriamoci fuori dalla figura storica e obsoleta del medico della mutua e adeguiamo il nostro ruolo a quella che è la centralità del nostro ruolo nel SSN: decisori di salute per nome e per conto dello Stato. Ma attenzione, c’è un altro rischio: non è che così facendo, diventeremo anche noi un po’ funzionari di turno nelle CdC? Quel piccolo difettuccio un po’ ospedaliero di non stabilire una relazione di continuità e fiducia con il paziente? Quel: fatto questo, avanti un altro? E tra due ore stimbro?
Anche qui, vale lo stesso discorso: l’attività del medico non deve dipendere dal tipo di contratto con cui si lavora e nemmeno dal setting operativo. La medicina è sempre l’incontro tra due persone e non si lavora con un tanto al chilo. Allora, la questione centrale non è il contratto, ma assicurare due capisaldi delle cure: il rapporto con la persona-paziente e il rispetto per la categoria medica da parte dello Stato.
Allora, dalle due posizioni contrastanti, dipendenza e convenzione, si possono prendere e applicare i due aspetti positivi di ognuna in una sola riforma e, con queste, evitare la deriva negativa che comporterebbe l’applicazione di una sola forma contrattuale. In medio stat virtus e in piena consapevolezza stoica cerchiamo la verità nel giusto mezzo.
Salviamo il contratto di dipendenza pubblica perché è il solo modo per godere della garanzia di diritto per ogni lavoratore e con essa il giusto collocamento e riconoscimento da parte del SSN a cui, di fatto, devono appartenere i medici di base che lavorano per nome e per conto dello Stato e facciamo in modo che rimanga intatta la possibilità per il cittadino di scegliere il suo medico di fiducia e non d’ufficio.
Altro aspetto che annienta totalmente uno degli aspetti fondamentali della medicina del territorio, e cioè la presenza capillare con gli ambulatori non centralizzati, sono le famigerate case della salute, scimmiottamento in piccolo della cultura ospedaliera che nulla ha a che fare con la medicina di base. Il microospedale che si allontana dai piccoli centri per fornire una turnazione H24 dove trovi il medico di turno. E’ auspicabile in una realtà territoriale come quella italiana fatta di tantissimi comuni sul territorio e con una grande maggioranza di pazienti anziani non automuniti? Pensare ad una soluzione che raccolga il meglio e il senso della assistenza sul territorio è troppo complicato? Doveva esserlo anche per Tina Anselmi quando consentì il passaggio dalle mutue al SSN, nel lontano 1978.
Non si tratta di miracoli, ma della ferma volontà politica di garantire equa e universalistica assistenza per tutti. Medici compresi. Se la politica politicante vorrà mettere in vendita anche la salute dei cittadini e il futuro del SSN, continui pure così. Il burrone è alla prossima curva.
Enzo Bozza
medico di base a Vodo e Borca di Cadore (BL)
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